Elly Schlein ha vinto le primarie del Partito Democratico, diventando la prima Segretaria. Già Eurodeputata (S&D, 2014-2019), poi Vicepresidente della regione Emilia Romagna (2020-2022), autrice di “La nostra parte. Per la giustizia sociale e ambientale, insieme” (Mondadori, 2022), infine, Deputata della XIX legislatura.
Nel 2022 aveva riunito diverse voci del campo progressista a confrontarsi in occasione di “Visione Comune“, eleggendo il Parco delle energie, situato nel cuore del Quartiere Pigneto a Roma, come luogo adatto a ospitare l’evento. In collegamento Zoom Giuseppe Conte ed Enrico Letta. Se sembrava prematuro parlare di elezioni e coalizioni, era più che mai necessario costruire alleanze.
Sono d’accordo con chi sostiene che sia la nemesi perfetta di Giorgia Meloni. Pochi giorni prima del voto alle politiche, nel suo discorso di chiusura aveva ripreso e alterato il suo testamento di “donna, madre e cristiana”: «Sono una donna, amo un’altra donna e non sono una madre, ma non per questo sono meno donna». Elly Schlein parla di leadership femminista contrapponendola alla leadership femminile: il nocciolo della questione è l’intersezionalità, che chiama in causa sia il patriarcato che la governamentalità neoliberale. Cosa ci insegna questa esperienza?
Lo zoccolo duro
La vittoria arriva a dieci anni di distanza da #OccupyPD, movimento di occupazione delle sedi del partito guidato da Schlein per esprimere dissenso contro le larghe intese e sfociato poi nel suo allontanamento dal PD insieme a Pippo Civati. In questo lasso di tempo il dibattito ha lentamente interiorizzato l’assopimento prima della vocazione maggioritaria, poi della corsa al centro. Il cambio di vertice trasformò il partito da promotore di mobilitazioni sociali a porto sicuro per l’establishment, con un continuo drenaggio di idee e risorse che ne ha irrobustito la polarizzazione: chi non voleva vincere, doveva andarsene. L’abbaglio di una via blairiana, della rottamazione per mezzo del liberalismo progressista, ha impedito una discussione vivida e sincera sullo scollamento tra aspettative dell’elettorato, posizioni e, soprattutto, proposte, sia in termini di temi che di nomi. La sinistra si popolava di una costellazione di delusə. La disfatta delle regionali 2023 in Lombardia e nel Lazio segnano, forse, il punto più basso raggiunto nei consensi.
Dovremmo tornare a discutere di cosa sia “la sinistra” – ci invito costantemente a farlo – e recuperare quel linguaggio anche nel nostro utilizzo quotidiano, esplicitando le contraddizioni con cui conviviamo. Poi potremmo fare i conti con un decennio di insuccessi, di incapacità a interpretare le fasi e di praticare conflitto. Da tempo sento ricordare con nostalgia i tempi della guida Bersani (durante le Quirinarie il suo nome è ricorrente, probabilmente è anche uno degli endorsement più importanti ricevuti in questa competizione), delle coalizioni arcobaleno e delle battaglie identitarie. Ida Dominijanni affida a Facebook alcune considerazioni: «[…] Non sta risorgendo il Pci, né un solido partito socialdemocratico. Si sta smuovendo un pantano però, smottando verso sinistra, e questa è un’ottima notizia. Che magari contribuirà a fare smuovere anche il pantano a sinistra del Pd, chissà». È così, spostare il Partito democratico su posizioni socialiste è l’occasione per ricucire un fronte e promuovere una coalizione basata sui programmi. E il posizionamento sulla guerra sarà decisivo.
I festeggiamenti del Terzo Polo per il chiarimento sull’identità politica dell’avversario ci ricordano, però, che dopo essersi convintə della posizione che si vuole occupare, sarebbe il caso di occuparsi della fiducia di elettrici ed elettori. Il calo della partecipazione elettorale è il dato negativo con cui bisogna fare i conti. E per certi versi anche i risultati ottenuti al Sud, fronteggiando i Governatori di Campania e Puglia.
Anche stavolta non ci hanno viste arrivare
Viviamo in un Paese monolitico dove tutto sembra dover restare uguale per sempre. Le due donne più carismatiche e appartenenti alle aree speculari dello spettro politico diventano Presidente del Consiglio e Segretaria di partito, guidando rispettivamente la maggioranza e il primo partito di opposizione in Parlamento. Mesi fa dicevo di Giorgia Meloni che “la sua presenza nel frangente storico e nell’ala più conservatrice del Paese dimostra i progressi compiuti verso l’emancipazione dalla divisione sessuale dello spazio politico“. La vittoria di Schlein è il coro che si ribella contro la subordinazione a cui ci hanno relegatə i direttori d’orchestra del campo progressista. Con la citazione di Lisa Levenstein ad aprire una nuova stagione.
Quel senso di frustrazione che ci ha accompagnatə per anni nel sentirci sempre inadeguate ai ruoli, dinanzi al protagonismo di compagni incapaci di sostenerci nei fatti, dando per scontato, considerata la nostra natura, l’interesse verso incarichi e temi di cura e identità all’interno del movimento e del partito. Dimostrando, e convincendoci, che non fossimo all’altezza quando ci andava bene; altre volte, dovendo spiegare che non esistono differenze strutturali che allontanano le donne dalla politica. Con le eccezioni di Beatrice Brignone (Possibile), Viola Carofalo e Marta Collot (Potere al Popolo), basta ricordare come fu ignorata Monica Cirinnà (PD) quando avanzò l’ipotesi di una candidatura alle primarie in vista delle Comunali a Roma. Schlein torna a casa, sfida l’autorità e rivendica la sua appartenenza ideologica. E vince, contro ogni pronostico. Nel suo discorso (testo integrale qui) si legge: «Siamo qui per aprire quel varco, lo facciamo sul serio. Abbiamo già iniziato a farlo. Siamo qui pensando a quella ragazza a cui voglio dedicare una parte di questa vittoria, perché quando ci siamo incontrati aveva detto che a una prima riunione di partito qualcuno le aveva chiesto: “Di chi sei?”. Ecco, la miglior risposta è oggi. Da oggi è solo di se stessa, come tutti noi». Lasciateci fare, lasciateci sbagliare.
Parte da noi
È il momento in cui il ruolo dello Stato, il contrasto alla precarietà e l’attenzione nei confronti della giustizia sociale, climatica e di genere riconquistano fascino invadendo vari livelli della politica internazionale. “Parte da noi” sembra la risposta generazionale a “Italia. Bene comune“. Ci ricorda che nessuno sosterrà le cause che ci stanno a cuore al di fuori di noi stessi, e non individualmente, ma articolati nelle moltitudini complesse che ci caratterizzano. Compresa la difesa dei valori dell’antifascismo. Calzante per la campagna di Elly Schlein, portata avanti con un grande senso di responsabilità e ascolto, anche nel ricordo di chi non c’è più. Non la rottamazione, ma la riconciliazione tra i millennials e le frange più anziane.
È questa la visione che può definirsi opposizione nel Palazzo, ma spero che trovi il modo di coordinarsi anche con chi è fuori. Al lavoro e alla lotta Segretaria.
«Questo corpo vestito di rosso leggero, dopo tanto pallore riavrà la sua vita»
(“Agonia, Lavorare stanca”, C. Pavese)
Sara C. Santoriello