Sul finire degli anni Novanta, in un contesto in cui la globalizzazione iniziava ad assumere un significato, connotato negativamente agli occhi di una generazione allora ribelle ed incazzata, gli Shandon, canzone dopo canzone, album dopo album, concerto dopo concerto, hanno contribuito in maniera indelebile ad aprire ai propri ascoltatori gli orizzonti di un universo musicale sino ad allora sconosciuto in Italia. A marcare la direzione e a scrivere la storia di quello che, da lì in poi, sarebbe stato il movimento ska punk nostrano.
Capaci di far riflettere e divertire, gli slogan limpidi, diretti e sfrontati che fuoriuscivano dalle canzoni degli Shandon- guidati dal cantante e frontman Olly Riva– fecero breccia nell’animo di migliaia di adolescenti inquieti, comunicando loro, tangibilmente e senza alcuna tregua, l’alternativa, un modo di essere e di pensare costituito da logiche che non sono estensioni assiomatiche di quelle dominanti.
Abbiamo scambiato due parole con Max Finazzi, trombettistista della band.
Dal 2006 al 2012 vi siete presi – se vogliamo definirlo così – un periodo di pausa. Cosa vi ha portato ad intraprendere una simile decisione?
«Ciao, a tutti! Ci tenevo, innanzitutto, a ringraziare la redazione di Libero Pensiero per lo spazio concessoci. Non avevamo appeso gli strumenti al chiodo, le cose sono andate in maniera leggermente differente. Nel momento in cui avevamo stabilito di pianificare una reunion, allo stesso modo si è deciso che gli Shandon non avrebbero inciso un nuovo album; senza un disco nuovo, non avevamo gli stimoli per continuare oltre. A rifare e rifare costantemente le medesime canzoni, dopo un po’ ci si annoia. È come una storia d’amore: se passi un anno a fare dei grandi incontri con la tua ex, ma non vuoi che diventi tua moglie e nemmeno lei lo vuole, ad una certa è meglio tagliare la corda. Sia la nostra parte più istintiva che quella più razionale erano in totale armonia sull’intraprendere questa scelta drastica, è stato giusto così.»
In questi all’incirca sei anni, ogni componente degli Shandon, ognuno per la sua strada, ha seguito il proprio impulso musicale. Che differenze avete notato al vostro rientro nella scena musicale italiana?
«Ad essere sincero non è stato uno shock per noi, si può dire che ci siamo tenuti allenati con svariati progetti musicali. In tutti quegli anni, Olly ha suonato almeno un miliardo di volte con i Fire, Marco con i Corni Petar, Andrea con i Figli di madre ignota, soprattutto all’estero, noi altri membri abbiamo intrapreso altre strade. Detto questo, noi Shandon abbiamo visto la scena cambiare nettamente, non tanto in termini di qualità della proposta, perché ci sono ancora gruppi più buoni e gruppi meno buoni che si fanno notare, ma per il fatto che per i migliori c’è sempre meno possibilità di farlo. Noi siamo cresciuti sul finire degli anni Novanta grazie ai centri sociali, eravamo più o meno dappertutto, il fatto di esserci era un modo per farci conoscere. Oggigiorno, non esiste nulla di tutto ciò. Una volta, avveniva che, attraverso strumenti dei quali abbiamo beneficiato come, ad esempio, il famoso demo o registrazioni live, il pubblico aumentava e si rinnovava di concerto in concerto. Ora, invece, il movimento è maggiormente statico, non esistono molti complessi musicali come il nostro. La nostra musica è arrivata alle nuove generazioni, che con grande piacere personale assistono numerose ai nostri live, dai genitori, dai media o dal web.»
Chi scrive i testi delle canzoni degli Shandon? Trovate ispirazione dalla vita privata o attingete da esperienze esterne?
«Principalmente Olly, anche se sia Andrea che il sottoscritto prendiamo parte, talvolta, alla stesura. Sebbene abbiamo pubblicato alcune canzoni prendendo spunto da album concept, la maggior parte dei nostri brani trae ispirazione da esperienze di vita reale o considerazioni di carattere personale.»
Vi sentite più vicini alla scena punk inglese o a quella ska core americana?
«Direi alla scena ska core americana. Gruppi come Rancid, Operation Ivy (la prima vera ska core band della scena musicale anni Novanta), Mighty Mighty Bosstones, Transex e i miei cari e amatissimi Sublime – il mio primo libro si ispira al nome della band – sono stati di forte impatto sulla musica degli Shandon.»
Voi Shandon, come vi sentite circa la situazione economico-sociale che stiamo vivendo in Italia in questo ultimo periodo? Esistono dei parallelismi con la situazione di disagio che caratterizzava gli anni Settanta in Inghilterra? Credete che, ai giorni nostri, possa nascere un movimento musicale di ribellione?
«Se devo gettare il cuore oltre l’ostacolo, ti devo dire che la situazione è quanto mai diversa. L’esasperante regime di controllo che viene applicato a qualsivoglia forma di attività, non c’era negli anni in cui i Clash hanno gettato le basi che hanno portato alla nascita di una rivolta culturale. Se tu votavi e avevi una sorta di rabbia ulteriore, non eri monitorato, tracciato, indirizzato e instradato verso determinate categorie sociali, ritenute consone al tuo status interiore. Se oggi hai delle pulsioni verso l’alto o verso qualsiasi nuova idea, il sistema ti priva dei soldi, ti priva degli sbocchi, perché a livello di locali è rimasto ben poco. Quando una band riesce ad esplorare nuovi confini ideologici e musicali, ci pensa Internet a rovinare la festa: in un batter d’occhio, ti ritrovi altri centocinquanta gruppi musicali cloni dell’originale; questo vale anche a livello di creatività, nell’accezione più ampia del termine.»
Vincenzo Nicoletti