Bubble
Fonte immagine: netflix.com

Ad aprile di quest’anno un altro lungometraggio anime si è aggiunto alla lunga lista di Netflix. Bubble è l’ultima opera di Tetsurō Araki, famoso già per gli adattamenti anime di Death Note e Attack on Titan.

Bubble, la trama

Tokyo è stata distrutta: una strana serie di bolle l’ha colpita, ne ha causato l’inondazione, le bolle hanno distorto la gravità e la città è sotto una bolla gigantesca. Ormai nessuno più vive lì, tranne alcuni ragazzini e alcune ragazzine senza più i genitori che hanno deciso di usare la città come parco giochi sfidandosi in gare di parkour. Hibiki è uno dei più bravi, ma un giorno compie un salto azzardato e finisce in acqua, in prossimità di una spirale chiamata Fossa delle Larve: il ragazzo è spacciato, finché non giunge in suo soccorso una ragazza misteriosa che lo salva. Questa ragazza, Uta, porta con sé tante domande: innanzitutto, chi è lei, da dove viene, se conosce il segreto delle bolle.

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Com’è facilmente intuibile, i due protagonisti si avvicinano sempre più. Uta diventa il legame essenziale tra il mondo e le bolle, e l’unica che può aiutare Hibiki e i suoi compagni a risolvere il mistero. E più si arriva al dispiegamento della trama più l’amore tra i due ragazzi cresce. Fino al momento finale.

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Bubble è dichiaratamente ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen La Sirenetta, fiaba che viene citata più volte all’interno del film, e ogni citazione è accompagnata da un frame animato molto intenso che riporta la storia sullo schermo: la sirena che salva il principe ma che poi torna in mare come schiuma.

L’obbiettivo di Bubble è quello di raccontare una storia d’amore all’interno di un mondo che è cambiato. Purtroppo però la storia è debole. Se l’animazione è eccellente – questo film ha messo insieme alcune delle menti più geniali del mondo degli anime: Gen Urobuchi (Puella Magi Madoka MagicaPsycho-PassFate/Zero) è lo sceneggiatore; Tetsurō Araki (L’Attacco dei GigantiDeath Note) è il regista; Takeshi Obata (Death NoteBakuman) è il character designer; Hiroyuki Sawano (PromareL’Attacco dei GigantiThe Seven Deadly Sins) è il compositore della colonna sonora – la trama è davvero inconsistente e confusa. La scrittura è scarna e non riesce a caratterizzare i personaggi, tutto si concentra nel raccontare la storia d’amore tra i due protagonisti principali, che vengono messi in secondo piano proprio come personaggi in sé. Hibiki è un campione di di parkour, è un orfano solitario e scontroso, che soffre lo stimolo intenso causato dai suoni. Di lui sappiamo solo questo. Non cresce, non si evolve, forse solo nella parte finale c’è un guizzo di cambiamento nel suo carattere. Ma è davvero poco, nulla, in un film di 100 minuti. Uta è addirittura meno caratterizzata di lui: la ragazza bolla che dovrebbe essere il soggetto principale della storia invece diventa oggetto della storia d’amore. Peccato.

Inoltre, guardando il film, i richiami ad alcune opere di coloro che hanno partecipato al progetto appare troppo chiaro: i ragazzi durante le gare di parkour saltano e volano nel cielo. Cosa ci ricorda? Già, L’attacco dei Giganti. Ma a livello visivo richiama anche quel capolavoro assoluto di Your Name, senza però lasciare la stessa impronta.

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Il film di Araki ha un altissimo valore estetico, frutto di un progetto grafico eccellente. La narrazione passa da momenti statici a momenti di presa diretta (le gare di Battlekour) che ci offrono una visione dinamica della scena, sfruttando i virtuosismi che hanno già portato fortuna ad altri anime – sì, L’attacco dei Giganti.

Bubble presenta sicuramente alcune delle scene di azione migliori di quest’anno, e però rimane una storia piatta, confusa, finale scontato: non c’è alcun plot twist, anzi. Tutto è chiarissimo a partire dalla seconda parte del film (nella prima ci vengono spiegate le regole delle gare di parkour e ci viene raccontato qualcosa su questa catastrofe che ha colpito Tokyo), però almeno scorre veloce. La parte più interessante e avvincente è sicuramente la lunga scena di parkour che porterà al finale. Un finale banale, senza pathos, degna conclusione per dei personaggi così piatti e per una trama così ingarbugliata.

Un prodotto assolutamente dimenticabile.

Valentina Cimino

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