Piero Angela e Roberto Saviano sono stati molto chiari, intervenendo al Salone del Libro di Torino: la divulgazione non è per tutti.
Sì, avete capito bene:
LA DIVULGAZIONE
NON È
PER TUTTI.
Contestualizziamo la frase: quando Piero Angela afferma che, testuali parole, «chi non ha capito non può divulgare», in quel momento è autocritico ed anche autobiografico, perché sta raccontando di quando per trasformare un suggerimento della famiglia Ambrosetti (gli organizzatori del meeting di Cernobbio) che poi è diventato Quark Economia ha dovuto imparare, assimilare, comprendere e farsi spiegare da esperti del settore concetti di economia per poi renderli usufruibili da qualsiasi spettatore del programma, tanto il bambino quanto la casalinga con la terza media quanto il lavoratore in corso di formazione aziendale.
Con la frase «chi non ha capito non può divulgare» Piero Angela ci ricorda un principio fondamentale della didattica: per comunicare ad altri delle informazioni devi essere tu il primo a padroneggiare il contenuto che vuoi divulgare. Senza la conoscenza, oltre a non saper riconoscere il vero dal falso non si è nemmeno in grado di adattare la forma attraverso la quale il contenuto viene veicolato al livello di chi riceve la comunicazione. In sé, dunque, la frase non è una critica.
Non è difficile, tuttavia, collegare quanto affermato da Piero Angela – conosciuto da tutti per la decennale attività di divulgazione scientifica – all’impegno per contrastare le fake news soprattutto nell’ambito scientifico, come ci ricorda la battaglia combattuta a fianco del virologo Roberto Burioni contro le tesi antiscientifiche del fronte no vax.
La divulgazione, d’altronde, non può spettare a tutti anche per ragioni di coerenza e di etica professionale: essendo la divulgazione uniformata ai criteri della scientificità e della documentazione delle fonti, che sia divulgazione scientifica, storica, culturale o di qualsivoglia argomento, essa deve essere affidata a chi ha il tempo e la voglia di reperire le giuste informazioni attendibili per elaborarle e ritrasmetterle, cioè a chi – lo dice la deontologia professionale non sempre rispettata – è in grado di fare il giornalista.
Certo, questo è un discorso nobile e idealista, ma non tiene conto né del tempo e dei desideri dei lettori e degli spettatori, né dei numeri richiesti da editori ed emittenti, fondamentali per determinare gli introiti pubblicitari – ormai l’unica fonte di guadagno per i media non di Stato in Italia.
È qui che ci viene in soccorso Roberto Saviano. Intervenendo sulle serialità televisive, come Gomorra – La serie alla quale ha lavorato personalmente, ha trovato modo di sottolineare un’ovvietà che ci dimentichiamo di considerare: bisogna relativizzare le percentuali sul pubblico settoriale (o di abbonati), ed in un contesto generale di calo dello share.
La situazione vale tanto per la televisione quanto per la carta stampata quanto per il web: aumentano i competitori, per forza di cose diminuisce la quota di pubblico disponibile per ciascuno. In presenza di abbonamenti, tuttavia, va considerata quanti degli abbonati scelgano di fruire di quel determinato prodotto, e nel caso di prodotti di nicchia quanta parte degli appassionati di un argomento fruisca del contenuto.
Ancora: perché un prodotto sia apprezzato e diffuso, è importante che sia di qualità. Un prodotto con contenuti non verificati viene facilmente bollato come non attendibile, e “macchia” la reputazione di chi lo propone.
Per questo motivo si rende necessario un circolo virtuoso di divulgazione a regola d’arte, per avere un indice qualitativo elevato, che induca sempre più pubblico ad interessarsi al prodotto, che deve mantenere standard elevati, che così possono elevare la condizione del pubblico, che domanderà sempre più qualità.
E INVECE.
E invece siamo qui, ad assistere ad un declino creato dallo stesso sistema che lo dovrebbe combattere: crollano i numeri dell’informazione, perché il pubblico non cerca più le notizie dalle testate classiche; questo perché le testate per sottrarre pubblico a chi si dedica alla divulgazione di fake news abbassano il livello delle notizie a rielaborazioni non corrette dei dispacci d’agenzia; le stesse agenzie non verificano la veridicità di quanto comunicano; la fiducia del pubblico nel sistema informazione cala a picco.
Basti prendere la classifica Audiweb di marzo: vedere TgCom24 e Donna Moderna nella top 10, per esempio, fa riflettere sul dato della qualità, così come ad esempio il dato de Il Messaggero è “pompato” dall’affluenza al portale affiliato Fantagazzetta, croce e delizia di migliaia di fantacalcisti.
La rivoluzione della divulgazione di contenuti di qualità, in modo che diventino il prodotto mainstream, è possibile? Forse sì. A patto, però, di porre la funzione di servizio verso il pubblico al di sopra di qualsiasi interesse, compreso quello economico. C’è qualcuno disposto ad inaugurare questa strada? È tutto da vedere, e per ora è demandato a chi fa divulgazione ed informazione per passione: pochi pazzi, ormai.
Simone Moricca
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