Elena Ferrante ha conquistato lettrici e lettori di tutto il mondo con la sua tetralogia de “L’amica geniale“, in cui ha raccontato l’amicizia nata tra due bambine diventate poi adulte. Nello scenario divampano la storia dell’Italia degli anni ’60 e ’70, il boom economico, i rapporti di potere e sottomissione, la rivalsa sociale di chi ha lasciato il Rione e le battaglie femministe.
Elena Ferrante è una leggenda. Non si conosce la sua identità, ci sono state nel tempo varie ipotesi (la più fantasiosa è che potesse essere un uomo…), una vera e propria ricerca per scoprire chi sia la stupenda scrittrice che in ultimo ci ha regalato “La vita bugiarda degli adulti” – da cui Netflix ha tratto una serie tv in uscita a fine anno. La storia di una vita in oscillazione tra la Napoli bene e la Napoli dei quartieri popolari, per arrivare all’epifanica considerazione che, per sopravvivere, indossiamo tutti delle maschere.
Ma tornando alla tetralogia che l’ha resa famosa, grazie alla quale la scrittrice è riuscita a fotografare la realtà di alcune donne del Sud Italia, le “smarginature”, ricostruendo quelli che sono i contesti in cui queste donne nascono e crescono.
Le due protagoniste – Lila e Lenù – sono la rappresentazione non soltanto del femminile dell’epoca, ma anche di quella che era la lotta di classe. Descrivono quella coscienza di classe a cui però manca il senso della collettività che ascolta quello che hanno da dire, ma non le supporta perché non comprende. E allora si passa dal collettivo alla sorellanza: la cura si trova nell’amicizia.
Lila incontra accoglienza ed empatia in Elena. Entrambe faranno i conti con la propria appartenenza di classe, con tempi e modi diversi, perché hanno strumenti differenti per poter urlare la loro esistenza all’interno di una società che sta mutando e che le mette davanti a una triste realtà – la realtà di privilegi e appropriazioni che distingue tra chi è nato borghese e chi no.
Ma L’amica geniale è anche una storia che parla di uomini.
Elena Ferrante li descrive nella maniera peggiore possibile: le manie di grandezza, la violenza, i soprusi, tutto ci parla delle gabbie di una mascolinità tossica e fragile. Gli unici personaggi che si salvano da questa descrizione così poco gentile (per usare un eufemismo) sono sostanzialmente due, quei due che cercano di uscire da quel tipo di retaggio culturale fatto di apparenze machiste.
E se i Solara, Pasquale, Stefano, lo stesso Pietro (che Elena sposa anche se non ama, perché colto, di buona famiglia e in grado di darle quello che ha sempre sognato e che non è riuscita a prendersi da sola) sono uomini che a un certo punto potrebbero quasi intenerire, imbrigliati in una esistenza fasulla e piena di cliché, Nino Sarratore smuove solo ed esclusivamente disprezzo.
Nino Sarratore è peggio del padre Donato – uomo vile che sfrutta le fragilità delle donne, che nasconde dietro la cultura e la profondità d’animo il suo essere viscido. Nino Sarratore è degno figlio di suo padre: portatore sano di mascolinità tossica, superficiale, di una banalità disarmante. Se nei primi due libri era solo un ragazzino scemo e arrogante, negli ultimi due diventa emblema del maschio da cui fuggire. Eppure è un personaggio innocuo, o almeno uno dei più innocui in una serie in cui la sopraffazione di genere è uno dei temi portanti. Nino non picchia, Nino è intelligente, Nino guarda le donne come persone e non come oggetti. Ma la sopraffazione di Nino è subdola, è intellettuale, usa e manipola le donne per raggiungere il piacere, l’amore delle donne è linfa vitale per il suo ego smisurato. Per Nino le donne sono oggetti da collezionare e nasconde questo sua necessità di possesso sotto la maschera della pretesa intellettuale: Nino Sarratore è cattivo, ma la sua cattiveria è mascherata da buona educazione, che gli è utile solo per poter raggiungere i suoi obbiettivi di carriera, vivendo di luce riflessa – quella luce di donne e uomini catturati nella sua tela -, perché il suo unico talento è quello di fingersi interessante. Come dice Lila a Lenù: «Ha la cattiveria peggiore, quella della superficialità».
Invece il talento di Elena Ferrante, che esiste ed è reale, sta anche nel fatto che attraverso le relazioni tra queste donne (non solo Elena Greco e Raffaella Cerullo, ma anche le donne del rione, le madri, le sorelle, le ragazze del movimento femminista, etc…) e quegli uomini riesce a descrivere ad ampio raggio la situazione storica, politica e sociale. Elena Ferrante ha indagato, spesso a fondo altre volte in maniera meno approfondita, quelle che sono le trame della verità di quegli anni, mettendo in luce le innumerevoli contraddizioni di chi decide di rimanere e di chi decide di andare via.
La serie tv de “L’amica geniale”
Davanti a una tetralogia letteraria così complessa la trasposizione cinematografica era un bel rischio. Ma l’obbiettivo è stato centrato: la serie tv non si è discostata dai romanzi, ha cercato anzi di essere quanto più fedele possibile. Sotto l’attenta regia di Saverio Costanzo, Alice Rohrwacher e, per il terzo capitolo, di Daniele Luchetti, la fiction ha la volontà di non deludere i tantissimi appassionati dei libri. La Rai ha portato sullo schermo lo straordinario successo editoriale di Elena Ferrante.
«È un progetto ambizioso che soddisfa molti degli obiettivi del Servizio Pubblico nel campo della fiction. È italiano e internazionale; è universale, ma complesso: è una grande co-produzione di valore globale. Grazie anche alla collaborazione con HBO, editore all’avanguardia nel campo delle serie tv, e, insieme a produttori italiani come Wildside e Fandango, la fiction italiana compie un ulteriore passo in avanti nell’esportazione del prodotto italiano nel mondo. Una strategia che guarda alla qualità e al mercato, giocando la carta della creatività e del talento, tutti italiani, e dell’alto livello di professionalità raggiunto nell’ideazione e nella produzione seriale» sono le parole di Antonio Campo Dall’Orto quando iniziarono le riprese della prima stagione.
L’ultimo appuntamento è andato in onda come sempre su Rai 1. Con “Storia di chi fugge e di chi resta”, la saga de L’amica geniale si concretizza in una terza stagione che vede un cambio di regia: dopo Saverio Costanzo e Alice Rohrwacher, la cinepresa passa a Daniele Luchetti e le differenze sono numerose. Manca in questa stagione la potenza che invece troviamo nei romanzi: belle immagini, bei conflitti, ma a un certo punto la storia diventa statica. Vero è che il terzo libro della serie è quello più lento, quindi probabilmente l’idea del regista era davvero quella di rappresentare lo sfinimento della storia. Rimane ben definita invece la scrittura che, in questi episodi, sottolinea efficacemente la tematica femminista nel percorso delle due protagoniste e altissime sono le interpretazioni del cast di contorno, con note di merito particolari per Annarita Vitolo e Luca Gallone (i genitori di Lenù), Alessio Gallo e Rosaria Langellotto (Michele Solara e Gigliola Spagnuolo), e Sofia Luchetti che ha interpretato la piccola Dede Airota.
In attesa della quarta stagione, con il cambio attoriale delle due protagoniste – le straordinarie: Gaia Girace che pare verrà sostituita da Irene Maiorino e Margherita Mazzucco che lascia il posto (lo abbiamo visto!) ad Alba Rohrwacher -, possiamo sempre rivedere le prime tre stagioni de L’amica geniale su Rai Play.
Valentina Cimino