Israele accusato di genocidio a Gaza: la causa del Sud Africa
Foto di Ömer Faruk Yıldız da pexels.com

Lo scorso 29 dicembre, il governo del Sud Africa ha presentato alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) una causa nella quale accusa Israele di portare avanti un genocidio contro la popolazione palestinese a Gaza. A partire dall’8 ottobre dello scorso anno, il territorio – costituito da una superficie di circa 360 km² abitata da oltre 2 milioni di persone, che lo rende uno dei più densamente popolati al mondo – è stato preso d’assalto con un susseguirsi di bombardamenti e il dispiegamento dell’esercito via terra. Israele ha dichiarato lo stato di guerra all’indomani dell’operazione “alluvione Al-Aqsa” ad opera di Hamas, risalente al 7 ottobre.

Fondata nel 1987 (con lo scoppio della Prima Intifada), l’organizzazione politica ha sferrato una serie di attacchi a sorpresa. La risposta di Israele non ha tardato ad arrivare, portando la striscia di Gaza ad una crisi umanitaria senza precedenti. Una questione che affonda le sue radici alla fine degli anni ’40 quando, con la risoluzione 181 dell’Onu, fu prevista la divisione del territorio palestinese in due Stati distinti, ossia uno arabo e uno ebraico. La decisione è stata presa in seguito all’emanazione del mandato britannico della Palestina del 1920 e l’inizio degli insediamenti ebraici. Il rifiuto da parte della comunità palestinese e la proclamazione, nel 1948, dell’indipendenza di Israele da parte di David Ben Gurion ha determinato il primo conflitto arabo-israeliano.

Da allora, il territorio ha cominciato ad essere interessato da attacchi e scontri. Nel 1967, durante la “guerra dei sei giorni”, la striscia di Gaza è stata occupata da Israele, insieme alla penisola del Sinai, il Golan e la Cisgiordania. In seguito alla Prima Intifada (1987-1993), sono stati siglati gli accordi di Oslo che, tuttavia, non hanno avuto gli effetti sperati. Il nuovo millennio si è aperto con la Seconda Intifada e l’istituzione del Piano di disimpegno unilaterale israeliano, che avrebbe dovuto portare al ritiro di coloni e truppe dall’area. Anche in questo caso, però, i piani non sono stati rispettati. Le accuse di genocidio mosse dal Sud Africa sono da inserirsi, dunque, in un contesto più ampio, in riferimento alla «condotta di Israele nei confronti dei palestinesi durane i 75 anni di apartheid, i 56 anni di occupazione belligerante del territorio palestinese e i 16 anni di blocco di Gaza» come affermato dallo stesso governo.

L’istanza presentata dal Sud Africa

L’attacco iniziato ormai tre mesi fa sulla striscia di Gaza è «destinato a provocare la distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale ed etnico», si legge nell’istanza. Il governo sudafricano ha sottolineato come il territorio stia affrontando le «campagne di bombardamento convenzionale più pesanti della storia moderna». Lo Stato si è rifatto alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio delle Nazioni Unite. Elaborato nel 1948 – dopo la Seconda Guerra Mondiale, proprio nell’intento di impedire simili atrocità – il trattato si rivolge a tutti gli Stati, imponendo l’obbligo di rifiutare e vietare qualsiasi atto di sterminio di massa.

Il Sud Africa, nella sua causa, ha elencato le azioni intraprese da Israele in tal senso. A partire dall’uccisione di circa 21mila palestinesi da quando l’operazione militare del governo ha avuto inizio, come evidenziato dal Ministero della Salute di Gaza. Le Nazioni Unite hanno registrato «il più alto numero di operatori umanitari uccisi» in tutta la storia dell’Organizzazione in così poco tempo (ben 144). Oltre a loro, hanno perso la vita 311 dottori, più di 103 giornalisti e oltre 200 insegnanti e personale educativo. Sono più di 55mila i palestinesi rimasti feriti. E ai danni fisici si aggiungono quelli mentali: come riportato, l’80% dei bambini a Gaza ha mostrano segnali di malessere a livello emotivo. Tra gli atti, si sommano anche l’espulsione di massa affrontata dalla popolazione (l’85% dei palestinesi è stato costretto a lasciare la propria casa) e la privazione dell’accesso a cibo e acqua. Una realtà che, nella striscia di Gaza, è evidente già da prima dal 7 ottobre ma che, con l’inizio dell’attacco, è peggiorata drasticamente.

Un altro tema trattato dal governo sudafricano sono le condizioni sanitarie e d’igiene dei palestinesi. Gran parte della popolazione, al momento, si trova in rifugi ricavati da scuole o in tende, dove le famiglie vivono in una situazione caratterizzata da carenza di acqua potabile e servizi sanitari. Insieme a coperte, vestiti e beni primari in generale. Il sistema sanitario – che già si trovava in crisi – è ormai al collasso. I bombardamenti e gli scontri hanno provocato la distruzione di numerosi ospedali. Oltre ai quali bisogna prendere in considerazione migliaia di case, scuole, attività e moschee. Interi quartieri, reti elettriche e strade sono andati persi in quello che, secondo il Sud Africa, è un vero e proprio tentativo di eliminazione della “vita a Gaza”.

Ultimo dato, è il ricorso ad atti volti a minare le nascite tra la popolazione. Il 70% delle vittime, nella striscia di Gaza, è rappresentato da donne e bambini. A ciò si aggiunge il fatto che sono almeno 52mila le donne incinta ad aver partorito in mancanza di un’adeguata assistenza medica. Infine, insieme alle azioni intraprese dal governo israeliano, nell’istanza vengono riportate dichiarazioni da parte di esponenti dello Stato che lasciano trasparire la volontà di “cancellare” i palestinesi. Come quando, all’alba dell’operazione “Spade di ferro” dello scorso 28 ottobre, il primo ministro Netanyahu durante il suo discorso alla Nazione ha citato alcuni passi della Bibbia riguardanti la distruzione di Amalek da parte di Israele: «Va e colpisci Amalek. Vota allo sterminio quanto gli appartiene. Non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini».

La richiesta di misure provvisorie a Gaza

Nella sua istanza il Sud Africa presenta una lista di misure provvisorie da adottare, chiedendo alla Corte che vengano attuate in modo da poter tutelare la popolazione palestinese. Queste iniziano con la sospensione delle operazioni militari di Israele nella striscia di Gaza, con un impegno da parte del governo di fermare immediatamente qualsiasi unità armata (statale o irregolare che sia) collegata ad esso. Riprendendo la Convenzione sul genocidio, poi, il Sud Africa – che, fin dai tempi dell’apartheid e della battaglia di Nelson Mandela contro il regime ha un forte legame con i palestinesi, fatto di supporto reciproco – domanda l’applicazione di misure volte a prevenire lo sterminio del popolo. Sono oltre 1000 le organizzazioni, le unioni, i partiti politici ed i movimenti che supportano lo Stato nella causa che potrebbe portare ad una svolta decisiva.

Israele, da parte sua, ha negato qualsiasi accusa mossa dal Sud Africa. Il governo, inoltre, ha riunito un gruppo di giuristi e avvocati per la sua difesa. Le udienze hanno avuto inizio l’11 gennaio e, nei primi incontri, il tema principale sono state le misure provvisorie invocate nell’istanza. Oltre al Sud Africa, la causa palestinese trova il supporto di diversi Paesi arabi, ma anche Stati sudamericani tra cui Venezuela, Cuba, Bolivia, Cile e Colombia, ai quali si aggiunge la Corea del Nord. Mentre Israele può contare sull’appoggio degli Stati Uniti e di gran parte dei Paesi occidentali. Il punto centrale, nella causa, sarà dimostrare che l’operazione militare del governo sia volta alla distruzione di un’intera popolazione.

Nella giornata di venerdì 26 gennaio è arrivato un primo responso da parte della Corte Internazionale di Giustizia: le misure promulgate dal Sud Africa sono state accolte, tuttavia solamente in parte. Se da un lato è stato ordinato a Israele di prevenire qualsiasi atto di genocidio – limitando gli attacchi ai civili e mettendo al bando ogni forma di incitamento allo sterminio di massa -, dall’altro non è stato imposto un cessate il fuoco immediato. Il Tribunale, riconoscendo la gravità della crisi umanitaria a Gaza, si è soffermato anche sulla stringente necessità di aiuti nella striscia, con conseguente dovere da parte di Israele di concedere l’accesso sul territorio. La richiesta dello Stato guidato da Netanyahu di archiviazione dell’istanza è stata, quindi, respinta. Il verdetto della Corte segna una svolta importante nei confronti della popolazione palestinese, sebbene sia solamente l’inizio: le sentenze emanate dall’organo, infatti, sono vincolanti per gli Stati coinvolti. Israele, infine, dovrà presentarsi davanti a giudici con un rapporto sull’attuazione di quanto imposto dal Tribunale entro un mese.

Cindy Delfini

Cindy Delfini
Classe '97, Milano. Studio scienze Politiche, Economiche e Sociali, con un forte interesse verso i diritti civili. Sono appassionata di arte nelle sue diverse forme di espressione: musica, danza, cinema, serie TV, letteratura.

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