Bloody Sunday, la situazione in Irlanda del Nord a 50 anni dal massacro
Marcia cattolica per i diritti civili nella città di Derry. Credit: Wikimedia Commons

Il 30 gennaio ricorre il 50° anniversario del massacro conosciuto alla storia come “Bloody Sunday”. La “domenica di sangue” accadde a Derry, una delle sei contee dell’Irlanda del Nord. In quel giorno, soldati del Primo Battaglione del reggimento paracadutisti dell’esercito britannico spararono sui partecipanti di una manifestazione per i diritti civili non autorizzata, uccidendo 14 persone. Tale manifestazione, guidata dall’attivista e politico Ivan Cooper, era stata organizzata dalla comunità cattolica con lo scopo di mettere duramente in discussione il sistema discriminatorio sul quale era organizzata la società nordirlandese, a larga maggioranza protestante.

Era il 1972, ovvero l’anno più sanguinoso della guerra civile “a bassa intensità” tra la comunità cattolica e quella protestante, conosciuta come “Troubles”. Visto che l’Irlanda del Nord era una provincia della Gran Bretagna, Westminster considerava questo conflitto come una questione di politica interna, anche per evitare le ingerenze della Repubblica d’Irlanda. Il Governo di Sua Maestà intendeva ristabilire l’ordine all’interno della società nordirlandese attraverso provvedimenti di sicurezza, ovvero rispondendo militarmente agli attentati dei paramilitari dell’Irish Republican Army (IRA). Tuttavia, a lungo andare, eventi quali il “Bloody Sunday” furono la prova evidente che i provvedimenti a breve termine non erano risolutivi del conflitto e, anzi, lo aggravavano. Proprio per questo, Dublino fece pressione affinché la questione fosse risolta trovando soluzioni di ampio respiro.

Nel pomeriggio del 30 gennaio, la Northern Ireland Civil Rights Association (NICRA), organizzazione cattolica, promosse una manifestazione. Il gruppo si schierava contro la cosiddetta “Operazione Demetrius”, un provvedimento di sicurezza che consentiva l’internamento senza processo di cittadini irlandesi sospettati di militare o simpatizzare nell’IRA. A gestire la manifestazione furono mandati in supporto della polizia nordirlandese anche paracadutisti britannici. Come documenta parte della storiografia e viene accuratamente riprodotto dal film “Bloody Sunday” del 2002, diretto dal registra britannico Paul Greengrass, a un certo punto i soldati inglesi aprirono il fuoco sulla folla senza alcuna necessità. Questo atto scellerato suscitò indignazione a livello mondiale: così il conflitto civile nordirlandese passò da una dimensione prettamente domestica a una di tipo internazionale.

A 50 anni dal Bloody Sunday, la situazione in Irlanda del Nord è parzialmente cambiata. La guerra civile terminò con l’accordo passato alla storia come “Good Friday Agreement” del 1998, il quale mise fine ad una spirale di violenza che aveva caratterizzato la società nordirlandese per ben trent’anni. Da allora in avanti, le sei contee hanno incominciato a vivere una situazione di relativa stabilità: la comunità cattolica e quella protestante hanno iniziato a sfidarsi non più attraverso la forza paramilitare, ma tramite organizzazioni e partiti politici. Di fatto, i ricordi di quei trent’anni di violenza non sono mai scomparsi, come dimostrano i murales sui timpani delle case nei quartieri protestanti e cattolici, in memoria dei loro caduti e più in generale della storia delle due comunità. Ne sono l’esempio lampante l’area residenziale cattolica della Falls Road, a ovest di Belfast, e quella protestante della Shankill Road, a est rispetto al centro della città.

La politica è diventata così il mezzo principale per continuare la guerra civile tra le due comunità. Proprio come ai tempi del Bloody Sunday, ancora oggi c’è in gioco niente di meno che il destino della provincia: la comunità protestante persiste nella volontà di rimanere leale alla Corona britannica, mentre la comunità cattolica spinge sempre di più per la riunificazione dell’isola sotto il governo di Dublino. A riaccendere gli animi ci ha pensato la Brexit e il confine rigido istaurato nel Mare di Irlanda, che divide economicamente l’Irlanda del Nord dal Regno Unito. D’altra parte, gli effetti che sta producendo questa vera e propria barriera marittima sono sotto gli occhi di tutti, dopo le scene di guerriglia urbana messe in atto da giovani protestanti durante la prima settimana del mese di aprile del 2021.

Dunque, forte dello status di membro dell’Unione Europea, che per le piccole nazioni si rivela essere una via d’uscita dal dominio dei vicini più grandi, la Repubblica di Irlanda ha ottenuto di fatto l’unità dell’isola a livello economico. Per questo motivo, senza ritornare a situazioni che riproducono i tragici anni del Bloody Sunday, la spallata definitiva potrebbe arrivare proprio dall’Unione Europea. Di fatto, questo attore dal carattere sovranazionale che i brexiters hanno tanto disprezzato e continuano a criticare, si sta rivelando essere il migliore alleato della Repubblica di Irlanda. Così, a Dublino non si chiedono più ormai “se” la restante unificazione politica e giuridica dell’isola avverrà, ma piuttosto “quando”.

Gabriele Caruso

Gabriele Caruso
Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, mi occupo soprattutto di indagare la politica italiana e di far conoscere le rivendicazioni dei diversi movimenti sociali. Per quanto riguarda la politica estera, affronto prevalentemente le questioni inerenti al Regno Unito.

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