violenza donne Il Cammino più lungo Abruzzo
Foto ©JimmyChan

Nel capoluogo abruzzese, il Centro Antiviolenza – Associazione “Donatella Tellini” L’Aquila (già Biblioteca delle Donne “Melusine”)- che a febbraio 2020 era riuscito ad ottenere una Casa Rifugio per le donne che subiscono violenza -, ha comunicato di aver ricevuto, al termine del lockdown e nell’arco del mese successivo, un quantitativo di chiamate tale da registrare già il totale archiviato per l’intero 2019. Il 7 marzo 2020, le donne accolte nel centro erano 20; oggi, 38. A testimonianza del fatto, spiega Simona Giannangeli (presidente del CAV aquilano), di come la violenza maschile non sia un’emergenza o un dato circostanziale, ma una realtà strutturale, sistemica.
Non deve essere semplicemente arginata, ma sradicata. Passo dopo passo. Nasce, da questi presupposti, il documentario di Cecilia Fasciani, “Il Cammino più lungo”, progetto indipendente e autofinanziato, con l’intento di «raccontare la lotta quotidiana contro la violenza maschile e di genere che le operatrici del Centro Antiviolenza sostengono nel territorio aquilano, attraverso la storia di una delle sue fondatrici, Simona Giannangeli».

Puoi spiegarci il senso e il perché de “Il cammino più lungo”: perché proprio questo titolo?
«La storia di questo documentario – risponde Cecilia Fasciani [Director, Writer e Producer de ‘Il Cammino più lungo’]si concentra sulla lotta contro la violenza di genere nel territorio aquilano attraverso la storia della protagonista, Simona Giannangeli, avvocata e presidente del Centro Antiviolenza dell’Aquila: il tessuto narrativo è quindi intrecciato attorno alla sua vita di attivista e di avvocata e al suo rapporto con le montagne del Gran Sasso e Monti della Laga, tra le quali è cresciuta. La metafora del cammino più lungo è proprio quella tra sentieri di montagna e percorsi di lotta.»

Dietro la scelta coraggiosa di affrontare temi così scomodi e allo stesso tempo infinitamente delicati, qual è stato l’episodio scatenante che ha portato alla consapevolezza che determinati argomenti non potevano più essere taciuti?
«Provengo dai movimenti femministi che, in questi anni, hanno invaso le piazze di tutto il mondo, così come d’Italia: sicuramente prendere parte a esperienze collettive come quelle è stato il momento più importante della mia formazione politica. Inoltre, sono cresciuta a L’Aquila e mia madre è da sempre attiva sul territorio, specialmente nella Casa delle donne, un luogo che vede al suo interno diverse anime associative, come quella di Terremutate, della Biblioteca e del Centro Antiviolenza. Conosco, quindi, le sue compagne attiviste sin da bambina, e tra queste c’è Simona Giannangeli.»

Il momento più difficile durante le riprese e il montaggio dello storytelling de ‘Il Cammino più lungo’.
«Abbiamo appena terminato la fase di produzione, con il direttore della fotografia Giovanni Sfarra e il tecnico del suono Federico Martusciello, che hanno assicurato l’alta qualità del lavoro di squadra svolto insieme sul campo.
Da metà settembre, circa, cominceremo con il montaggio che vedrà a lavoro il pluripremiato editor Fabio Bianchini, il musicista Enrico D’Amico e il tecnico del suono Federico Martusciello. Sono ampiamente fiduciosa nel nostro lavoro di squadra, che permette e ha permesso di superare i tanti momenti difficili che si incontrano lavorando a un progetto come questo.»

Quello, invece, di maggiore entusiasmo e soddisfazione. Una piccola vittoria all’interno di un resoconto che sappiamo essere di lotta e trincee.
«Sicuramente ascoltare le storie di queste donne e vedere il progetto narrativo che prende forma è già di per sé un motivo di grande entusiasmo e soddisfazione, esempio di bellezza intrinseca a questo lavoro. Avere la possibilità di raccontare queste esperienze di resistenza e di lotta è un onore e spero che il documentario nella sua versione finale renderà loro giustizia.»

Raccontaci della ricerca di dati e fonti, e ancora di più delle testimonianze. Come si parla alle donne di donne, e per le donne che verranno e saranno.
«La ricerca dei dati e delle storie è stata chiaramente fondamentale per la scrittura del progetto, sono state le stesse donne attiviste a fornirci i dati relativi alla violenza di genere durante il lockdown e a restituirci la visione della sistematicità e strutturalità di questo fenomeno che, come dicono loro stesse, in questo paese viene affrontato unicamente come emergenza, con il dibattito incentrato sul semplice inasprimento delle pene.»

In quanto donna e giovanissima, quanto e come sei cambiata durante questo lungo cammino?
«Come ci ha raccontato più volte Simona, durante le riprese del documentario, è proprio grazie alla relazione con le donne che arrivano al Centro Antiviolenza che le operatrici stesse riescono a spostarsi continuamente e a cambiare le loro vite. La stessa cosa penso per me. Riguardo alla fortuna che ho avuto di lavorare con Simona, Rosita e le altre: grazie alle loro storie e alla relazione costruita con loro – sorelle di lotta – ho potuto riflettere in maniera critica sul mio posizionamento, su come continuare anch’io a spostarmi continuamente e a trasformare insieme le nostre vite nel percorso collettivo di liberazione.»

Trailer ufficiale de ‘Il Cammino più lungo’

«SIAMO DONNE CONVINTE CHE, SOLO ATTRAVERSO LA RELAZIONE TRA DONNE, SI POSSA CERCARE DI INTACCARE LA VIOLENZA, L’OLTRAGGIO DELLA VIOLENZA MASCHILE ALLE NOSTRE VITE.»
[dal trailer – Simona Giannangeli]

Tuonano assordanti i dati D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza: con l’isolamento in quarantena durante l’emergenza sanitaria Covid-19, si è registrato un drastico aumento del numero delle donne che, in Italia, si sono rivolte a un centro antiviolenza (CAV). L’incremento è stato pari al 28% nel primo periodo (marzo-aprile) e del 17% fino ai primi di maggio. Traducendo in numeri, tra il 2 marzo e il 5 aprile sono state 2.983 le richieste totali di supporto, mentre tra il 6 aprile e il 3 maggio sono state 2.956, appena 27 in meno. Di queste, 1.815 (il 30% circa) erano contatti attivati per la prima volta. E non può passare inosservato il dato secondo cui, in sole 9 settimane, 11 donne sono state uccise dai propri partner o famigliari aggressivi.

Esistono argomenti che meritano giustizia, temi che non possono essere più risolti con leggerezza. Parole che devono trovare voce e ascolto. Persistono muri che non proteggono, ma ingabbiano. E che, durante il lockdown, hanno piantato radici più forti, indefessi e intoccabili, limitando persino la possibilità di sperare.

Pamela Valerio

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