Home Attualità La crisi della supply chain minaccia il Natale, ma non il capitalismo

La crisi della supply chain minaccia il Natale, ma non il capitalismo

crisi della supply chain mondiale
Fonte immagine: money.it

Che preferiate parlare di tempesta perfetta o effetto farfalla, la situazione finale non cambia poi così tanto: la crisi della supply chain mondiale è in corso e conviene abituarsi all’idea che il regalo ordinato per Natale non arrivi prima del nuovo anno.

Dai giocattoli al salmone norvegese, dalla frutta esotica alla benzina, passando per microchip e fertilizzanti: il mondo è a corto di merci e potrebbero esserci cattive notizie in vista delle festività natalizie. A dirla tutta, la scarsità di beni, i ritardi nelle consegne e gli aumenti dei prezzi potrebbero proseguire – nella migliore delle ipotesi – almeno fino alla metà del 2022. Fare previsioni puntuali, però, è estremamente difficile poiché questa crisi è la somma di più criticità verificatesi in contemporanea all’interno di più settori.

Ma che la pandemia da Covid-19 abbia rappresentato uno dei fattori di innesco della crisi mondiale della supply chain è cosa certa. Durante la prima ondata, infatti, per arginare la diffusione del contagio molte imprese si sono viste costrette a mettere un freno alla produzione. E questo non solo in risposta alle misure introdotte dai vari governi nazionali. Se si tiene in considerazione che buona parte dei prodotti che acquistiamo è realizzata nei paesi asiatici colpiti in modo più drammatico dal virus, allora non deve sorprendere sapere che migliaia di lavoratori sono stati costretti a smettere di lavorare a causa di problemi invalidanti insorti dopo aver contratto il virus. Molti altri lavoratori, invece, hanno perso la vita.

Ma mentre manodopera e produzione diminuivano, la domanda di beni da parte dei consumatori non si è mai arrestata. Costrette a casa dalla pandemia, milioni di persone hanno sostituito l’acquisto in negozio con l’acquisto online. E proprio il riempimento compulsivo dei carrelli virtuali ha finito col mettere in crisi tutta una serie di settori manufatturieri – come quello dei microchip – la cui produzione tende a essere regolare e, quindi, prevedibile.

La carenza di microchip, a sua volta, ha messo in ginocchio molte altre filiere produttive. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i microprocessori sono componenti essenziali non soltanto di smartphone e personal computer. Anche se in forme meno sofisticate, infatti, essi sono presenti anche all’interno di automobili, lavatrici, tapis roulant e – più in generale – all’interno di tutti quei prodotti che presentano almeno una componente elettronica. Questo ovviamente non significa che i negozi si svuoteranno improvvisamente, ma che (almeno per alcuni prodotti) i tempi di consegna potrebbero notevolmente dilatarsi. Una circostanza, quest’ultima, che rischia di essere ulteriormente alimentata dal fatto che anche il settore della distribuzione è in alto mare. E questo, purtroppo, non è solo un modo di dire. La crisi della supply chain mondiale, infatti, è fomentata anche dai problemi che stanno interessando il trasporto marittimo. Circa l’80 per cento del commercio globale si svolge proprio via mare, dove la situazione è resa particolarmente critica dalla mancanza di container.

Sempre durante la prima ondata di Covid-19, migliaia di container cinesi sono stati impiegati per trasportare i vari dispositivi di protezione individuale in giro per il mondo. In questo modo, sono arrivati a toccare anche quelle zone solitamente escluse dalle rotte del commercio internazionale e poiché questi paesi non sono noti esportatori è stato deciso – per ragioni di convenienza – di non rimandare indietro i container vuoti. Intanto però la domanda nei paesi occidentali continuava a salire ed è stato così che la Cina si è ritrovata senza container con cui far arrivare le merci dall’altra parte del mondo.

La congestione dei porti commerciali statunitensi, la chiusura temporanea di un terminal situato a Ningbo (in Cina), nel terzo porto container più grande del mondo, ma anche l’ostruzione del canale di Suez verificatasi a marzo a causa della Ever Given e i fenomeni meteorologici estremi hanno alimentato la crisi della supply chain mondiale. Se l’insieme di queste contingenze rappresenterà una battuta d’arresto al sistema capitalistico globalizzato è certamente presto per poterlo dire, ma che esse rappresentino un’ulteriore conferma della necessità di mettere quanta più distanza possibile da quella “normalità” a cui tanto ambiamo ritornare è, invece, cosa certa.

Virgilia De Cicco

Virgilia De Cicco
Ecofemminista. Autocritica, tanto. Autoironica, di più. Mi piace leggere, ma non ho un genere preferito. Spazio dall'etichetta dello Svelto a Murakami, passando per S.J. Gould. Mi sto appassionando all'ecologia politica e, a quanto pare, alla scrittura. Non ho un buon senso dell'orientamento, ma mi piace pensare che "se impari la strada a memoria di certo non trovi granché. Se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te".

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.