Dopo il braccio di ferro con il Belgio e l’Unione Europea durante il vertice del 27 ottobre i francofoni hanno ceduto alle pressioni diplomatiche e hanno deciso di abbandonare l’opposizione, sbloccando l’impasse del CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement), l’accordo di libero commercio transatlantico con il Canada.
La Vallonia, infatti, aveva detto un no categorico all’intesa, dopo che lo scorso 10 ottobre, il suo parlamento autonomo, con 44 voti favorevoli e 22 contrari, si era espresso attraverso una risoluzione contro il CETA, bloccando la Commissione Europea nei negoziati con la controparte d’oltreoceano. In molti hanno polemizzato sul paradosso di questo veto: un’area di appena 3,5 milioni di abitanti, lo 0.7% della popolazione europea, ha potuto sbarrare le porte a un negoziato internazionale, riguardante 500 milioni di consumatori. Molte anche le critiche al sistema federale belga, che ha permesso che un piccolo parlamentino tenesse sotto scacco l’intera Unione Europea. Secondo la legislazione del Belgio, infatti, in quanto organo legislativo federale, ogni parlamento regionale ha diritto a ratificare o meno i trattati internazionali, vincolando l’intero Paese a queste decisioni.
Critiche anche al Consiglio Europeo e verso il presidente Donald Tusk, che non ha voluto rinviare l’incontro con il governo canadese anche se era da tempo a conoscenza del dissenso della Vallonia. Così, giovedì 27 ottobre il premier del Canada Justin Trudeau si è visto costretto ad annullare il suo viaggio a Bruxelles all’ultimo momento, rinviando la firma conclusiva dell’accordo a data da definirsi. Ma ormai, a quanto pare, l’intransigenza dei francofoni è acqua passata: se i parlamenti del Belgio confermeranno il dietro front della regione con una nuova votazione, il CETA non rischierà la stessa sorte del TTIP, ovvero il rinvio indefinito.
Ancora non sono chiare le condizioni per questa apertura, né se ci sia stato un compromesso sul testo iniziale, ma in caso di modifica il trattato dovrebbe essere rivotato dall’Europarlamento, dai membri UE e dal Canada. Anche se la Commissione Europea sostiene che l’accordo «una volta applicato offrirà alle imprese europee nuove e migliori opportunità commerciali in Canada e sosterrà la creazione di posti di lavoro in Europa», per gli oppositori valloni, ma anche per molte associazioni europee, il CETA minaccerebbe gli agricoltori della regione e gli stessi diritti dei lavoratori, oltre a rappresentare un rischio per la sanità, per le norme a protezione dei consumatori e per l’ambiente.
Ma il no iniziale del parlamento belga si rintraccia soprattutto sulla questione delle controversie economiche, ovvero sulla possibilità per gli investitori stranieri di ricorrere a un tribunale arbitrario, formato da un gruppo privato di esperti di dubbia imparzialità, per portare a giudizio enti locali o nazionali, accusati di aver emanato leggi discriminatorie o inique per l’impresa. Proprio come nel TTIP, secondo i francofoni, questo punto toccherebbe direttamente il tema della democrazia e dello stato di diritto perché agevolerebbe le multinazionali e colpirebbe il potere dei governi di frenare eventuali abusi, o semplicemente di tutelarsi, decidendo i propri consumi e la propria economia.
Ora, comunque, la Vallonia ha cambiato idea e se da adesso in poi tutto procederà come da programma, il controverso CETA sarà realtà dal 1 gennaio 2017.
Rosa Uliassi