Quant’è difficile anche solo immaginare i problemi di chi non ha voce, di chi fa caso alle piccole cose vivendo una vita faticosa? Che spettro di colori riescono a vedere gli occhi dei bambini che vivono in un mondo assediato più dall’odio e dalla violenza, che dall’amore e dall’innocenza nei tribunali? La verità è che dove c’è una donna con figli vittima di violenza, c’è sempre un minore altrettanto vittima. La violenza di genere, il fenomeno della PAS e l’affido dei minori nelle separazioni per violenza domestica sono il sunto dei temi a cui la senatrice e presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio Valeria Valente ha deciso di dedicarsi all’interno della relazione che presenterà in parlamento ad ottobre a nome dell’intera commissione.
Innanzitutto bisogna ammettere che, ad oggi, pur essendoci protocolli legislativi che nascono con l’obiettivo di tutelare le vittime di violenza di genere, i tribunali non sono luoghi in cui il tema sembri aver avuto un punto di svolta progressivo. Nelle cause di separazione legata a maltrattamenti domestici o a situazioni fortemente conflittuali, alla donna talvolta vengono tolti i figli, ritenendo che possa condizionare negativamente il rapporto del bambino con il padre. Secondo il parere dei consulenti tecnici dei tribunali (CTU) e l’orientamento di alcuni giudici, il bambino che esprime disagio nel frequentare il padre – un padre spesso violento – viene infatti ritenuto plagiato dalla madre, vista come incapace di educare il figlio perché rancorosa verso l’ex partner e “alienante”; il figlio viene considerato affetto da sindrome da alienazione parentale (PAS appunto, teorizzata da Richard Gardner e recentemente sconfessata dalla Cassazione), tolto alla madre, affidato ai servizi sociali e obbligato poi a frequentare il padre. Una situazione assurda e aberrante che trasforma le donne vittime di violenza in colpevoli, portandole spesso a ritirare la denuncia di maltrattamenti e la procedura di separazione. L’effetto è quello di bloccare, col ricatto della sottrazione dei figli, le donne che tentano di uscire da situazioni di violenza.
La PAS non ha un fondamento scientifico riconosciuto, ma era elemento caratterizzante del disegno di legge Pillon, emesso l’11 ottobre 2019 e accantonato dopo le dure contestazioni delle donne e l’opposizione dei centri antiviolenza (CAV), nonché di numerose associazioni e organizzazioni. Accompagnare una donna nel processo legale civile e minorile è diventata una guerra ed è una guerra far sì che – nelle aule di giustizia – venga riconosciuta la criticità della violenza. La giustizia civile e l’intero sistema giudiziario non riconoscono quasi mai la violenza di genere. Le donne, quindi, vanno nei tribunali consapevoli che non è sicuro che venga riconosciuta la violenza, una consapevolezza tanto più dolorosa quando ci sono di mezzo i figli. Sono proprio i bambini i più fragili di fronte a un sistema che non li ascolta e sembra difendere a tutti i costi il principio della bigenitorialità, anche in presenza di un uomo maltrattante. Un concetto che si lega a quello di responsabilità genitoriale, nato nel 2013 con la legge sull’equiparazione degli status.
Nei tribunali, durante i processi, spesso quindi si assiste ad un’inversione nella ricerca dell’adeguatezza: anziché chiedersi se l’uomo violento sia un genitore adeguato, ci si chiede se la donna – che ha subito violenza – sia una madre idonea. Tra l’altro, non solo i tribunali non tutelano pienamente le vittime di violenze, ma è tipico che queste ultime si facciano carico di responsabilità che di fatto non dovrebbero assumersi. Qui dovrebbero scendere in campo la comprensione e la solidarietà degli esterni, l’ascolto non giudicante, la capacità di non voltarsi dall’altra parte, relegando nella solitudine, nel silenzio e nell’impotenza le vittime e i testimoni coinvolti. Questo è ciò che dovrebbero trovare le vittime di violenza nei tribunali. La PAS rimane quindi un mero strumento di violenza intrafamiliare ad uso di padri abusanti e violenti, di avvocati e consulenti che speculano sulle disgrazie di bambini, di danno d’insieme all’intera famiglia, anche composta da padri per bene, ma storditi. La famiglia ha il diritto di essere, invece, tutelata e trattata secondo scienza, coscienza e principi della medicina dell’evidenza, con la speranza che il lavoro della Commissione possa finalmente segnare un punto di svolta.
Mena Trotta