Il No è avanti nei sondaggi, eppure Matteo Renzi non si sbilancia su un piano B che attenui la possibile sconfitta. Grillo e i Cinque Stelle sono invece pronti a monopolizzare la vittoria.
Una campagna referendaria sfiancante sta lentamente volgendo al termine, il 4 Dicembre finalmente gli italiani saranno chiamati a scegliere. Il fronte del Sì e il fronte del No si stanno contendendo gli ultimi voti, quelli che di solito appartengono agli “indecisi”. Questi sono figure appartenenti alla nostra mitologia politica e avvolte da un alone di mistero: è nato prima il referendum o gli indecisi? Gradiscono la moderazione o si fanno convincere da chi urla più forte? E soprattutto, andranno a votare?
Intanto, anche in questi ultimi giorni utili, le ipotesi sul day after si succedono con continuità. Spesso servono a spaventare, quando si delineano scenari catastrofici qualora dovesse vincere l’opposta fazione, mentre altre volte sono minacce, o tentativi di ingolosire l’elettorato con false ed affascinanti promesse.
GRILLO E IL VOTO IMMEDIATO
Appartiene all’ultima categoria la dichiarazione di Beppe Grillo rilasciata ai margini della manifestazione per il No tenutasi a Roma questo sabato: “Se vince il No andiamo al colle e credo si voterà subito”, una semplificazione eccessiva che è bene prendere con le molle, perché è chiaro che in nessun caso ciò si potrà verificare.
La legge elettorale attualmente vigente è stata scritta pensando solamente alle elezioni dei membri della Camera, dunque, necessariamente, andrebbe modificata prima di procedere a nuove votazioni.
Mediaticamente parlando, questa è l’era di Trump. Il pubblico gradisce le personalità in grado di rappresentare un cambiamento radicale con il passato, che sia stilistico o di contenuti. Se questa volontà di cambiamento è presente in un grande paese come l’America che oltretutto, seppur lentamente, si sta risollevando dalla crisi economica, figuriamoci quanto tale retorica possa trovare riscontro qui in Italia, nel paese che ha fatto della crisi e dell’emergenza un opprimente stile di vita.
Beppe Grillo è perfettamente a conoscenza di questa tensione diffusa e, infatti, l’immaginario ecologico/utopico che è stato in grado di creare intorno all’immagine del nascente Movimento Cinque Stelle potrebbe essere considerato l’humus del suo successo. Parlare di “nuovo rinascimento” ha fascino in tempi di crisi.
Secondo Grillo, il referendum lo vincerà l’opzione che presuppone il cambiamento maggiore ed è per questo che ha quindi scelto di prefigurare un cambio istantaneo di governo qualora vincesse il No, mentre la riforma costituzionale non risulta un cambiamento altrettanto radicale e dunque affascinante. Se questa strategia mediatica dei Cinque Stelle dovesse pagare, meditate su quanto assurda sia stata a tal proposito la personalizzazione del voto deliberatamente operata da Renzi all’inizio della campagna.
LA LINEA DI RENZI E QUELLA DI GUERINI
Quanto al premier, il suo disimpegno dalla scena politica in caso di sconfitta è un segreto di Pulcinella. L’ha detto all’inizio della campagna, con risultati nefasti, e non lo smentisce apertamente ora. Insomma, dovesse perdere, è molto probabile che Renzi non sia più il Presidente del Consiglio d’Italia.
Salvo le solite profezie sui presunti cataclismi economici che colpirebbero il Belpaese in caso di vittoria del No (vedi: “Con le riforme sale il Pil, senza riforme lo spread”), Renzi per il momento non vuole comunque scoprire le sue carte, e in qualunque intervista rilasci ci tiene a precisare che al momento un piano B in caso di sconfitta non c’è.
Eppure, prestando attenzione alle dichiarazioni di personalità a lui molto vicine ed analizzando meglio alcune frasi proferite dal premier stesso, un percorso possibile/probabile sembra delinearsi.
Lorenzo Guerini, intervistato da Bloomberg, ha ammesso senza troppe remore: “Se c’è la volontà politica possiamo lavorare per arrivare a una nuova legge elettorale in tempi brevi e andare a elezioni con una nuova legge elettorale presto, entro l’estate del 2017, se non ci saranno le condizioni politiche e la riforma elettorale sarà usata come una scusa per un governo di sopravvivenza, noi non siamo interessati”.
Allo stesso modo anche le parole sibilline di Renzi, che non si è detto pronto “a galleggiare”, sembrano confermare una visione comune ai due: Renzi in sella fino a questa estate oppure una soluzione tampone (i nomi che girano sono quelli di Padoan, Grasso e Franceschini) fino al 2018, ma ciò vorrebbe dire restituire il Pd a quella minoranza perdente e bistrattata della quale il premier si era spesso fatto beffe.
Siamo sicuri che all’interno del partito si discuterà amabilmente delle modifiche alla legge elettorale sapendo che se non si dovesse trovare un compromesso Renzi mollerebbe tutto?
MOVIMENTO CINQUE STELLE AL POTERE
“Un attimo dopo la vittoria del no, all’infuori di Grillo gli altri non esisteranno più, il centrodestra, i professoroni e la minoranza del PD.”
Questa dichiarazione di stampo apocalittico non proviene da un simpatizzante Cinque Stelle, ma da Mauro Calise, professore di Scienza politica dell’università Federico II di Napoli.
All’indomani della nuova scesa in campo di Grillo annunciata a settembre nella manifestazione di Palermo, il professore dipingeva così un day after a suo avviso funesto.
C’è infatti un altro aspetto da considerare quando proviamo a fare previsioni sulle eventuali conseguenze del No: la percezione dei vincitori e degli sconfitti che scaturirà dal risultato, e che potrebbe permanere fino alle possibili elezioni anticipate del 2017, o anche fino a quelle del 2018. Abbiamo già fatto notare quanto sia stata scellerata la scelta di Renzi di personalizzare il referendum, alla luce del fatto che così facendo ha prefigurato un cambiamento di grande portata (le sue dimissioni) qualora vincesse il No, in una nazione che, come tutti i paesi in crisi, ha una gran voglia di cambiare.
A questo va aggiunto che in questo modo, ovviamente, ha anche personalizzato l’eventuale sconfitta.
La massiccia presenza mediatica del premier delle ultime settimane comporterà senza dubbio una perdita di consenso importante qualora i suoi sforzi risulteranno vani.
Nell’altro fronte, invece, il sopracitato ritorno di Grillo alla guida dei Cinque Stelle e del fronte del No contribuirà in maniera importante a portare dalla parte dei pentastellati i meriti della vittoria.
Lo sa bene Berlusconi, che ha aspettato gli ultimi sondaggi per schierarsi convintamente dalla loro parte, sperando di scongiurare così quel monopolio sulla vittoria che appare però difficile da sottrargli.
Ma c’è anche chi, come D’Alema e Bersani, vede nella possibile vittoria del Sì l’inizio della fine per il Partito Democratico.
L’ex-segretario del PDS appare convinto che proseguire con la politica renziana sarebbe un suicidio, in quanto fino a questo momento si è dimostrata inadatta ad impedire l’avanzata dei Cinque Stelle: “Per ricostruire un centrosinistra in grado di arginare i populismi e le destre ci dobbiamo presentare come la forza in grado di ridurre le diseguaglianze, in questo senso, la vittoria del No al referendum aprirebbe una speranza, mentre un successo del Sì consoliderebbe il partito della Nazione, incarnazione dell’establishment che preparerebbe lo scenario di una vittoria del Movimento 5 Stelle”
È dello stesso parere Bersani, che inoltre si meraviglia della scelta miope del premier riguardo al mantenimento dell’Italicum: “Come fa Renzi a non vedere quel che sta succedendo in Europa e nel mondo? Come fa a non sentire quel che ribolle sotto di noi? Si comporta da irresponsabile. Il 2018 è lì che arriva. E se vince il Sì e lui tira dritto, senza cambiare l’Italicum, andiamo a finire contro un muro”.
Ecco che d’un tratto anche il repentino cambio d’opinione dell’Economist, del quale si è molto discusso nella scorsa settimana, ha senso: la prestigiosa testata inglese, dapprima pro-Renzi, ora tramite un nuovo articolo si è detta favorevole al No.
La paura dei “Five Stars”, come li chiamano lì, giustifica anche una pugnalata al loro beniamino.
Valerio Santori
(twitter:@santo_santori)