Miss Black America, il nuovo libro di Carlo Babando edito da Mar Dei Sargassi edizioni, parte dalla musica e dai ritmi afroamericani per interpretare la cultura venutasi a creare tramite un vero e proprio impatto tra gli immigrati dalla pelle scura e i costumi occidentali, in particolare quelli americani. Il titolo dell’opera riprende l’omonima canzone Miss Black America di Curtis Mayfield, tratta dal disco Curtis del 1970, che incarna perfettamente la fierezza delle origini di ogni portavoce e detentore della cultura afroamericana. Da questo brano si snodano le vicende dei personaggi e degli eventi che hanno portato alla nascita di generi musicali sempre nuovi.
Miss Black America: una disamina sociale
Difficile dire dove e quando tutto sia iniziato. Probabilmente, si dovrebbe partire dalle navi cariche di schiavi neri che solcavano i mari per approdare sulle coste europee e americane. La questione “black people” si è posta fin da subito e ha tenuto duro nei secoli, al punto da risultare ancora oggi in pieno vigore, soprattutto dopo che l’omicidio di George Floyd ha riportato alla luce esigenze politiche e culturali.
Carlo Babando, con Miss Black America, esamina da vicino la questione, ma al centro della disamina non vi è il razzismo stesso, in quanto risulta essere solo una parte del tutto. Piuttosto, la vera protagonista è la musica, che attraversa l’opera come della linfa vitale che permea in ogni campo: politica, storia, società, moda.
Carlo Babando, uno scrittore impegnato
Giovane scrittore, giornalista freelance e insegnante di storia e letteratura, Carlo Babando si dedica alla musica, all’identità e alla cultura afroamericana, sia attraverso articoli giornalistici sia in ambito radiofonico e televisivo. L’opera si pone a metà fra il saggio e il romanzo e in esso emerge tutta la passione per la musica, in particolare la black music, l’insieme di generi musicali nati e sviluppatisi in seno alla cultura del popolo di origini africane che, nel tempo, ha esportato in tutto il mondo la sua cultura.
Una questione sociale
La musica diventa il pretesto per raccontare la lotta civile, la conquista di un posto nel mondo, la vicenda personale di Gil Scott-Heron, le innovazioni musicali di Alicia Keys e Beyoncé Knowles che sottolineano la cultura afroamericana, dando voce a chi spesso non si è mai sentito rappresentato.
In particolare, per l’autore la musica diventa il mezzo di comunicazione per eccellenza attraverso il quale raccontare quel che si è sempre taciuto, ma anche per mettere in luce culture tenute troppo a lungo in secondo piano. La musica qui è un vero e proprio potere, attraverso il quale, chi lo detiene, detta nuove regole.
«W.E.B.Du Bois, uno dei padri del pensiero afroamericano, nel saggio The Souls Of Black Folk del 1903 scriveva che in America ogni individuo nero deve convivere con una doppia coscienza: quella dell’essere nero e contemporaneamente americano, due entità contrastanti e perciò dolorosissime.»
Miss Black America si fa carico di porre delle domande o riproporre quelle a cui non si è trovata risposta, ad esempio: ha senso parlare di immigrati? Oggi una persona dalla pelle scura che vive negli Stati Uniti è a tutti gli effetti un americano da più generazioni: quindi, come mai c’è ancora bisogno di far presente che il razzismo non è ancora superato?
Molti artisti dalla pelle scura sono apprezzati più da un pubblico afroamericano che bianco, forse perché alcuni hanno affrontato varie difficoltà partendo dalla strada o da realtà povere, in quartieri tutt’ora degradati dove è più facile che si sviluppi la criminalità. Questa “ghettizzazione” è alla base della differenza percepita indirettamente e che, invece di risolvere il problema, non fa altro che sottolinearlo.
L’invasione afro
Oltre al brano Miss Black America, anche altri artisti hanno fatto storia. Nel 2018, la cantante Beyoncé ha sconvolto il panorama musicale con un concerto in cui omaggia la cultura afroamericana che ha poi influenzato sia il mercato discografico sia altri campi, come il cinema e la televisione. Nel 2021, è la volta di Ahmir Thompson, conosciuto come Questlove, che firma la regia di Summer of Soul, montaggio di un festival del 1969 che celebra la cultura afroamericana. Insomma, nel tempo, gli artisti afroamericani hanno dato il loro contributo non solo per sconfiggere il razzismo ma anche per consolidare la loro cultura e darle i diritti e la dignità che merita.
La musica permea in ogni campo e gli artisti afroamericani hanno dato il via a una vera e propria invasione della cultura afro, a cominciare dal cinema e dalla televisione. Giganti come Disney con il film Il Re Leone o Marvel con Black Panther sottolineano il protagonismo della cultura afro e il folklore che da sempre la caratterizza. Il rap e l’hip hop nascono in seno alla cultura afroamericana, così come il jazz e il blues. Ciascuno di questi generi ha sconvolto il panorama musicale e discografico della sua epoca.
In editoria, si pubblicano romanzi e soprattutto biografie di artisti afroamericani che hanno lottato per il loro posto nel mondo. Nell’ambito della moda, perfino i grandi nomi come Louis Vuitton o Gucci hanno proposto in passerella abiti ispirati ad artisti e atleti afro. Questo libro, dunque, si propone di celebrare la cultura nata nella culla della civiltà e mescolatasi al contatto con altri costumi, pur restando fedele a se stessa.
Carlo Babando, con Miss Black America, dimostra vastissima conoscenza della storia dell’universo black e la racconta attraverso cantanti, atleti, attori e artisti famosi che hanno accompagnato diverse generazioni. Non dimentica le lotte di Malcolm X, Martin Luther King, e di tutti gli attivisti che si sono impegnati per un futuro migliore, sottolineando il fatto che, nel loro piccolo e con la fierezza che li caratterizza, ogni uomo o donna dalla pelle scura ha contribuito alla causa e ogni artista, col suo talento, ha lottato perché la fiamma della cultura afro non si estinguesse.
«Non voglio più accettare le cose che non posso cambiare: voglio poter cambiare ciò che non accetto. Ecco, guardatevi indietro e scoprirete che ognuno dei percorsi sonori che abbiamo intrapreso insieme riconduce, in qualche modo, a questa frase. L’ha pronunciata Angela Davis, ormai tanto tempo fa.»
Simona Esposito