L’incontro di oggi della rubrica “Lettere in Soffitta” riguarda l’instabilità. L’instabilità si nutre di dubbi che prendono forma da semplici ma disarmanti domande. Ad esempio: Chi è un poeta?
Anche spunto per un giovane insegnante che non ha voluto alimentare falsi miti nei propri studenti, ma regalare loro la possibilità di toccare con mano la figura del poeta ai tempi del digitale. Si è svolta così una lezione frontale sui generis, fatta di pregiudizi smentiti e controbattute interessanti; una lezione a cui, il professore Andrea Granvillano ha voluto partecipasse un poeta dei nostri tempi, fresco di stampa, Fausto Paolo Filograna.
Filograna è l’autore di “Persona“, un poema in versi edito da Giuliano Landolfi Editore, un’opera dal respiro ancestrale che spiega umanamente il cielo stellato sopra le nostre teste e la legge morale dentro di noi, illogicamente. Proprio come quell’ultimo sbadiglio che inghiottisce il mondo dell’uomo che è, di fatto, un insensato paradosso. Se la morale è un vincolo necessario, si avrà bisogno inevitabilmente, nel corso della propria vita, di cose duttili e libere e, per questo, immortali: questi sono i doveri, o meglio, le promesse che dovremmo mantenere prima di tutto verso noi stessi. Dunque,“Persona” o sulla condizione umana.
I ragazzi della II liceo del Liceo Scientifico “Alessandro Manzoni” di Bologna, alla domanda chi fosse un poeta, hanno risposto secondo repertorio e immaginario collettivo: un uomo probabilmente afflitto da qualche disagio mentale, possibilmente gobbo sui libri, magari anziano e consunto tra gli scaffali di un’impolverata biblioteca, un Leopardi senza gioia e gravato dal proprio ruolo di cantore. Preconcetti duri da debellare, cui Filograna ha voluto rispondere presentando grandi personalità moderne e contemporanee, che fungessero da baluardo di un’orgogliosa dote che contraddistingue il poeta: la libertà d’espressione. Il privilegio di un’autocoscienza che, croce e delizia allo stesso tempo, porta a pensare e a crogiolarsi del pensiero e che, da potenza, diviene atto solo nella spavalda parola messa per iscritto nero su bianco. Essere poeti è pericoloso quanto coraggioso, è arroganza e rottura nei confronti di una visione preconfezionata e omologata.
In un’epoca personalistica, l’era del significante prima del significato, è stato importante cercare di istruire i ragazzi tramite figure energiche: quindi Vladimir Majakovskij, Sergei Alexandrovich Esenin, Iosif Brodskij, Sylvia Plath. Personalità forti ma profondamente diverse che ricordassero l’importanza della libertà di parola, che instillassero nei giovani il retorico problema del: “che cosa ne pensi tu”. Poeti della rivoluzione, della ribellione al potere, della parola come arma. Non solo “bombaroli”, però, specifica Filograna: Ferdinando Pessoa, del tutto differente, timido e introverso, lontano da ampollose retoriche. Un modello, però, consapevole che nel suo atto di pensare risiedesse qualcosa di più devastante di un’azione bellica. La poesia dunque è mezzo d’espressione della libertà individuale e l’agire del poeta va salvaguardato come atto avanguardistico, nel senso di una presa visione oltre la “siepe del normale”, in avanti rispetto all’ovvio e prima dei restanti osservatori distratti dai proprio ruoli nel mondo.
«Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato.
Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo.
Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto.
Ma sono, e forse sarò sempre, quello della mansarda,
anche se non ci abito;
sarò sempre quello che non è nato per questo;
sarò sempre soltanto quello che possedeva delle qualità;
sarò sempre quello che ha atteso che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta,
e ha cantato la canzone dell’Infinito in un pollaio,
e sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso.»
[Tabaccheria – Ferdinando Pessoa]
Un arduo compito, che sa di fatica e duro lavoro, che può essere ragione di vita per chi di vita ne ha avuto abbastanza. È il caso della Plath, suicida nel 1963, che si uccise non prima di aver completato la sua ultima poesia, “Orlo”. Giusta osservazione quella del ragazzo che ha chiesto il perché di tale gesto se, in effetti, nella poesia poteva esserci una ragione di vita. Il punto è un altro, spiega Filograna, comprendere che la poesia ha probabilmente fornito alla Plath un buon motivo per sopportare più di quanto potesse, concentrando nello scrivere e, non in altro, tutte le sue ultime energie. Finché follia e malattia non hanno vinto, consumando tutto lo scibile.
La donna è a perfezione.
Il suo morto
corpo ha il sorriso del compimento,
un’illusione di greca necessità
scorre lungo i drappeggi della sua toga,
i suoi nudi
piedi sembran dire:
abbiamo tanto camminato, è finita.
[Orlo – Sylvia Plath]
«La poesia è e c’è, tanta», sentenzia Filograna, «probabilmente, a vivere maggiori incertezze, oggi, è l’editoria.» Da qui la frequente domanda di auto-produzione, «quasi una richiesta d’aiuto e di comunicazione dal basso.» In una società telematica e mediatica come quella attuale, si ha chiaramente una maggiore possibilità di pubblicazione (perlopiù online e gratuita), un’occasione concessa a molti, a tanti e, inevitabilmente, la produzione perde di qualità e ricercatezza. Il poeta quindi è un personaggio in fieri, una figura che deve nuovamente ridefinirsi, come per ogni era e generazione. Nel nostro caso, abbiamo alle spalle enormi colossi e nomi preceduti dalla loro fama (è sempre difficile essere i figli di grandi eroi!) ma nessuna guida capace. «E l’incertezza agisce come un totalitarismo: oblitera le menti e può indurre in depressione» ma, come coltre che pressa dall’alto, può portare al rinnovo a patto che si abbia la determinazione di opporsi. Le condizioni di caos, i confini incerti, le regole indistinte creano i giusti presupposti per qualcosa di nuovo.
«Le crisi non vanno tamponate, le crisi vanno vissute fino in fondo.»
Per concludere, ricorda Filograna, «il ruolo del poeta è uno: scrivere.» Proprio come la stessa nozione di”poesia” rammenta (dal verbo greco ποιέω che traduce il “fare” praticamente): «la poesia è un fatto. Il poeta, rifacendomi a Joyce, ha a che fare con il linguaggio e il linguaggio ha a che fare con il mondo. Quando il poeta vede, banalmente, è come se ri-semantizzasse il mondo.»
Restituisce il vero significato ad un significante senza volto e accezione. L’atto del poeta «è re-visione. Una riforma, decisamente più cosciente della rivoluzione.»
Pamela Valerio