Intransigente: ovvero, secondo il dizionario, di chi usa particolare inflessibilità e rigore. Intransigenze, però, è anche il titolo di una raccolta di interviste a Vladimir Nabokov, il celebre scrittore di uno dei romanzi più famosi e controversi del XX secolo: Lolita.
Nabokov non era una persona semplice. Idiosincratico, pieno di intransigenze nel privato come nelle idee da sempre espresse nei suoi romanzi, nel 1973 lo scrittore de “Il dono” decise di raccogliere in volume una serie di interviste che i giornalisti gli fecero nel corso di dieci anni (1962-1972), da quando la fama per Lolita tornò a esplodere grazie al film di Stanley Kubrick. Ma per uno come Nabokov, da sempre refrattario a ogni forma di conformismo e avido di perfezione (“penso come un genio, scrivo come un autore eminente e parlo come un bambino”), anche una raccolta di interviste spalmate in periodi diversi diventa una ghiotta opportunità per manipolare, ricostruire e fare letteratura, epurando la voce dell’intervistatore e sommergendola con la propria. Scorretto. Ma la letteratura è un mondo particolarmente infido dove il trucco del prestigiatore che sfila il coniglio dal cilindro e il baro professionista che nasconde nella manica la mano vincente si equivalgono, confondendosi tra di loro senza sosta in un eterno gioco di prestigio e impostura.
Se da professore di letteratura alla Cornell University ogni lezione per Nabokov doveva essere preparata scrupolosamente, lo stesso valeva per minuzie nel privato: anche un sogno riferito a sua moglie Vera durante la colazione era solo “una prima bozza”. Così, l’uscita in edizione economica per Adelphi di “Intransigenze” (traduzione di Gaspare Bona) non è solo l’occasione di rileggere una semplice sfilza di domande su politica, società, letteratura, l’universo e tutto quanto – per citare Douglas Adams – a cui un celebre scrittore risponde con la sua opinione contingente. Al contrario: leggeremo un altro romanzo finemente levigato e riscritto, sottratto agli scandali di una giornata o a polemiche futili: un altro trucco di prestigio di Nabokov per ripulire le scorie di una realtà inaccettabile coi suoi socialismi, capitalismi o –ismi di ogni sorta; coi brutti romanzi di colleghi che non riconosce come tali e una Russia scomparsa per sempre e per sempre rimpianta (per Nabokov, figlio di un democratico liberale ucciso dai fascisti monarchici, l’Unione Sovietica non è più la Russia); un rimpianto che non nasconde nell’intervista, ma senza mai tradire la giovane America che dimostra di amare in modo sincero (“Io sono americano, mi sento americano”).
A tratti il valore di “Intransigenze” sta più nel gusto epigrammatico e nel bon mot snobistico dello scrittore, capace di ribattere con arguzia a domande molto conformiste; per forza, diranno le malelingue: ha avuto tutto il tempo di modificare a suo piacimento domande e risposte. Ma anche così, in questo altezzoso monumento a se stesso dove sembra un personaggio egotico dei suoi romanzi, Nabokov ingaggia un incontro di boxe con l’arte e la vita, nucleo inscindibile da perfezionare giorno per giorno – così come la bellezza estetica di un lepidottero coincideva con la descrizione scientificamente esatta: scienza e letteratura, arte e vita, tempo e memoria sono dualismi senza senso per lui.
Dalla prefazione mette in chiaro il procedimento che troveremo ovunque in “Intransigenze”: “Le domande dell’intervistatore devono essere inviate per iscritto, ricevono risposte scritte, e le risposte devono essere riprodotte alla lettera.” E ciò che leggiamo segue alla perfezione i tre principi.
Forse è questo il motivo per cui “Intransigenze” non è il libro giusto per iniziare a comprendere di cosa è capace con le sue invenzioni letterarie Nabokov. Chi vuole innamorarsene può iniziare da “Lolita”, può provare i più classici “Invito a una decapitazione” o “La difesa di Luzin” (specie se “La regina degli scacchi” ha alzato l’interesse per il gioco). Ma vale la pena fare come Nabokov e togliere dei pezzi gustosi dal libro: un assaggio per chi magari vuole rischiare e provare a conoscerlo così.
“ -Tornerebbe in Russia?
– Non ci tornerò mai, per il semplice motivo che tutta la Russia di cui ho bisogno è sempre qui con me: la letteratura, la lingua, la mia infanzia russa. Non ci tornerò mai. Non mi arrenderò mai.”
“Vuol sapere come è nata la poesia? Sono convinto che cominciò il giorno in cui un ragazzo troglodita tornò alla caverna, correndo nell’erba alta, e urlò trafelato: «Lupo, lupo»; e non c’era nessun lupo. Senza dubbio i suoi babbuinici genitori, strenui fautori della verità, gliele suonarono, ma ormai la poesia era nata – nell’erba alta era sbocciato il primo fiore della fantasia.”
[oltre che in Intransigenze, questa convinzione è ribadita dallo scrittore in più occasioni anche nelle Lezioni di letteratura]
“– Di tutte le lingue che parla quale giudica la più bella?
– La testa dice l’inglese, il cuore il russo, l’orecchio il francese.”
“Quando studiavano il famoso racconto di Kafka, i miei allievi dovevano sapere esattamente in quale tipo d’insetto si trasforma Gregor (è un tondeggiante scarabeo stercorario, non il piatto scarafaggio ai certi traduttori disinvolti) e dovevano essere in grado di descrivere esattamente la distribuzione delle stanze, con la posizione delle porte e dei mobili, nell’appartamento della famiglia Samsa. Per l’Ulisse dovevano conoscere la pianta di Dublino. Sono convinto che si debba insistere sul particolare specifico; le idee generali sanno badare a se stesse.”
“[In risposta alla domanda: quali scene sarebbe stato bello poter filmare]: Shakespeare nella parte dello Spettro del Re. La decapitazione di Luigi XVI, con i tamburi che coprono il suo discorso dal patibolo. Herman Melville a colazione, mentre dà una sardina al suo gatto. Il matrimonio di Poe. I picnic di Lewis Carroll. I russi che se ne vanno dall’Alaska, felici dell’affare. Primo piano di una foca che applaude.”
“Ben venga il libero scambio di terminologia fra qualsiasi ramo della scienza e qualsiasi racemo dell’arte. Non c’è scienza senza fantasia, come non c’è arte senza dati di fatto. L’aforisticismo è sintomo di arteriosclerosi.”
“La mia conoscenza delle opere di Mr. Forster si limita a un romanzo che non mi piace; e in ogni caso non è lui il padre di questa vieta favoletta sui personaggi che sfuggono di mano; è vecchia quanto le penne d’oca, anche se naturalmente si può solidarizzare con i suoi personaggi quando si dibattono per sottrarsi a quel viaggio in India – o dove altro Forster li vuole portare. I miei personaggi sono galeotti condannati ai remi”
[In Intransigenze le bordate contro altri scrittori non sono rare]
“– C’è qualche scrittore contemporaneo che lei segue con vero piacere?
– Ce n’è parecchi, ma non farò i loro nomi. Il piacere anonimo non fa male a nessuno.”
“- Circola voce che lei stia pensando di lasciare Montreux per sempre. C’è qualcosa di vero?
– Be’, circola voce che prima o poi tutte le persone che adesso vivono a Montreux la lasceranno per sempre.”
Per concludere, vale la pena riportare una risposta di “Intransigenze” che tra tante sembra prefigurare il futuro con le emoji che usiamo ogni giorno; e forse questo sorriso è lo stesso di chi sta al gioco con Nabokov:
“- Che posto si assegna fra gli scrittori viventi e quelli del passato prossimo?
– Molte volte penso che dovrebbe esistere uno speciale segno tipografico per indicare un sorriso — una specie di lineetta concava, una parentesi tonda supina, che ora mi piacerebbe tracciare in risposta alla sua domanda.”
Nicola Laurenza