Elezioni israeliane Lo stallo politico in Israele tra il successo di Gantz e la crisi di Netanyahu
(AP Photo/Oded Balilty)

Le elezioni israeliane anticipate si sono concluse con l’ennesimo nulla di fatto. Il tanto atteso ritorno alle urne non è riuscito a consegnare al Paese una maggioranza solida e in grado di lavorare da sola: lo Stato di Israele, quindi, è ancora invischiato in una complessa crisi rappresentativa che ha fortemente indebolito l’autorevolezza dei partiti maggiori. Gantz, Netanyahu e gli altri protagonisti della vita politica e sociale del Paese si trovano a doversi confrontare con uno stallo a tratti insuperabile.

Tra i più colpiti c’è proprio il leader del principale partito di destra nonché più volte primo ministro Benjamin Netanyahu. L’ex capitano non è riuscito a replicare il successo delle elezioni del 2013 e del 2015, quando una solida maggioranza permise alla sua coalizione di governare in solitaria. Nelle due ultime occasioni, ciò non è stato possibile a causa della nuova alleanza sionista “Blu e Bianco”, guidata dall’ex Capo di Stato Maggiore Benny Gantz, la quale è riuscita a portare a casa ben 33 seggi, due in più del Likud di Netanyahu.

Ora nel Paese predomina l’incertezza. Nessuno, all’infuori della coalizione di centrodestra, vuole Netanyahu come Primo Ministro, poiché indagato per frode, corruzione e abuso di fiducia. Ciononostante, il vincitore di questa tornata elettorale, Gantz, non è in grado di formare una maggioranza (61 seggi).

La situazione, però, è davvero paradossale. Lo spauracchio di nuove elezioni è dietro l’angolo e, nonostante esista questo rischio, la tornata elettorale del 17 settembre non è da considerarsi inutile: è servita per comprendere la portata della sconfitta del Likud e del suo leader, ormai incapaci di conquistare i seggi necessari per governare con la sua coalizione.

Le elezioni israeliane e la sconfitta di Netanyahu

Il testa a testa tra Bibi e Benny Gantz nelle elezioni anticipate del 17 settembre, dopo quelle di aprile, non può di certo rappresentare una vittoria per il Likud e il suo leader, poiché reo di aver sfidato la sorte e di aver perso malamente il vantaggio accumulato qualche mese fa. Fermatosi a 55 seggi, sei in meno della maggioranza, il centrodestra israeliano, un crogiolo di partiti ultra religiosi, sovranisti e nazionalisti, è guidato, non senza qualche difficoltà, da Benjamin Netanyahu, per quattro volte Primo ministro e Premier più longevo della storia del Paese.

Bibi ha fretta di restare al governo, sia per mantenere le scelte politiche di questi anni, sia per difendere la propria posizione personale minacciata dalla magistratura. Ma l’aver forzato la mano, il 30 maggio, per impedire che Benny Gantz ricevesse l’incarico di formare un governo, potrebbe rivelarsi una scelta poco felice. Il vantaggio accumulato è stato sacrificato in nome di una scommessa (vi ricorda qualcosa?), i cittadini sono stufi di tornare così spesso alle urne e, al contempo, l’ago della bilancia non pende più a suo favore bensì verso quello dei partiti minori, come quello di Liberman (Israel Beitenu).

Quest’ultimo, partito degli israeliani di origine russa, staccatosi dall’alleanza nel 2014 a seguito di divergenze sul conflitto con i palestinesi, ha più volte affermato di non voler appoggiare né Bibi, né tantomeno il suo rivale.

Le elezioni di settembre hanno portato, comunque, importanti segnali di novità: il Likud e gli altri partiti religiosi hanno perso voti in favore di Liberman; si è assistito al risveglio degli arabi di Israele (i cui voti sono stati raccolti dalla Lista Araba Comune, 13 seggi), che rappresentano il 20% della popolazione, circa un milione e mezzo di persone discendenti di quei palestinesi che, nel 1948, decisero di rimanere dentro i confini disegnati dalla risoluzione delle Nazioni Unite nella spartizione della Palestina.

Fino ad ora la loro partecipazione alle elezioni israeliane è stata abbastanza limitata, ma per la prima volta, a settembre, il loro senso civico è riuscito a rompere la barriera dell’affluenza, facendola attestare attorno al 70%.

La “scoperta della politica” da parte degli arabo-israeliani è stata possibile proprio grazie al progetto di Netanyahu di trasformare Israele in uno “stato etnico“, dove i non ebrei diventerebbero cittadini di serie B. Il perseguimento di una politica interna razzista, aperta ai partiti ultra-religiosi, e di una estera al limite della bellicosità ha fatto maturare un ritrovato interesse, negli arabi, nella partecipazione politica.

Grazie alla presenza di un partito, Lista Araba Comune, che rappresenta adesso la terza forza politica del Paese all’interno della Knesset tale interesse si è istituzionalizzato. Le elezioni israeliane appena tenute segnano quindi un passo in avanti verso una distensione, almeno sotto il profilo della partecipazione elettorale, tra le varie etnie presenti all’interno del Paese.

Ora, però, Bibi teme il confronto con una magistratura che in Israele non fa sconti. Sia un Presidente della Repubblica (Katzav) che un ex Primo Ministro (Olmert) sono stati condannati per gravi casi di corruzione e per reati sessuali. In Israele un Premier non può essere al di sopra della legge. La necessità di scampare all’umiliazione di un processo, di impedire il suo declino politico e di evitare che il centrosinistra salga al potere hanno portato Netanyahu a commettere una serie di errori strategici che hanno aperto al trionfo di Gantz e all’affermazione della liste di Liberman e degli arabi uniti (di nuovo: vi ricorda qualcosa?).

Innanzitutto l’aver sottovalutato la portata del fenomeno “Blu e Bianco”, ricorrendo alle urne senza il benché minimo timore di perdere seggi. Inoltre, l’aver palesato la volontà di approvare una legge sull’immunità per sfuggire al processo, e il vano tentativo di monopolizzare il dibattito televisivo per spingere gli israeliani a votarlo (tentativo respinto dalle stesse emittenti televisive), hanno fatto “storcere il naso” a più di qualche elettore. Senza dimenticare la proposta del 16 settembre di voler avviare un’impulsiva escalation militare contro i palestinesi, che di fatto lo terrebbe lontano dalle aule dei tribunali.

La posta in gioco è troppo alta per una resa senza condizioni da parte di Re Bibi. Dopo diversi anni di dominio indiscusso, il suo Likud ha cominciato a palesare alcune difficoltà dovute a scissioni, voltafaccia, nonché al riacceso interesse politico degli arabi israeliani. Le elezioni israeliane hanno palesato la crisi della sua figura, nonostante il risultato faccia pensare il contrario, ma l’ex capitano non vuole arrendersi.

La vittoria di Pirro di Benny Gantz e il destino di Israele

Nonostante le elezioni in Israele abbiano premiato l’intraprendenza dell’ex Capo di Stato Maggiore, il Presidente della Repubblica non ha voluto consegnargli l’incarico di trovare una maggioranza governativa. Dopo una votazione avvenuta a maggioranza, la lista degli arabo-israeliani ha deciso di sostenere Benny Gantz in funzione anti-Bibi. Lo stallo persiste, con 57 seggi la maggioranza è ancora lontana dall’essere raggiunta. Una vittoria che ha tutte le caratteristiche del trionfo, ma non il suo sapore.

Entrambi i contendenti ora stanno cercando di circondarsi di quanti più partitini possibili per esercitare una pressione maggiore nei confronti del Presidente della Repubblica. Quest’ultimo ha deciso di conferire l’incarico a Netanyahu (in quanto rappresentate di una coalizione dal valore di 55 seggi), il quale avrà 28 giorni per presentare una maggioranza alla Knesset (e altri 14 se il presidente deciderà di prorogare i tempi).

Nel frattempo, l’ex Primo Ministro ha proposto a Benny Gantz un’alleanza solidale, con periodico ricambio del Premier. Proposta che è stata rispedita al mittente. Le mosse a disposizione di entrambi i contendenti sono numericamente limitate, poiché l’inerzia tende a favore dei “piccoli”. La Lista Araba Comune ha fatto la sua scelta, appoggiando Gantz: ora tocca a Liberaman.

il voto del 17 settembre, va sottolineato, è il quarto dal 2013. La fragilità del sistema elettorale di Israele, figlia di una legge proporzionale tesa a dare visibilità a tutti i partiti, ha finito per accentrare una buona fetta del potere decisionale nelle mani delle piccole formazioni: loro hanno consentito, per 13 anni, a Netanyahu di governare, loro ora potrebbero porre fine alla sua carriera politica.

Donatello D’Andrea

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