La foresta amazzonica emette più CO2 di quanto riesca ad assorbirne durante tutto il corso dell’anno. Il respiro mozzato dell’Amazzonia è dovuto in gran parte agli incendi dolosi e alla deforestazione che stanno devastando la zona per liberare il terreno e favorire lo sfruttamento delle risorse naturali. L’Amazzonia sud-orientale, un bacino incommensurabile di ossigeno che ha assorbito un quarto delle emissioni di combustibili fossili prodotte dal 1960, è divenuta oggi essa stessa una fonte di anidride carbonica. A dimostrazione dell’origine antropica del cambiamento climatico, le responsabilità di questo disastro vengono assegnate al presidente brasiliano Jair Bolsonaro, accusato di aver promosso una delle peggiori deforestazioni degli ultimi 12 anni.
Incendi e deforestazione: ecco come la foresta amazzonica inizia a produrre emissioni
Secondo lo studio riportato da Nature, gli incendi, la deforestazione e l’aumento della temperatura della parte orientale dell’Amazzonia hanno compromesso drammaticamente, se non invertito, l’assorbimento di diossido di carbonio da parte della foresta.
Nonostante le difficoltà di misurazione, date dall’inaccessibilità di alcune regioni e dalla persistenza di fitte nuvole, le misurazioni satellitari dei livelli atmosferici di CO2 e di monossido di carbonio e altri tipi di rilevamento mostrano che il bilancio annuale di carbonio in Amazzonia è molto sensibile alla siccità e agli incendi. I cambiamenti climatici in atto nelle foreste orientali sono sconvolgenti, soprattutto se paragonati a ciò che sta succedendo nel resto del mondo: negli ultimi 40 anni durante la stagione secca la temperatura è aumentata di circa 0,6°C, lo stesso tasso di riscaldamento dell’Artico, ma tre volte quello globale. Anche la stagione umida si sta riscaldando, sebbene a ritmo più lento. Ovviamente, la situazione potrebbe peggiorare in futuro a causa degli incendi e della deforestazione, che sottopongono queste aree a un profondo stress.
Le foreste tropicali dell’Amazzonia non sono dunque più capaci di “sequestrare” le grandi quantità di CO2 che provengono dai combustibili fossili. Di fatto, la foresta amazzonica ha iniziato a produrre emissioni e a inquinare, contribuendo anch’essa al cambiamento climatico. Paradossalmente per ristabilire la capacità dell’Amazzonia di assorbire carbonio sarebbe necessario un aumento dei livelli di CO2 per consentire la fotosintesi, ma allo stesso tempo il riscaldamento e il degrado forestale a cui è sottoposta la regione tropicale impediscono che l’assorbimento avvenga. Senza contare gli obiettivi climatici internazionali che prevedono una rapida riduzione delle emissioni globali da combustibili fossili e che rendono incerto il futuro del “polmone verde”: non è ancora possibile prevedere come risponderanno le foreste tropicali a un mondo sempre più caldo e in cui i livelli di CO2 non aumentano più. Siamo arrivati al punto di non ritorno (il celebre tipping point) del cambiamento climatico? Quest’incertezza preoccupa eccome.
Le responsabilità umane e gli interessi economici dietro alla devastazione della foresta
L’Amazzonia ospita una delle più grandi foreste pluviali del mondo -in cui risiede un numero eccezionale di specie viventi e di ecosistemi- contribuendo al funzionamento dei cicli dell’acqua e del carbonio dell’intero pianeta. Un sistema delicatissimo ma essenziale per la salvaguardia dell’ambiente naturale. Eppure, come avverte il quotidiano britannico The Guardian, l’Amazzonia è non mai stata così aperta e raggiungibile dalla devastazione umana, a causa della costruzione massiccia di strade da sud a nord e da est a ovest della regione. In aggiunta, gli incendi dolosi appiccati per trasformare le foreste in allevamenti di bestiame e grandi coltivazioni stanno spezzando il prezioso equilibrio che consente di incamerare la CO2.
La soluzione sarebbe a portata di mano: fermare una volta per tutte la deforestazione in Amazzonia, investendo massicciamente sul recupero del patrimonio naturale. Sfortuna vuole che il Brasile, nazione in cui si trova la maggior parte della foresta, stia procedendo in senso contrario attestandosi come sesto paese del mondo per emissioni di gas a effetto serra, come risultato dell’enorme processo di cambiamento d’uso del suolo, convertito in piantagioni di soia e in ranch per il bestiame. La situazione è peggiorata da quando Jair Bolsonaro è diventato presidente e la deforestazione è continuata a ritmi sempre più serrati, coadiuvata dall’approvazione di leggi in materia ambientale che autorizzano l’attività mineraria nelle terre indigene, che incentivano le attività illegali e formalizzano la proprietà delle terre pubbliche occupate illegalmente. In poche parole, le istanze di disboscatori e minatori illegali hanno avuto la meglio sulle richieste delle comunità locali e delle popolazioni indigene che abitano la foresta.
Le attività illegali e i crimini ambientali dovrebbero essere condannati non soltanto dal Governo brasiliano, ma anche dalla comunità internazionale, spingendo verso pratiche sostenibili di uso del suolo, di coltivazione e silvicoltura. Non meno importante, dare voce e sostenere le popolazioni indigene significa tutelare la foresta e impedire che si giunga a un cambiamento climatico irreversibile nella regione sud-orientale. La posta in gioco è altissima e riguarda tutti noi.
Anche fuori dall’Amazzonia, quest’estate si è annunciata disastrosa dal punto di vista del cambiamento climatico con una serie di eventi catastrofici in varie aree del globo. Segnali che non possono ignorati e preannunciano un futuro segnato dal surriscaldamento globale. Centinaia di persone sono morte in Nord America a causa dell’ondata di calore anomalo che ha colpito Stati Uniti e Canada, bersagliati da incendi capaci di autoalimentarsi attraverso tempeste di fulmini. Se alla Siberia è toccata la stessa triste sorte, Europa, Cina, India, Nigeria e Nuova Zelanda sono state invece bersaglio di disastrose alluvioni, come dimostrano le tristi immagini provenienti dalla Germania, dal Belgio e dalla stazione della metropolitana della città cinese di Henan, invasa dall’acqua e nella quale sono morte diverse persone. Il duro prezzo da pagare per anni di emissioni di gas a effetto serra, di uno stile di vita insostenibile dal punto ambientale.
Anche individualmente è possibile compiere alcuni gesti per fermare la deforestazione e proteggere l’Amazzonia, boicottando i beni di consumo prodotti da aziende complici della sua distruzione e sostenendo iniziative verdi che promuovono la tutela delle foreste tropicali. Piccoli gesti nella speranza che la volontà di un cambio di rotta provenga anche dall’alto.
Rebecca Graziosi