Alessio De Giorgi, classe 1969, attivista gay dal 1992, per sua stessa definizione «A destra della sinistra da sempre», potrà a ragion veduta essere ricordato come l’uomo che sacrificò l’interesse della comunità LGBT, che a livello associazionistico è apartitica, sull’altare di Matteo Renzi e della sua riforma costituzionale.
Ma come si è arrivati a ciò e, soprattutto, chi è e cosa ha fatto De Giorgi per attirare su di sé le luci della ribalta?

Per comprenderlo, è opportuno affrontare il discorso partendo da lontano.
Approvato e messo in atto il Jobs Act, approvato a colpi di fiducia il DdL Cirinnà sulle unioni civili, Matteo Renzi è infatti pronto a riscuotere il credito dalle lobby che ha favorito, e lo farà proprio sul punto al quale si è legato indissolubilmente: il referendum costituzionale di ottobre.

È innanzitutto doveroso precisare, a scanso di equivoci, che con il termine “lobby” si indicano gruppi che esercitano pressione, mediatica o politica, al fine di raggiungere determinati interessi di categoria: ritenendo esaustiva la definizione offerta dall’Enciclopedia Treccani, si può proseguire senza timore di turbare i sostenitori del linguaggio politicamente corretto.

Mentre dal Salone del Libro di Torino l’ex Presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky ricordava come il referendum di ottobre non sia un plebiscito su Renzi, diversamente da quanto il Presidente del Consiglio non perde occasione di rimarcare esponendosi in primissima persona, il quotidiano La Stampa ci informava nell’edizione cartacea del 16 maggio dei preparativi per il lancio del sito ufficiale e dei gadget per i “militanti del sì” organizzati da Renzi e dallo spin doctor Jim Messina (già al servizio di Obama, ma anche dei Conservatori britannici) e, cosa che desta clamore, dell’organizzazione nelle Marche del primo comitato di imprenditori – interno a Confindustria – in sostegno del sì alle modifiche alla Costituzione.

Detto di Jim Messina, abituato a cercare consensi tra le lobby istituzionalizzate nel sistema politico statunitense, e detto della più “tradizionale” tra le lobby nostrane, quella confindustriale, merita ben più di qualche parola quella che, spesso spregiativamente, viene definita come “lobby gay” e sulla quale il Presidente del Consiglio ha lanciato un’offerta d’assalto, tentando di incassare sin da subito il “ringraziamento” per l’approvazione delle unioni civili, sia pure in una forma che scontenta un po’ tutti.

È notizia riportata dal Corriere della Sera del 7 maggio, e da altri nei due giorni precedenti, l’ingresso nello staff della comunicazione di Palazzo Chigi di Alessio De Giorgi. Ai più questo nome risulterà sconosciuto, e ciò è comprensibile in quanto De Giorgi è stato fino a pochi giorni fa direttore di gay.it, testata registrata dal 2005 e diffuso riferimento della comunità LGBT italiana.

Curiosamente il 14 maggio, appena 3 giorni dopo l’approvazione del DdL Cirinnà e dalla nomina di De Giorgi, il sito pubblicava un articolo, a firma della “Redazione Gay.it”, nel quale si presentava un appello sottoscritto tra gli altri da De Giorgi e promosso da una pagina Facebook, “L’Italia LGBT che dice sì” – un perfetto slogan in rima – organizzata sull’onda dell’entusiasmo filo-renziano per l’approvazione della Cirinnà il 13 maggio.

de giorgi propaganda lobby sì
La figuraccia di Alessio De Giorgi su Facebook

Non è un mistero l’essere renziano della prima ora di De Giorgi: lo ricorda egli stesso a Versilia Today il 5 maggio, citando il lavoro svolto dalla Leopolda 2012 sui diritti civili. Più difficile invece spiegare come, a partire dal 14 maggio, la pagina aperta da De Giorgi abbia compiuto una palese svolta renzista, dapprima pubblicando un intervento sul Corriere del PD Giuliano Gasparotti, sottoscrittore dell’appello, passando poi a l’Unità del 15 maggio, direttamente al sito del Governo il giorno stessosacrificando l’obiettività nell’informare, e ciò è particolarmente grave quando è un giornalista a farlo – ed ancora all’incensamento proveniente da El País sempre il 15 maggio, ed addirittura all’autoincensarsi, come testimonia l’immagine che proponiamo, tratta da questo post. Non c’è alcun motivo di stupirsi del luogo di pubblicazione del post di Gay.it, poiché De Giorgi risiede a Viareggio, ed è stato colto nel “suonarsela e cantarsela da solo”.

La pagina prosegue con video della Leopolda, e-news di Matteo Renzi, attesa per il sito ufficiale renziano del quale parlavamo più in alto, ed ancora Renzi.
Insomma, l’attivista gay Alessio De Giorgi si è trasformato nell’attivista renzianissimo Alessio De Giorgi, nel tentativo di muovere l’opinione della comunità LGBT italiana (in questo caso agendo lui da lobbista) verso un sostegno attivo al disegno di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi.

Chi sono invece gli altri firmatari dell’appello di De Giorgi? Lorenzo Bovalino, Max Franco, il già citato Giuliano Gasparotti, Roberta Gilardi, Aurelio Mancuso, Enrico Pizza.

Lorenzo Bovalino è uno studente universitario, che oltre al renzismo condivide con De Giorgi l’origine genovese. Max Franco, membro di Diritti Democratici all’interno del PD, cura il blog #lavoltabuona su Gay.it ed è già comparso anche su l’Unità. Giuliano Gasparotti, gay dichiarato, ha oscillato tra PD e Scelta Civica, con la quale è stato candidato alla Camera dei Deputati nel 2013, salvo poi rientrare all’ovile in passato abbandonato perché «poco liberal». Roberta Gilardi è imprenditrice web, oltre ad essere consulente marketing e social. Aurelio Mancuso, componente della commissione di garanzia del PD, tra il 2002 ed il 2010 è stato Segretario Nazionale e poi Presidente Nazionale di Arcigay. Enrico Pizza è, dal 2013, Assessore alla mobilità e all’ambiente del Comune di Udine, dove il governo cittadino è retto da PD e SEL.

Un quadro, questo, che delinea una volontà precisa: piegare la comunità LGBTQIA italiana ai voleri della Segreteria del Partito Democratico, attraverso il meccanismo clientelare del voto di scambio, rispondente al principio “do ut des”; ti ho dato le unioni civili, ad ottobre dovrai restituirmi il favore votando sì al referendum sulla mia riforma costituzionale che ho trasformato in un plebiscito su me stesso.

Simone Moricca

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