Elezioni anticipate per l’Islanda, la cui classe politica è stata travolta dallo scandalo Panama Papers, che nell’aprile dell’anno corrente ha costretto il premier Gunnlaugsson a dimettersi dall’incarico. Il clima di astio e diffidenza diffuso tra i cittadini a seguito delle rivelazioni ha favorito l’ascesa del Partito Pirata, fondato nel vicino 2012 come alternativa antisistema, non rappresentativa dell’ideologia né di destra né di sinistra.

Malgrado il sondaggio condotto dall’istituto MMR sulle elezioni del 29 ottobre stimasse secondo il Partito Pirata con il 19,1% dei consensi, il Píratar è stato votato dal 14,5% dei cittadini, arrestando la propria corsa al terzo posto, dopo il partito Sinistra – Movimento Verde e il Partito dell’Indipendenza, che si conferma essere il più votato dagli islandesi con il 29% dei voti.
Il Movimento Verde ha raggiunto il 15,9% dei consensi, risultando il secondo partito più votato, tuttavia ha ottenuto lo stesso numero di seggi del Partito Pirata: dieci. Ventuno, invece, i seggi per il Partito dell’Indipendenza. Il Partito Progressista, con l’11,5% dei voti, è quarto e conquista appena otto seggi su sessantatré nell’Alþingi, a fronte dei diciannove ottenuti nelle elezioni del 2013.

Tuttavia, i sondaggi che avevano fatto presagire uno stravolgimento dell’assetto politico islandese con il Partito Pirata alla guida del governo non sono stati del tutto disattesi.

Difatti, consultando i dati del già citato sondaggio dell’istituto MMR, è possibile constatare come gli umori dei cittadini avessero anticipato una conferma per il Partito dell’Indipendenza e un tracollo per il Partito Progressista – seconda forza politica nelle elezioni del 2013 con un numero di seggi pari a quello del Partito dell’Indipendenza –, stimato quarto in queste nuove elezioni con il 10% dei consensi, solo 5 punti in più rispetto al neonato Partito Pirata delle votazioni del 2013.
Le stime, come si evince dal raffronto con i dati ufficiali delle elezioni, non sono state fuorvianti: il Partito Progressista, di cui è membro l’ex premier Gunnlaugsson, è effettivamente la quarta forza, mentre il Partito Pirata ha in un certo senso superato se stesso, guadagnando sette seggi rispetto al 2013.

L’affluenza alle urne è stata del 79,2% e in tutte le aree dell’Islanda il Partito dell’Indipendenza è stato il più votato: i cittadini, dinanzi alla possibilità di una ipotetica rivoluzione, hanno dunque scelto di restituire fiducia alle fondamenta dello Stato, forse temendo che il programma del Partito Pirata fosse un progetto di poca o difficile attuazione.

Ciò nonostante, la governabilità del Paese rappresenta un problema in evoluzione: se per ipotesi dovesse verificarsi l’annunciata coalizione, invero tuttora non confermata, tra i Verdi, il Partito Pirata, l’Alleanza e Futuro Luminoso, l’ago della bilancia potrebbe creare problemi al partito vincitore, che tuttavia potrebbe comunque contare, come in passato, sulla possibilità di una coalizione con il Partito Progressista. Al momento, interessa capire quale sarà la scelta di Sinistra – Movimento Verde e quale quella di Rigenerazione, quinto partito più votato con il 10,5% dei voti e sette seggi in Parlamento.

Il Partito Pirata, paragonato talvolta al Movimento 5 Stelle italiano in quanto forza politica dai contorni sfocati e antisistema, non ha vinto queste elezioni, ma ha egualmente ottenuto un risultato soddisfacente. Il programma a base di una nuova Costituzione, diritti civili, tutela della privacy e democrazia diretta avrebbe convinto soprattutto i giovani, decisi ad allontanarsi da gruppi politici considerati corrotti e compromessi e ad avvicinarsi a un progetto nuovo, che utilizzando gli strumenti del web rende la politica partecipativa e promette rivoluzioni.
Birgitta Jónsdóttir, considerata la leader del partito, in un’intervista pubblicata su la Repubblica il giorno stesso delle elezioni, ha spiegato lo spirito di rinnovamento che anima il progetto politico:

«[…] vogliamo salvare la democrazia rinnovandola, mentre è in crisi ovunque e ovunque i populisti la assediano. Seducendo gli sconfitti dalla globalizzazione, poveri e ceti medi, per cui i partiti democratici tradizionali non trovano più risposte convincenti. Noi progressisti e liberali nel mondo abbiamo bisogno urgente di una nuova visione comune da progettare insieme per i cittadini delusi altrimenti perderemo e i Trump e le Le Pen, gli estremisti, vinceranno e la democrazia diverrà apparenza e messinscena».

La Jónsdóttir ritiene positivo il terzo posto ottenuto: il risultato atteso oscillava difatti tra il 10 e il 15 per cento dei consensi.
Sarà il futuro più immediato a stabilire se quella dei Pirati rappresenti una svolta per l’Islanda o se sia stato un fenomeno destinato a cedere il passo ai partiti che sono da sempre protagonisti della realtà politica islandese.

Rosa Ciglio

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