Emil Cioran nasce in Romania, a Rășinari, nell’aprile del 1911. Muore a Parigi il 20 giugno del 1995. In mezzo, una breve vita da saggista, pensatore, pessimista, anarchico letterario, inventore di aforismi.
Al culmine della disperazione
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Uno dei primi momenti significativi nella vita di Emil Cioran risale alla sua infanzia, quando a 5 anni ebbe una crisi di noia così intensa che la definirà come il risveglio della propria coscienza: «D’un tratto ho sentito la presenza del nulla nel mio sangue, nelle mie ossa, nel mio respiro, e in tutto ciò che mi circondava».
La sua è stata un’infanzia travagliata, ma Cioran è riuscito comunque a definire questo periodo come un periodo felice e anzi, aggiunge, così felice che «Credo di essere diventato infelice nella mia vita come punizione per essere stato così straordinariamente felice da bambino. Sto parlando della prima infanzia, fino all’età di sette-otto anni, non di più, dopo di che la mia vita è stata una catastrofe». Dopo le scuole superiori Cioran si iscrive all’Università di Bucarest ma ne rimane deluso; scriverà comunque una tesi su Bergson.
Nel luglio del 1933, a 22 anni, Emil Cioran scriverà il suo primo libro, Al culmine della disperazione. Il primo, il più puro di Cioran, che nasce da un dramma interiore profondissimo definito dall’autore – nella prefazione postuma – il «nulla senza tregua», una «vertiginosa lucidità» capace di trasformare il paradiso in un «luogo di tortura», una «allerta permanente», una «criminale assenza di oblio»: l’insonnia. L’insonnia è una condizione che stravolge la vita del giovane Cioran, l’insonnia gli mostra quanto in realtà sia futile la filosofia. Saranno proprio queste notti senza fine che gli daranno l’urgenza di scrivere “Al culmine della disperazione” e sarà proprio la scrittura che lo salverà dalla sorte a cui, senza l’esplosione delle parole, lo avrebbe destinato l’insonnia: il suicidio. La persona privata del conforto del sonno, la persona che vive senza più l’oblio del sonno – il sonno che permette di dimenticare la depressione della vita – è costretta a fare i conti costantemente con la tragedia che è la vita: nell’inferno non si dorme mai. L’insonnia acuisce la percezione che si ha di sé, del proprio dolore e della propria tragedia, tutto è dramma: l’insonne è tutta consapevolezza, solitudine e disperazione.
L’agonia è un altro concetto chiave di “Al culmine della disperazione”: la vita rende concreta la morte, che è qui e ora, e vivere la vita altro non è che andare incontro alla morte. Un uomo – Cioran – così consapevole di questa verità come potrebbe mai dormire? Al culmine della disperazione, nessuno ha più diritto al sonno. E giunto ormai al culmine, Cioran individuerà nell’assurdo l’unica ragione di vita: senza ideali, senza più speranze, aggrapparsi all’assurdo, al caos, a qualcosa che può creare una illusione di vita, può salvare questa vita dal nulla che le appartiene. Pensare, pensare e pensare condanna l’uomo però all’infelicità: l’infelicità è in noi, la vita è infelice perché noi lo siamo, l’infelicità parte da noi stessi e finisce per attaccarsi al mondo intero, la vita per l’uomo è soltanto un costante e continuo punto interrogativo. E l’esistenza umana è insensata, è insensatezza cristallizzata, e allora la domanda è: che cosa resta, alla fine? Che si soffra o meno, tutto sprofonderà inesorabilmente nel nulla.La sofferenza come mezzo di conoscenza
Emil Cioran: la sofferenza è conoscenza
Emil Cioran amava definirsi il “filosofo urlatore”: egli gridava al mondo tutta la sua disperazione di uomo condannato a vivere una esistenza tormentata.
«Avevo diciassette anni, e credevo alla Filosofia. Tutto ciò che non vi si richiamava mi sembrava peccato o porcheria.» Ma le notti insonni lo portarono ad affrontare la questione del valore della filosofia, e se per lui fino a quel momento era stata la base di tutto, a un certo punto fu solo inganno, fu solo illusione. E Cioran mai perdonerà alla Filosofia l’esser stata incapace di salvarlo dal dolore. La sua scelta di continuare a vivere è stata una scelta fatta perché ha sempre avuto la possibilità di suicidarsi ponendo così fine alle sue sofferenze. Cioran provò la disperazione più cupa, e attraverso questo dolore immenso riuscì a comprendere il carattere tautologico della filosofia, andando a comprimere l’intera attività filosofica, riducendo il filosofo a un pensatore che lo fa per il semplice gusto di pensare. E anche per questo, probabilmente, l’Accademia lo oscurò. E Cioran però ha continuato per questa strada: il filosofo diventa un impiegato del concetto che profetizza esperienze umane che non ha mai provato, la filosofia si professava esperta di qualcosa ma di quel qualcosa non aveva reale conoscenza. Per Cioran la filosofia moderna è eccessiva, è ampollosa, ha smesso di essere la via per la liberazione della mente, ha smesso di essere quel sapere che serviva all’uomo per abbandonare la sua condizione di angoscia. Cioran può essere considerato a tutti gli effetti un nichilista, un pessimista, un esistenzialista, tutto e niente davanti al disincanto causatogli dalla filosofia che ha smesso di essere Maestra ed è diventata chiacchiera, è vuota, incapace di trovare soluzioni alle tragicità della vita.
Per il filosofo ogni ricerca deve necessariamente partire da sé, perché i libri e la ricerca portano solo a un vaniloquio filosofico. Il pensiero filosofico deve avere alla base la noia; e Cioran nelle sue notti insonni capirà benissimo cos’è la noia, la sfrutterà per portare al massimo il suo pensiero: «Soffrire è produrre conoscenza». Cioran ha trovato nell’accettazione del suo fallimento la sua liberazione, vivendo una vita a metà tra il desiderio della morte e la necessità dell’esistenza.
Valentina Cimino