Lunedì 22 novembre l’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (PNAT) ha dato il via al piano di eradicazione dei mufloni presenti sull’isola del Giglio. Il presidente dell’Ente Parco, nonché della Federparchi e vice presidente dell’IUCN Italia, Giampiero Sammuri, ha giustificato questo provvedimento affermando che: «Il muflone è una delle 59 specie cacciabili, non è in via di estinzione e non è protetta, e soprattutto è una specie aliena e invasiva che crea danni alla biodiversità e che nel mondo è responsabile dell’estinzione di almeno tre tipi di piante». Tuttavia, questa decisione ha suscitato molte polemiche e ha scatenato la rabbia delle associazioni animaliste. Così, abbiamo intervistato Cesare Scarfo’ del comitato “Save Giglio” per capire quale è la posizione dei residenti dell’isola in merito a questa controversa decisione.
L’Ente Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano è promotore del progetto “Life LetsGo Giglio”. Di cosa si tratta e cosa prevede?
«Il progetto chiamato “Life LetsGoGiglio” è cofinanziato dalla Commissione Europea ed ha un importo complessivo di circa 1,6 milioni di euro. E’ stato ideato e voluto dall’Ente Parco Nazionale Arcipelago Toscano col pieno consenso dell’attuale Sindaco. Esso prevede: l’eradicazione di tutti i mufloni, tramite abbattimenti, con l’utilizzo di animali “Judas radiocollarati” e lacci elastici; la cattura di alcuni tipi di conigli – con trappole; l’estirpazione/controllo del Fico degli Ottentotti – con metodi manuali e con l’uso di teli per provocarne la morte; il diradamento di una delle pinete con il reimpianto di specie native; la creazione di quattro piccoli invasi artificiali per il Discoglosso sardo e la rimozione della tartaruga Trachemys scripta».
Il muflone è una specie autoctona oppure esso è stato inserito all’interno dell’ecosistema dell’isola del Giglio?
«Il nome della nostra Isola: “Giglio”, deriva dalla latinizzazione del termine greco “Aighilion”, che significa “delle capre”. Per millenni la nostra isola è stata popolata da capre selvatiche, oggi le capre sono presenti soltanto in un piccolo allevamento recintato. Ad oggi quindi, l’unico ungulato presente sull’isola allo stato selvatico è il Muflone, antenato di tutte le attuali pecore domestiche. Gli antichi chiamavano il Muflone “Capra aegoceras”, per la somiglianza con la capra specialmente nell’alimentazione. Per l’Isola del Giglio il Muflone ha grande valenza naturalistica, storica e paesaggistica. Mentre l’Ente Parco sostiene erroneamente che i Mufloni sono stati introdotti nell’isola a scopo venatorio in tempi recenti, la verità è che i nostri mufloni sono la popolazione residua di un progetto di conservazione degli anni ’50 che ha contribuito con successo a salvare la specie dall’estinzione. Questo nucleo fu infatti costituito nel 1955 dal Professor Ugo Baldacci, grazie all’interessamento di alcuni dei più importanti zoologi italiani dell’epoca, quali Alessandro Ghigi, Augusto Toschi e Renzo Videsott, e rappresenta un successo nella storia della conservazione della Natura Italiana. Da questa riserva presente sull’isola furono portati anche Mufloni in Sardegna a scopo di ripopolamento. In pratica, questo progetto al Giglio consentì il ripopolamento di Riserve e Parchi in tutta Italia. Va rilevato inoltre che il Muflone del Giglio da quando fu immesso su quest’isola è rimasto geneticamente puro dato che qui non sono presenti greggi di pecore che invece abbondano in Sardegna, Corsica e Cipro, dove sono presenti il maggior numero di capi di Muflone nel Mediterraneo».
Il numero dei mufloni può generare rilevanti squilibri che finirebbero per danneggiare in modo significativo la biodiversità del territorio?
«Al Giglio sono presenti 30-40 mufloni in tutto il territorio, che misura 2.100 ettari. Gli squilibri sull’ecosistema, in ambito mediterraneo, si hanno solitamente (dato preso da studi condotti in Sardegna) quando la densità dei mufloni supera i 28-30 individui per ogni 100 ettari. Qui al Giglio abbiamo in media 1 o 2 mufloni ogni 100 ettari e quindi non abbiamo alcun impatto negativo sull’ecosistema, anzi, la sua presenza aiuta la prevenzione degli incendi, difendendo la biodiversità. Sammuri, presidente del PNAT, della Federparchi e vice presidente dell’IUCN Italia, per definire il muflone invasivo, fa riferimento ad una scheda dell’IUCN stesso, che si riferisce ai danni che il muflone può fare nelle Hawaii. Ma il Giglio è un’isola mediterranea e non ha niente a che vedere con le Hawaii. Tant’è vero che a Cipro, Corsica e Sardegna il muflone è protetto».
Questo tipo di pecora selvatica crea problemi agli abitanti dell’isola e rappresenta un pericolo per l’agricoltura locale?
«Il muflone non è una pecora selvatica ma è l’antenato di tutte le pecore domestiche che derivano da esso. I danni registrati all’agricoltura dal 2007 ad oggi, quindi in 14 anni, ammontano a 1.200 euro, cioè abbiamo una media di 85 euro all’anno, cifra irrilevante. I locali ed i turisti amano il muflone tanto che esso è diventato l’icona del Giglio».
Come ha origine il vostro comitato “Save Giglio”. Di cosa vi occupate e quale è il vostro obbiettivo?
«Il nostro obiettivo è stato di informare la comunità riguardo a tale progetto di cui praticamente nessuno sapeva nulla fino a quando non abbiamo cominciato a pubblicare articoli sulla testata locale “Giglionews”. Abbiamo numerosi esperti che ci stanno aiutando. Il nostro obiettivo è quello di fermare questa azione di eradicazione del muflone che fa parte della biodiversità dell’isola. Ci stiamo anche impegnando per fermare l’eradicazione/controllo del Fico degli Ottentotti, pianta presente da più di 120 anni al Giglio, che fa anch’essa parte della nostra isola».
Esistono soluzioni alternative che tengano in considerazione il progetto promosso dall’Ente Parco e allo stesso tempo riescano a tutelare i mufloni?
«Si. Per i mufloni potrebbe essere istituita una riserva naturale protetta, di circa 200 ettari, nella quale utilizzare un sentiero per gli avvistamenti, una scuola di etologia all’aperto ed un piccolo Museo dedicato ai Mufloni».
Che impatto può avere questa decisione sui residenti e che conseguenze può produrre per il turismo sull’isola?
«Questa decisione ha un impatto molto negativo sull’immagine dell’isola e sulla collettività, che è molto affezionata a questo bellissimo animale, che tra l’altro è tanto raro che molte persone non l’hanno mai visto in tutta la loro vita. Molti turisti hanno dichiarato che se il progetto dell’Ente Parco andrà avanti, non verranno più a visitare la nostra isola».
A ribadire la necessità della drastica decisione ci ha pensato nei giorni scorsi anche il sindaco dell’Isola del Giglio, Sergio Ortelli, dichiarando che il progetto è stato deciso dalla Comunità Europea, il migliore ente per la tutela degli animali e della biodiversità. Tuttavia gli abitanti dell’isola e le associazioni animaliste si sono immediatamente attivati per proporre soluzioni alternative e fermare la mattanza. La portavoce della Lega anti vivisezione (LAV), Claudia Squadroni, è arrivata a minacciare azioni legali contro l’Ente Parco, affermando che «se esiste un’alternativa all’uccisione degli animali, allora è contro la legge ucciderli». Così dopo i momenti iniziali di tensione tra le due parti, in queste ore si è riusciti ad arrivare ad uno stallo dei negoziati che vede la provvisoria sospensione degli abbattimenti. La partita quindi rimane ancora aperta e tutta da giocare, ma questi passi in avanti fanno ben sperare per una soluzione che tenga in seria considerazione il benessere dei mufloni.
Gabriele Caruso