L’Europa, nella lotta al cambiamento climatico, vuole diventare il primo continente ad impatto zero del pianeta puntando ad un taglio delle emissioni del 60% nei prossimi dieci anni, ma come siamo andati fino ad ora?
Cosa è successo in Europa
Pascal Canfin, presidente della Commissione per l’ambiente del Parlamento europeo (PE) e membro di Renew Europe è stato lapidario: «La lotta alla crisi climatica è la sfida della nostra generazione. Tra il 2020 e il 2050 combatteremo la nostra guerra dei trent’anni.». Canfin si riferiva all’approvazione da parte dal Parlamento europeo dell’emendamento per il taglio delle emissioni di gas serra del 60% entro il 2030.
La proposta ambiziosa, portata davanti al PE dalla Commissione per l’Ambiente del Parlamento europeo (ENVI), ha alzato l’asticella rispetto al precedente impegno preso nel 2019, che aveva fissato come obiettivo un taglio delle emissioni del 40% rispetto ai valori di gas serra registrati del 1990, e alle intenzioni della Commissione von der Leyen che spingeva per un 55%. La vittoria è stata ottenuta con appena 26 voti di scarto con il supporto dei Sociali & Democratici, Renew Europe, Verdi e Sinistra Unita-Gue. I partiti contrari hanno invece espresso preoccupazioni per la perdita di quei posti di lavoro legati alle energie non rinnovabili.
L’obiettivo è legalmente vincolante, ma il PE deve ancora confrontarsi con i Paesi UE non appena il Consiglio avrà trovato un’intesa comune. La risoluzione potrebbe essere tutt’altro che facile, dato che alcuni Paesi si oppongono a molte iniziative per la lotta al cambiamento climatico, come la Polonia e l’Ungheria, mentre altri avrebbero preferito tagli più contenuti, come Germania e Italia.
Con questa decisione l’Europa vuole dare ulteriore forza alla legge europea sul clima per raggiungere la piena neutralità climatica entro il 2050 e per fare dell’UE il primo continente ad impatto zero del pianeta. Al 2018, le emissioni a livello europeo sono diminuite del 23% rispetto ai livelli del 1990, in piena linea con gli obiettivi di medio termine dell’UE, con i soliti esempi virtuosi e pecore nere del caso. L’Italia non è un fanalino di coda, stando poco sotto la media europea con un taglio di emissioni raggiunto del 16%. Sono progressi notevoli, ma oggi si chiede di fare in dieci anni il triplo di quello che si è fatto in trenta.
Quali tagli delle emissioni?
Nella lotta al cambiamento climatico, buona parte delle emissioni di gas serra prodotte dall’UE (il 45%) viene oggi controllata tramite il sistema di scambio di quote di emissione (ETS UE), un sistema di mercato di CO2 fondato nel 2005, il più grande al mondo di questo genere, che mette un tetto al limite di emissioni che possono essere prodotte dagli impianti e dalle imprese, uno dei settori più problematici. Le emissioni diventano una vera e propria merce (le quote), che possono essere comprate o vendute a seconda delle necessità , in alcuni casi anche acquistando (limitati) crediti internazionali. Alla fine di ogni anno, le società devono restituire un numero di quote sufficienti per coprire la quantità di CO2 prodotta, pena il pagamento di multe. Nel tempo questa soglia viene abbassata, così da incentivare un taglio delle emissioni di gas serra. Nel 2020, i gas serra prodotti dai settori disciplinati dall’ETS UE sono state ridotti del 21% rispetto ai valori del 2005. Tuttavia potrebbe non essere sufficiente. Un’iniziativa portata avanti da scienziati e cittadini propone tassazioni per chi inquina, un prezzo della CO2 più alto e un adeguamento alla frontiera le importazioni da paesi terzi: la carbon pricing.
Un altro settore preoccupante resta quello dei trasporti che rappresenta circa un quarto delle emissioni, ma sono ancora ben al di sopra dei famosi livelli di riferimento del 1990. Dal 2021 le nuove auto non potranno produrre più di 95 gr di CO2 per chilometro, ma ad oggi immettono ancora nell’atmosfera 122.4g di CO2/km, mentre le auto elettriche sono ancora una stravagante eccezione, complici i costi proibitivi. Queste ultime nel 2018 rappresentavano appena il 2% di tutti i veicoli europei mentre nel secondo semestre del 2020 il numero di nuovi veicoli elettrici è salito al 7%, ma questo numero strabiliante sembra collegato al Covid-19 che ha frenato l’interno settore dipendente dal petrolio. La sfida dell’Europa, drammaticamente in ritardo sotto questo punto, sarà quella di rimanere competitiva stimolando la transizione verso la mobilità a basse emissioni.
Azioni oltre le intenzioni
Oltre al taglio delle emissioni, sono stati messi sul tavolo numerosi altri obiettivi, come il taglio ai sussidi fossili entro i cinque anni, che rischiano di sembrare un’ambiziosa prova muscolare di buone intenzioni. L’emendamento deve ancora trovare il sostegno del Consiglio e il taglio può essere ancora ridimensionato. I Paesi membri viaggiano a velocità diverse anche rispetto alla lotta contro il cambiamento climatico, come la Polonia che dipende ancora dalle centrali a carbone. Inoltre, non sono mancate critiche riguardo all’effettiva volontà di ridurre nuove emissioni, dato che con il nuovo emendamento si terrebbe conto di quei pozzi di assorbimento di CO2 che prima venivano ignorati nelle analisi. L’Europa sembra in linea per raggiungere gli obiettivi a medio termine del 2020, ma la svolta green sembra ancora acerba e avrà bisogno di molte risorse da qui al 2050.
Carlotta Merlo