Lunedì è cominciata l’evacuazione della “Giungla” di Calais, l’accampamento di migranti e profughi più grande d’Europa. Ad oggi, secondo i dati del Ministero degli Interni francese, sono 2700 i migranti che hanno scelto volontariamente il trasferimento verso altri campi di accoglienza sparsi per tutta la Francia e secondo le dichiarazioni dei portavoce del governo francese le adesioni aumenteranno.
Calais è una piccola cittadina di circa 120mila abitanti situata a Nord della Francia, l’ultima lingua di terra francese prima del canale della Manica. Per i profughi questo piccolo paese, o meglio la sua spiaggia e il porto, ha sempre rappresentato solo un punto di sosta, in attesa di riuscire ad attraversare il canale (o via mare o nella maggior parte dei casi attraverso il tunnel stradale) e stabilirsi in Gran Bretagna. Sono oramai più di vent’anni che a Calais si susseguono senza sosta continue crisi umanitarie: la prima risalente al ’95 ha visto arrivare i rifugiati che fuggivano dalla guerra in Bosnia, nel ’98 fu il Kosovo e successivamente afghani, eritrei, sudanesi, iraqueni e siriani.
A 5 km dal centro storico della cittadina francese, con il centro e i suoi viali “da cartolina”, si trova una bidonville di tende di plastica e stracci, priva di qualsiasi condizione igenica, abbandonata a sè stessa e tenuta in piedi solo grazie all’aiuto delle ONG e sovraffolata di tanti disperati che dopo mesi o spesso anni di peripezie e viaggi, giungono ad un passo dal loro sogno, arrivare in Gran Bretagna. Qualsiasi mezzo è lecito, anche se varcare la frontiera non è così semplice, dato l’alto numero di controlli da parte della polizia e il muro di 25 km che circonda il Porto rendendolo praticamente inespugnabile.
Il prezzo da pagare per arrivare dall’altra parte è altissimo. Le associazioni criminali chiedono cifre altissime per un pericoloso e spesso fatale “passaggio” sul camion. Chi non può pagare tenta in ogni modo di attraversare il canale, a nuoto o introducendosi nel tunnel e camminando per km a piedi.
Le relazioni tra i cittadini di Calais e i migranti non sono mai state tese, in quanto non sono in realtà mai esistite. La Giungla, essendo situata tra le dune della spiaggia della cittadina, è un luogo isolato e appunto di passaggio; i profughi non si avventurano quasi mai per il centro della città, rimanendo speranzosi sulla spiaggia in attesa di varcare il confine. Più che un problema legato alla piccola cittadina dunque, quello della Giungla è piuttosto un problema nazionale ed europeo.
La redistribuzione delle migliaia di profughi della Giungla all’interno dei centri di accoglienza francesi è il vero nodo della situazione. Lo scorso settembre in Francia, durante la pre-campagna elettorale, si è discusso molto sulle possibili soluzioni da adottare rispetto lo sgombero di Calais. I fronti nazionalisti di estrema destra si sono sempre dichiarati apertamenti contrari alla redistribuzione dei migranti, quindi alla loro accoglienza, come confermano le parole del leader Repubblicano Laurent Wauquiez: «Non vogliamo la creazione di nuove “giungle” all’interno del territorio francese». François Hollande, recatosi in visita a Calais a settembre, si era dichiarato favorevole allo sgombero dell’area, a condizione che i profughi venissero ricollocati nei vari centri di accoglienza presenti in Francia. Per tranquillizare i suoi detrattori rispetto le parole di Wauquiez ha dichiarato che si tratterebbe di accogliere gruppi di 40-50 migranti per ogni centro presente in Francia (al momento 164), così da garantire loro condizioni di vita dignitose e un eventuale inserimento nel tessuto sociale. Il presidente aveva inoltre auspicato ad una presa di responsabilità ed intervento anche da parte dello stato britannico, direttamente implicato in tutta la faccenda.
Non sono mancate nel mese di settembre le proteste popolari per l’eccessiva apertura del Presidente, tacciata più volte dalla destra come negligenza. Alimentate dalla retorica della paura e a volte persino dell’odio razziale, più di 2000 persone hanno protestato davanti alla Prefettura di Versalles, guidate dall’ultraconservatore François de Mazières, già noto per le sue battaglie contro il matrimonio omossessuale. «Quello dei migranti è un problema per la sicurezza nazionale.Potrebbero esserci jihadisti tra di loro», dichiara Yasmine Benzelmat, consigliera regionale del Fronte Nazionale presente alla manifestazione.
Ad ogni modo quella di Calais era una situazione che andava risolta, sia per il bene dei cittadini francesi che soprattutto per quello dei migranti, costretti a vivere in condizioni a dir poco disumane. Il governo ha organizzato lo sgombero in modo attento ed efficace, aprendo un capannone di circa 3000 metri quadri all’interno della giungla, dove i migranti possono recarsi volontariamente per essere censiti e partire verso un centro di accoglienza qualificato e sicuro. Gli sarà possibile inoltre, una volta arrivati al centro, inoltrare una richiesta di asilo in Francia.
Lo sgombero dovrebbe concludersi definitivamente in pochi giorni, tuttavia le perplessità rispetto l’azione del governo rimangono inalterate. Molti sostengono che questo sgombero non sia risolutivo, in quanto senza una nuova legge sull’immigrazione, i profughi continueranno a sostare fra le dune di Calais, altri invece leggono il gesto di Hollande come coraggioso e carico di forti significati politici, in linea con una dichiarazione rilasciata a Settembre in seguito alla manifestazione di Versalles dello stesso presidente: «La Francia è un paese di diritto e regole. C’è la necessità di essere fermi rispetto le questioni migratorie. Agiamo per accogliere dignitosamente e umanamente le persone richiedenti asilo».
L’intervento di sgombero di Calais non sarà sicuramente risolutivo ma ha il merito di aver restituito dignità a migliaia di persone. Sicuramente la valutazione finale spetterà ai cittadini francesi alle urne.
Sara Bortolati