Walter Molli, giovane artista napoletano, dallo scorso 17 marzo sino al 30 aprile espone le sue opere al Prac di Pizzofalcone.

Dai camioncini ai paesaggi post-industriali, le opere di Walter Molli hanno un tratto originale che le distingue da tutte le altre. Classe 1984, si avvicina al mondo dei graffiti nel 2000; dopo la laurea in Architettura, Molli arricchisce la sua metodologia pittorica contaminando e sperimentando diverse tecniche: dalla pittura ad olio agli acrilici, dall’acquarello allo spray.

L’artista ci ha gentilmente concesso un’intervista in cui racconta il suo percorso artistico e da qualche anticipazione su “DecaDance”, la sua mostra visibile al Prac.

Incominciamo tracciando il percorso artistico di Walter Molli.

“Innanzitutto ho avuto da sempre la fortuna di vivere circondato da opere d’arte: mia madre ha compiuto studi artistici. Mi ha indotto sempre con un approccio critico a qualsiasi manufatto od opera artistica cui mi trovassi davanti: un contributo inestimabile per me.

Per quanto riguarda il mio personale iter sono sempre stato affascinato dai graffiti; ci sono poi  finito completamente dentro dal liceo in poi, entrando in contatto con una comunità creativa, seppur legata all’arte, decisamente parallela a determinate logiche.

L’arte contemporanea e moderna l’ho masticata meglio con gli studi universitari (Architettura); probabilmente anche l’età ed il crescere del mio “senso critico” hanno cominciato a farsi sentire in maniera più prepotente, richiedendo una produzione artistica che prescindesse dal semplice valore formale (quello dei graffiti, seppur corredato da un apporto performativo insostituibile) per restituire un prodotto che avesse un valore più universale, leggibile e intelligibile.”

 Per quale motivo prediligi i paesaggi post-industriali nelle tue opere?

In primis credo che noi architetti siamo affetti da diverse “patologie” nel mondo dell’arte: la prima è un senso di colpa di fondo che ci spinge a dover investigare il territorio, forse perché responsabilizzati dagli studi che abbiamo compiuto sentiamo di dover “restituire” in qualche modo queste conoscenze alla società intera quasi come fossero un monito (senza magari chiederci – ma chi ce l’ha chiesto? -). In secondo luogo sono cresciuto con il mito del post-industriale: il fascino di Bristol, la musica Trip Hop, la decadenza del post-tutto. Nato dopo l’epoca dei rave, troppo tardi per godermi la goldenage del rap o del brit-pop, mi restava solo il post. In un paese di provincia di Napoli che post vuoi vivere? L’unica via di uscita per me erano proprio i graffiti (e lo sport di tanto in tanto), ed è stata per anni l’unico modo anche di misurarmi con il territorio. I luoghi che da semplice passante e/o spettatore ti sembrano angoli dove la gente va a bucarsi, assumono un fascino nuovo ed una dimensione usufruibile: hanno ora un tempo di percorrenza, un interesse più o meno nutrito, dei canoni per essere giudicati e catalogati. Fanno ora parte di una mappa di cui i “comuni mortali” non dispongono: ho aggiunto un layer alla lettura della mia città.”

Hai trascorso un periodo all’estero, perché hai deciso di tornare in patria? Come è stato il ritorno in Italia?

“Credo che gli italiani siano imprescindibilmente legati ad un background culturale che viene soddisfatto  solo in patria; questa “soddisfazione” è un mix di apporto folkloristico, lessicale, sociale…una cosa difficilmente spiegabile. Il ritorno in Italia è sempre traumatico principalmente per un motivo: l’impatto con la “gestione della privacy”: Napoli ti dà tanto ma ti chiede altrettanto; vivere in Francia ha di buono che ti lascia un margine di gestione dei tuoi affari sicuramente più ampio, senza troppe interferenze. Per il resto il ritorno è stato bello perché ho riabbracciato la mia fidanzata, la mia famiglia ed i miei amici di sempre e mi sono dedicato anima e corpo alla mia ricerca in un piccolo studio che ho a disposizione, cosa che mi era preclusa all’estero (nonostante l’impagabile ospitalità dei tanti amici che mi hanno messo a disposizione parte del loro studio o mini residenze in gallerie, che ancora ringrazio). Avere uno spazio a disposizione è una di quelle cose che ti professionalizzano.”

Parlaci un po’ della mostra  “DecaDance” visibile al Prac di Pizzofalcone sino al 30 aprile.

“DecaDance è un progetto su cui lavoravo da tempo; da quando mi sono appassionato alla fotografia amatoriale ho cominciato a catalogare edifici, veicoli, scorci urbani senza però chiedermi il motivo specifico per cui lo facessi. Il momento in cui me lo sono chiesto e mi sono dato una risposta è nato DecaDance: un collage quasi naturale di tutte queste influenze che, se non “spalmate” e analizzate (artisticamente parlando) mi avrebbero altrimenti ossessionato per chissà quanto tempo ancora. La stessa ripetizione di alcuni elementi è stata funzionale alla loro “catalogazione”: il fatto di rivedere un edificio od uno scorcio in diverse combinazioni lo ha nobilitato, rendendolo “degno” alla pari di una ben più prestigiosa veduta della città cui appartiene. Il nome DecaDance richiama un gioco di parole tra Decadenza e Danza: le due cose vanno a braccetto in quanto credo che nel bilancio del nostro delicato equilibrio mentale ci sia un sovraccarico di immagini e simboli.”

Quali sono i modelli di arte classica o contemporanea al quale si ispira Walter Molli?

“Sono probabilmente più influenzato dalle avanguardie degli anni ’20 e ’30 del ‘900 che dall’arte del secondo dopoguerra e successiva. I modelli veri e propri a cui mi ispiro sono i pittori più svariati (dal più classico dei Caravaggio ai super contemporanei miei coetanei) fino alle architetture contemporanee,  passando per il design ed i graffiti. Mi ritengo un onnivoro dal punto di vista dell’ispirazione.”

Mariavictoria Stella

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