
Manca circa un mese al voto presidenziale in Argentina e sembrerebbe che il popolo abbia già il suo beniamino: Javier Milei. Eccentrico, istrionico, carismatico e fuori dagli schemi, l’economista è un outsider che, fino a questo momento, è riuscito a rompere tutti gli schemi della politica argentina: ha inaspettatamente vinto le primarie di partito, superando, per gradimento, le due formazioni politiche che tradizionalmente si dividevano gli elettori argentini, Juntos por el Cambio e Union por la Patria. I sondaggi lo davano attorno al 20%, lui, a sorpresa, è riuscito a prendere circa il 10% in più.
Star dei talk show, dove fa prevalere i suoi toni forti e le sue frasi dissacranti, Javier Milei ha da tempo espresso le sue estreme convinzioni politiche, non risparmiando niente e nessuno (nemmeno il Papa). Accostato all’ultra-destra, in realtà, sarebbe più corretto collocarlo all’interno di quella cerchia, sempre meno ristretta, composta da individui che si atteggiano da leader anti-sistema, senza un vero background politico, e con la soluzione – rigorosamente urlata – in tasca. Un ultra-populista, l’ennesimo di questo secolo.
Il 22 ottobre, gli elettori argentini saranno chiamati a scegliere il proprio futuro e, secondo le ultime rilevazioni, Javier Milei ha ottime possibilità di spuntarla. Chiaramente la campagna presidenziale, che lo vede in netta contrapposizione ai due poli tradizionali del sistema politico argentino (il fronte peronista e la destra liberale), deve ancora entrare nel vivo ma è chiaro che un terzo incomodo, quale è La Libertad Avanza di Milei, possa cambiare e non di poco gli equilibri della politica argentina.
Chi è Javier Milei
Nato nel 1970 a Buenos Aires da una famiglia il cui padre aveva origini italiane, Javier Milei ha maturato il suo interesse per l’economia in tenera età, quando ad 11 anni i tassi di cambio lo incuriosirono a tal punto da voler intraprendere tali studi. Si è guadagnato la sua reputazione di “uomo fuori dagli schemi” grazie alla partecipazione a numerosi talk televisivi in cui, in modo del tutto naturale, si è scatenato contro obiettivi sempre diversi ma tutti ugualmente divisivi e in grado di suscitare dibattito e attenzione. Dalla banca centrale a Papa Bergoglio, dalla vendita di organi ai politici che “devono essere presi a calci in culo”. Il quotidiano El Pais lo ha soprannominato la “furia anti-establishment”.
“L’erede di Adam Smith, il Mozart dell’economia, il demolitore di Keynes”: così si definisce, mentre a scuola era soprannominato “El Loco“, cioè “il matto” per via delle sfuriate e dell’aggressività che dopo tanti anni lo avrebbe portato a diventare uno degli economisti più amati della televisione argentina e deputato del Congresso nel 2021. A capo di alcune società di consulenza private, conduttore radiofonico e televisivo ha anche insegnato all’università. Si conosce meno – o meglio, se non se ne parla – il suo passato affianco ad Antonio Domingo Bussi in qualità di consigliere economico. Per inciso, Bussi fu un militare di un certo rilievo durante la dittatura in Argentina (1976-83), eletto deputato alla fine degli anni ’90 ed espulso dal Parlamento poiché accusato di crimini contro l’umanità.
Cattolico, ma che ha promesso di convertirsi all’ebraismo, appartiene a quella schiera di fedeli che non nutre particolari simpatie nei confronti del Pontefice, tanto da averlo definito come “asino”, “il gesuita che promuove il comunismo”, una “persona nefasta”, il “rappresentante del Male nella Casa di Dio”, un “imbecille”. Il motivo di questi oltraggi sarebbe quello secondo cui Papa Francesco interferisca continuamente nella politica interna argentina, al pari della Banca centrale. Per Milei, inoltre, il grande male dell’Argentina è lo Stato: «Tra la mafia e lo Stato, preferisco la mafia. La mafia ha un codice d’onore, la mafia non mente, la mafia compete sul mercato». La sua filosofia potrebbe riassumersi in questa frase, tanto terrificante quanto identificativa della sua posizione da anarco-liberista.
Nell’anno e mezzo in cui è stato al Congresso, Milei non ha fatto alcuna proposta di legge e non ha presentato nessun progetto. In compenso, ha fatto una cosa molto intelligente e apprezzata dai suoi sostenitori: ha messo a disposizione il proprio stipendio da parlamentare tramite un sorteggio, commentando tale azione a modo suo: «Per me sono soldi sporchi. Lo Stato è un’organizzazione criminale che si finanzia attraverso le tasse prelevate alle persone con la forza. Stiamo restituendo i soldi che la casta politica ha rubato».
La sua vita privata ricalca l’eclettismo del suo personaggio. Si dice che Milei studi la telepatia e che parli con il più anziano dei suoi mastini, morto qualche anno fa, a cui chiede spesso consigli politici. Inoltre, anche le sue dichiarazioni pubbliche, come accennato, sono di quanto più dissacrante il “mercato” possa offrire. Dalla vendita di organi a quella dei bambini, su ogni argomento il candidato presidente ha espresso un’opinione che ha fatto discutere. Ricalcando la filosofia del “purché se ne parli”, i giornali argentini sono pieni di sue dichiarazioni e la sua immagine ormai monopolizza da mesi la scena politica di Buenos Aires.
Sui temi squisitamente politici, Milei si scaglia spesso contro la “casta”, ricalcando un po’ i modi di fare dei populisti nostrani. Le formazioni politiche tradizionali sono responsabili del disastro economico-sociale, dell’immigrazione e di altre congiunture che, nel corso degli anni, hanno interessato il colosso americano. Durante l’ultima campagna elettorale, pur avendo rivisto toni e stili – tempo fa si presentava in pubblico vestito da militare e con il giubbotto antiproiettile – ha continuato ad usare una retorica aggressiva e populista.
Di recente ha anche espresso un giudizio su una delle pagine più nere della storia argentina: i desaparecidos. Si tratta di quelle persone prelevate a forza durante la dittatura e scomparse nei modi più crudeli possibili – come essere gettati da un elicottero in mare aperto. Circa trentamila persone scomparse ma su cui Milei nutre molti dubbi. Definita da lui come “guerra”, nelle ultime uscite pubbliche il candidato ha espresso numerosi dubbi sulla consistenza del numero delle persone prelevate e fatte sparire dalla dittatura. A ciò si aggiunge una sequela di negazionismi: dalla crisi climatica (“una menzogna socialista”) all’aborto, al femminismo e all’educazione sessuale nelle scuole. Favorevole all’uso delle armi, vuole ridurre le tasse, i programmi assistenziali e privatizzare tutto.
I motivi del successo
Dopo essere stato eletto al Congresso nel 2021, Milei aveva palesato l’intenzione di candidarsi alle presidenziali del 2023, ma nessuno gli aveva dato molto credito. Il 10 giugno dell’anno successivo, aveva convocato il suo primo grande raduno nella periferia di Buenos Aires, un incontro risoltosi con un fallimento in quanto erano presenti meno di mille persone. Alle legislative di metà mandato del novembre 2022, il partito di Milei arrivò terzo nella capitale, con il 17%. Da lì in poi la sua formazione politica ha continuato a crescere, non tanto nei risultati elettorali ma nella popolarità, affermandosi come una reale novità.
Come spesso è accaduto in politica negli ultimi anni, le novità non vengono mai prese sul serio fino a quando non diventano un problema per l’establishment dominante. Da Donald Trump e Jair Bolsonaro, Milei potrebbe vivere la stessa ascesa dei suoi illustri predecessori con l’unica differenza che, rispetto all’ex Presidente degli Stati Uniti, le sue posizioni sono molto più estreme e meno concilianti. Ciò, al contempo, potrebbe rappresentare anche un problema per la sua formazione politica, in quanto, fino a quando non cambieranno gli orientamenti elettorali, il voto dei moderati è necessario per sbaragliare la concorrenza. Per questo motivo, durante l’ultimo dibattito a quattro tra i candidati, i suoi toni sono diventati improvvisamente concilianti, tanto che lo stesso Milei ha abbozzato delle scuse al Pontefice.
Mancano meno di tre settimane al voto argentino e media e osservatori si chiedono quali siano le ragioni del successo di Javier Milei. I sondaggi prevedono un testa a testa tra lui e il peronista Sergio Massa, attuale ministro dell’economia. È indubbio che le particolari condizioni economico-sociali dell’Argentina possano contribuire a spiegare il motivo per cui i cittadini preferiscano rivolgersi ad un outsider rispetto alla classe dirigente tradizionale. Il Paese versa in condizioni economiche poco invidiabili, con un’inflazione attorno al 125% e un indice di povertà che sfiora il 42%. Le ricette economiche messe in campo dai governi precedenti hanno ampiamente fallito e, di conseguenza, un candidato di rottura dalla promessa facile e dai metodi poco ortodossi – come presentare il proprio programma elettorale con una motosega – ha vita facile. Una delle regole non scritte della politica chiarisce che uno dei più grandi alleati di un candidato è il disagio sociale. Sta a questo trasformarlo, nel modo che preferisce e ritiene più opportuno, in un catalizzatore della propria campagna elettorale.
La storia ha insegnato, soprattutto negli ultimi anni, come la crisi delle democrazie occidentali abbia portato alla ribalta partiti e politici improbabili. Milei è l’incarnazione all’ennesima del populismo, questa volta in salsa argentina dopo i “fasti” del modello brasiliano. Di politica, questa volta come nelle altre, c’è davvero poco. Sicuramente, giunti a questo punto, sorprende – non del tutto, a dire il vero – come il peronismo, dopo ottant’anni, rischi davvero di giungere all’ultima battuta, messo da parte da Javier Milei e dal suo improbabile programma politico.
Donatello D’Andrea