sunniti sciiti medio oriente
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Parlando di Medio Oriente e dei conflitti che lo affliggono non manca mai qualcuno che per spiegarne le cause tira fuori, con aria da esperto, l’argomento dell’odio millenario tra sunniti e sciiti.

A quel punto, qualcun altro chiederà candidamente qual è la differenza tra i due gruppi ed il nostro ‘tuttologo’, il quale ha passato ore a studiare l’argomento (probabilmente su Wikipedia), potrà iniziare una dissertazione storica sulla grande scissione avvenuta tra sunniti e sciiti nel settimo secolo.

In difesa del tuttologo c’è da dire che la sua è un’opinione più che condivisa, specialmente nella scena politica americana, forse uno dei pochi temi di politica estera che mette d’accordo repubblicani e democratici.

Tuttavia, quest’argomentazione per quanto affascinante, dato che permette di spiegare tanto la presenza di regimi dittatoriali quanto la realtà di conflitto costante in Medio Oriente, è scientificamente scorretta.

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Sunniti e sciiti in Medio Oriente: oltre l’essenzialismo e il dominio della post-verità

Come hanno dimostrato Nader Hashemi e Danny Postel in un interessante libro dal titolo Sectarianization (pubblicato in Europa da Hurst Publishers), non c’è niente di più sbagliato dell’idea di un Medio Oriente diviso da tensioni antiche.

Le radici storiche della differenza tra sunniti e sciiti ci aiutano a capire il Medio Oriente contemporaneo, tanto quanto la riforma protestante ci aiuta a capire la politica tedesca attuale (cioè per nulla).

Tuttavia è vero che le tensioni tra sunniti e sciiti sono presenti, molto più rispetto a 50 anni fa, in Medio Oriente. Perché? Quello che ci può aiutare a districarci è l’evoluzione storica e politica di queste differenze.

Innanzitutto, c’è da dire che la differenza tra sunniti e sciiti va molto aldilà della differenza dottrinale tra due confessioni della stessa religione: si tratta piuttosto di un intricato rapporto tra identità religiosa, etnica e politica.

A grandi linee, quello che vediamo oggi è un’associazione del tipo: sunniti, fondamentalisti dell’ISIS e di al-Qaeda, contro sciiti, discriminati ovunque tranne che in Iran. Ma la situazione è un po’ più complessa di così.

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Se da una parte è vero che la differenza tra sunniti e sciiti ha preso una dimensione etnica, è anche vero che la dimensione fondamentale rimane quella politica.

Chi sostiene la tesi che sunniti e sciiti sono due gruppi fondamentalmente diversi e che il conflitto è inevitabile sta sposando una concezione essenzialista dell’identità. La stessa concezione che crede che una nazione si basi su legami biologici di sangue tra i connazionali, sulla purezza razziale e fa ricorso a storie e tradizioni fondative di un popolo per spiegare l’origine delle nazioni.

Noi rifiutiamo quest’idea. Il nazionalismo è piuttosto una creazione politica, un mito necessario a conseguire determinati obiettivi. Allo stesso modo riteniamo che l’acuirsi della differenza tra sunniti e sciiti sia frutto di un progetto politico.

Iran vs Arabia Saudita: la battaglia per l’egemonia regionale in Medio Oriente

In realtà, la differenza tra sunniti e sciiti è rimasta sopita fino al 1979. La Rivoluzione Iraniana e la creazione di una repubblica teocratica dall’altro lato del Golfo Persico diede un senso del tutto nuovo all’identità religiosa islamica.

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La rivoluzione islamica in Iran fu vista dall’opinione pubblica musulmana come una sfida all’imperialismo occidentale, la vittoria di un’identità musulmana non più sottomessa ad una cultura estranea ma finalmente indipendente e padrona del proprio destino.

Ma quest’accoglienza benevola non rientrava nei piani dell’Arabia Saudita, monarchia conservatrice storicamente alleata degli Stati Uniti, che, preoccupata per il mantenimento dell’egemonia regionale, tentò di darne una lettura diversa. Non più una rivoluzione islamica, ma una rivoluzione persiano-sciita.

Contemporaneamente, l’invasione sovietica dell’Afghanistan e il finanziamento e supporto occidentale (e saudita) all’opposizione religiosa dei Mujahideen, diedero un grandissimo impulso alla formazione di gruppi armati sunniti dall’ideologia wahhabita e anti-sciita, quelli che successivamente si sarebbero trasformati in al-Qaeda.

Un altro momento chiave della battaglia per l’egemonia regionale tra Iran e Arabia Saudita è stata l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003.

L’intervento diretto degli Stati Uniti per far cadere il regime di Saddam Hussein piacque a entrambe le grandi potenze: da una parte, l’Arabia Saudita si liberava di un vicino potente e potenzialmente scomodo, dall’altra l’Iran vedeva finalmente sparire il nemico di sempre. Insomma una vittoria per tutti, e di cui tutti hanno cercato di approfittare.

Al clima di violenza generato dall’attacco degli Stati Uniti, in piena fase aggressiva post-11 settembre, gettarono benzina sul fuoco i due rivali regionali tramite una retorica confessionale. La guerra civile irachena, fomentata dalle milizie islamiste, si è rapidamente trasformata in un conflitto tra sunniti e sciiti.

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La Primavera Araba e il conflitto in Medio Oriente: ancora una volta, sunniti vs sciiti (o Arabia Saudita vs Iran)

Una dinamica molto simile è alla base degli eventi che hanno portato le proteste anti-regime, la cosiddetta Primavera che dal 2011 è scoppiata in tutto il mondo arabo, a trasformarsi in un conflitto regionale ed internazionale.

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I dittatori, messi alle strette dalle proteste popolari, hanno utilizzato una retorica religiosa per attirare il supporto militare dei propri alleati, in Siria Assad è spalleggiato dall’Iran e l’opposizione dall’Arabia Saudita, e per dividere il fronte anti-regime.

Nel caso della Siria l’utilizzo di una retorica confessionale è servito dunque a due scopi: a livello regionale, a distribuire gli aiuti esterni su due fronti compatti (sciiti con il regime e sunniti con l’opposizione); a livello locale, Assad ha utilizzato la “confessionalizzazione” per rompere le fila del fronte democratico anti-regime, portando la minoranza sciita dalla sua parte e “sunnizzando” l’opposizione, dipingendo le proteste popolari come una rivolta di pericolosi terroristi.

Una concezione essenzialista del conflitto tra sunniti e sciiti non può che fare danno, perché non ci aiuta a capire cause e conseguenze dei conflitti in Medio Oriente.

Al contrario una dimensione storica e geopolitica fa chiarezza sulla questione, illuminando i rapporti di potere tra le grandi potenze e la manipolazione dell’identità messa in atto dagli attori politici per raggiungere i propri obiettivi.

Claudia Tatangelo

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