Mercoledì 26 ottobre il Comitato del patrimonio mondiale dell’UNESCO ha approvato una risoluzione che echeggia la precedente nel negare, secondo il parere delle autorità israeliane, il legame culturale, storico e religioso tra l’ebraismo e il Monte del Tempio. Emmanuel Nahshon, portavoce del Ministero degli Esteri ebraico, ha definito «spazzatura» quanto votato nella giornata di ieri.
Una prima “risoluzione della discordia”, destinata a incrinare i rapporti con la nazione di Netanyahu, era stata votata il 13 ottobre e adottata ufficialmente il giorno 18 dello stesso mese. Israele all’interno del testo è additata quale «Potenza Occupante» di Gerusalemme Est. Per il premier israeliano, la risoluzione è «assurda».
La risoluzione risalente a ieri, che ripete quanto già sostenuto nella precedente, ha adottato il voto a scrutinio segreto: su venti voti, dieci sono stati favorevoli, due contrari e otto astenuti.
La votazione del 18 ottobre aveva registrato il medesimo esito della votazione tenutasi il 13: ventisei astensioni, tra cui quella italiana, a fronte di soli sei voti contrari – Germania, Estonia, Stati Uniti, Lituania, Paesi Bassi, Regno Unito – e ventiquattro voti favorevoli. Il Messico avrebbe ritirato il proprio voto favorevole tramutandolo in astensione.
Il testo del 13 ottobre, curandosi di citare in apertura i riferimenti normativi delle affermazioni che sarebbero seguite e di premettere i legami esistenti tra le tre religioni monoteiste e la Città Vecchia di Gerusalemme, accusa Israele di aver occupato territori, di proseguire scavi e progetti edilizi «in Gerusalemme Est ed in particolare all’interno ed intorno alla città vecchia» e di essere responsabile di aggressioni ai danni di cittadini e religiosi palestinesi. È altresì accusata di essere responsabile dei blocchi e degli attacchi nella zona della Striscia di Gaza.
La risoluzione, che ha tra gli obiettivi la «salvaguardia del patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est», disegna i contorni di un Israele usurpatore, cui sono da imputare sia le turbolenze e le violenze subite dai palestinesi nei territori oggetto di contesa, sia la riluttanza nel rispettare le decisioni internazionali adottate in materia di tutela del patrimonio artistico, culturale e storico di Gerusalemme.
L’UNESCO ha invitato Israele a «ripristinare lo Status Quo storico», che riconosce al Jordanian Awqaf Department (Religious Foundation) l’autorità su Al-Haram al-Sharīf, vale a dire il Monte del Tempio ebraico.
“Moschea al-Aqṣā” e “Al-Haram al-Sharīf” sono altresì le uniche diciture presenti nel testo per riferirsi al Monte del Tempio.
La scelta di utilizzare le sole varianti arabe si è tradotta, secondo la nazione di Netanyahu, nella volontà di negare i legami esistenti tra i siti citati e la religione ebraica. Tale accusa è alla base della manifestazione di dissenso da parte della comunità israeliana ed ebraica, che si è dichiarata lesa dalla negazione dell’UNESCO.
Israele, nella figura di Yuli-Yoel Edelstein, ha invitato il Vaticano a intervenire, poiché la risoluzione sarebbe «un affronto per i cristiani e per gli ebrei».
Ma ad appoggiare la battaglia israeliana è stata la stessa Irina Bokova, Direttore Generale dell’UNESCO, che il 14 ottobre, all’indomani della prima votazione, ha dichiarato che «Gerusalemme è città sacra alle tre religioni monoteiste – Ebraismo, Cristianesimo e Islam. È in nome del riconoscimento di questa eccezionale diversità, e di questa coesistenza culturale e religiosa, che è stata inscritta nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO». La Bokova prosegue il suo discorso citando gli episodi narrati nei testi sacri che legano in maniera indissolubile la storia di Gerusalemme alla storia delle tre religioni e conclude sottolineando che scopo dell’UNESCO è quello di preservare la Storia – fatta di tradizioni, culture e diversità – ed essere portavoce di valori quali tolleranza e pace.
Tolleranza e pace sono, invero, i valori che più appaiono in bilico a seguito dell’approvazione della risoluzione. Netanyahu ha manifestato tutto il proprio sdegno nei riguardi dell’agire dell’UNESCO, annunciando nell’immediato l’interruzione dei rapporti con l’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Rilevante a tale riguardo è anche la composizione dei vari gruppi che hanno interagito con la risoluzione: a presentarla, sostenuta dall’Autorità palestinese, sono stati Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan, mentre a esprimere voto favorevole, oltre agli Stati promotori, sono stati tra gli altri Iran, Russia, Cina, Brasile, Vietnam e Pakistan. Considerando il voto contrario di Stati Uniti, Regno Unito e Germania, si denota una spaccatura che va al di là del conflitto di attribuzione di territori tra la Palestina e Israele, evincendosi piuttosto due blocchi contrapposti, tutelanti interessi interagenti eppure opposti.
Il politologo americano Kenneth Schultz, in un’intervista pubblicata da la Repubblica, così motiva la natura controversa della risoluzione:
«Perché la ridefinizione di un territorio è strettamente legata all’identità nazionale. In questo caso, un’organizzazione internazionale in sostanza arriva a negare le connessioni tra Israele, il Monte del Tempio e il Muro del Pianto. È comprensibile che ciò provochi rabbia, negli israeliani: non solo vedono negati i loro legami religiosi a quei siti, ma la questione ha a che fare con l’affermazione della loro identità come popolo. Viene intesa come un tentativo di indebolire l’affermazione della sovranità statale di Israele».
Schultz, affermando che «la disputa culturale è indissolubilmente legata alla contesa politica», ritiene che la risoluzione discussa sia controproducente ai fini dell’auspicata pace tra i due popoli.
Alla soluzione dei due Stati ha fatto riferimento anche il ministro Gentiloni, che sposando la linea di Renzi ha criticato l’astensione dell’Italia e disapprovato l’operato dell’UNESCO, che avrebbe scelto di agire su un piano politico anziché prettamente culturale – «non si può accettare l’idea che invece di concentrarsi sul patrimonio culturale diventi cassa di risonanza di tensioni politiche» – e così facendo avrebbe compromesso la possibilità di dialogo tra Israele e Palestina. Gentiloni ha inoltre dichiarato che, qualora ad aprile la questione dovesse riproporsi negli stessi termini, l’Italia esprimerebbe voto contrario.
Ad esprimersi negativamente sulla risoluzione è anche l’UCEI, che in un comunicato del 26 ottobre stesso scrive:
«[…] Come nella risoluzione della scorsa settimana, in questa più recente il complesso del Monte del Tempio viene chiamato solo con i nomi islamici: Moschea Al-Aqsa e Al-Haram Al-Sharif. Rispetto però al precedente documento, quest’ultimo omette anche all’inizio di menzionare l’importanza della Città Vecchia di Gerusalemme “per le tre religioni”. Ebraismo ma anche cristianesimo scompaiono dalla storia, almeno secondo 10 dei 21 paesi che compongono il Comitato e che hanno votato sì all’ultima risoluzione […]».
Di parere diverso è stato Nabil Abu Rudeina, che all’indomani della risoluzione votata il 13 ottobre ha sostenuto come questa sia da interpretarsi quale «messaggio chiaro per Israele di mettere fine all’occupazione e di riconoscere lo Stato palestinese con Gerusalemme Est capitale inclusi i luoghi santi cristiani e musulmani».
La questione sollevata dall’agire dell’UNESCO abbraccia dunque più esigenze, tutte in apparenza parimenti valide: da un lato la necessità di rivendicare il ruolo storico di taluni siti per talune culture, dall’altro la necessità di assicurare applicazione alle decisioni internazionali nell’ambito dell’attribuzione di competenze territoriali. Sullo sfondo di ambedue esigenze appare infine esserci una dialettica tra due Stati sostenuta ed alimentata da confinanti e alleati al fine di affermare ognuno la propria influenza su scala internazionale.
Rosa Ciglio