Gli scontri tribali nel Darfur: una guerra etnica senza fine
Foto di Lagos Food Bank Initiative da Pexels.com

Il Darfur è una provincia occidentale del Sudan. La regione, situata nel deserto del Sahara, si trova al confine con la Libia, il Ciad e la Repubblica Centrafricana ed è suddivisa in cinque Stati: Darfur Settentrionale, Darfur Occidentale, Darfur Orientale e Darfur Meridionale. Nella lingua locale, il termine Darfur si riferisce alla “Terra dei Fur“: si tratta dell’etnia predominante, un popolo originario dell’Africa orientale, che nel XIV secolo ha fondato il proprio Sultanato indipendente nell’area occupata dalla regione. Il Darfur, infatti, è stato inglobato all’interno del Sudan solamente nel 1916, per volere dei britannici.

La regione, a partire dal 2003, ha attirato l’interesse della comunità internazionale per via della terribile guerra civile e della crisi umanitaria che l’ha colpita. In realtà i conflitti hanno avuto inizio molto prima e, nonostante la dichiarazione di pace del 2009, le violenze non hanno avuto fine e sono causa di centinaia di morti e feriti ancora oggi.

Il motivo per cui la regione del Darfur è stata segnata da cruenti scontri interni si lega proprio all’incorporazione nel Sudan – con una popolazione prevalentemente di origine araba – ad opera dei britannici. Il Darfur, nel 1916, perse l’indipendenza ottenuta in seguito ad uno scontro con l’Egitto, che lo aveva inglobato nel 1874. I britannici, all’epoca, riuscirono a destituire Alī Dīnār, ultimo sultano della regione, colpevole di essersi schierato con l’Impero ottomano nel corso della Prima guerra mondiale. A partire da quel momento, il Darfur diventò parte del Sudan.

Le popolazioni della regione – composte prevalentemente dai già menzionati Fur, insieme ai Zaghawa ed i Masalit – hanno sempre denunciato le discriminazioni attuate da parte del governo centrale del Sudan e delle tribù di origine araba presenti nel Paese. A partire dagli anni ’60, fino agli anni ’90, la divisione tra popolazioni di origine africana e popolazioni di origine araba cominciò a farsi sempre più decisiva. Col passare del tempo, le due controparti diedero vita a diversi movimenti, ognuna con le proprie pretese.

I conflitti etnici tra le tribù opposte sono collegate anche ad aspetto prevalentemente economico. Le popolazioni di origine africana sono costituite prevalentemente da agricoltori sedentari. Mentre le tribù arabe sono composte soprattutto da pastori nomadi. L’unione forzata delle popolazioni ha scatenato non poche dispute per il controllo della terra. A ciò si aggiungono i giacimenti di oro e le riserve di petrolio, fonte di ulteriori controversie.

Le prime fasi della guerra civile

All’inizio del duemila, le tribù dei Fur e dei Zaghawa si unirono in un’alleanza con lo scopo di opporsi al governo centrale sudanese. I primi scontri armati nel Darfur sono stati registrati nel 2002. Le milizie principali della regione sono il Justice and Equality Moviment (Jem), di ispirazione islamista, e l’Esercito di Liberazione del Sudan (Sla), all’interno del quale si contraddistinguono il politico Minni Minnawi e l’avvocato Abdul Wahid Al Nur.

Per quanto riguarda il fronte opposto, l’esercito del Sudan è sceso in campo in risposta allo sviluppo dei movimenti delle tribù africane. Ha preso parte agli scontri anche la Janjaweed (ovvero i “demoni a cavallo”) – milizia arabofona e filogovernativa presente nello Stato già negli anni ’90 e formata dalle etnie Baggara e Abbala. In questo caso, le figure principali sono i comandanti Mohamed Hamdan Dagalo (conosciuto come Hemmeti) e Ali Kushayb.

La guerra civile ebbe inizio ufficialmente nel 2003. Il 26 febbraio uno dei quartieri generali dell’esercito sudanese situato nel Darfur, nella località di Golo, fu attaccato da parte di alcuni membri della milizia africana. Come affermato precedentemente, gli scontri armati avevano già avuto inizio, ma l’attacco di Golo fu rivendicato per la prima volta da parte del Sla. Questo evento segnò l’inizio della guerra civile. In un primo momento, i miliziani Sla e Jem ebbero la meglio. Ad un mese dal primo attacco, i membri del Sla riuscirono ad occupare Tine, una città di frontiera. Successivamente passarono ad Al Fashir, capitale del Darfur Settentrionale ed importante centro economico e politico, coalizzandosi con i membri del Jem.

In quegli anni, il governo era in mano ad Omar al-Bashir, il quale ottenne il potere nel 1989, guidando un violento colpo di Stato militare. Il Sudan, già da prima dell’inizio della guerra civile in Darfur, era impegnato ad affrontare le ribellioni scoppiate nell’area orientale ed in quella meridionale, in seguito alle richieste di indipendenza della popolazione cristiana. Il Paese, inoltre, stava vivendo una crisi economica.

Nel 1994, il presidente e dittatore ospitò Osama Bin Laden, per poi ritrovarsi in una situazione di isolamento a livello internazionale. Di conseguenza Al-Bashir non poteva tollerare ulteriori disordini interni. Intenzionato a porre finire a qualsiasi tipologia di ribellione per non perdere il potere, oprtò per una repressione violenta. Dato che l’esercito del governo era impegnato negli scontro nella parte sud del Sudan, Al-Bashir puntò sull’intervento dei Janjaweed, che ricevettero armi e denaro da Khartoum, la capitale del Sudan.

La milizia filogovernativa non si limitò agli scontri con le milizie Sla e Jem: le violenze riguardarono soprattutto la popolazione civile di etnia africana. Presto gli scontri interni si trasformarono in una sanguinosa guerra civile, segnata da una vera e propria pulizia etnica nei confronti della popolazione non araba del Darfur. La situazione fu denunciata in una rapporto del 2004 ad opera di alcuni osservatori dell’ONU, che si trovavano nel distretto di Shattaya. Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite fino al 2006, paragonò la guerra civile in Darfur a quella del Ruanda nel 1994, definendola un genocidio.

Malgrado il tentativo dell’Unione Africana, la guerra non si fermò e nel 2005 un ulteriore rapporto dell’ONU delineava una drammatica panoramica sugli omicidi di massa e sugli stupri utilizzati come arma militare contro alle tribù africane. Nel frattempo, Jem e Sla iniziarono a indebolirsi. Successivamente la guerra si estese arrivando nel Ciad: il villaggio di Adre fu attaccato dalle milizie ed il governo ciadiano stanziò migliaia di soldati sul confine con il Darfur.

Dopo un tentativo di accordo fallimentare nel maggio del 2006, ad agosto 17.000 caschi blu dell’ONU fecero il loro ingresso nello Stato del Sudan, unendosi ai 7.000 soldati dell’Unione Africana che si trovavano già nel Paese. Mentre nel 2007 ebbe inizio la missione ONU Unamid, con l’obiettivo di porre un freno allo sterminio in Darfur che, nel mese di marzo, aveva provocato la morte di 400 civili. Nello stesso anno, iniziarono le trattative per la pace nella città libica di Sirte.

Il 2008 fu segnato da un cruento scontro a Omdurman, non molto distante dalla capitale del Sudan, quando un gruppo legato ad Al Nur invase la città. In seguito all’avvenimento, si raggiunse un periodo di “pace”, seguito dalla dichiarazione della fine della guerra civile nell’agosto 2009 da parte del generale Martin Agwai, a capo della missione ONU.

La situazione attuale

Nonostante le dichiarazioni di pace e gli accordi sottoscritti nel 2010, le violenze non finirono. Le tribù africane e quelle arabe continuano a vivere in una situazione di tensione, che raggiunge l’apice durante i numerosi episodi di violenza. Nel 2014, ad esempio, almeno 200 donne furono stuprate ed altrettanti uomini furono arrestati nell’assalto al villaggio Fur di Tabit, secondo un rapporto dell’ONU. Gli scontri, in quell’anno, coinvolsero circa 3.300 villaggi.

Nonostante gli accordi di pace del 2020 tra il governo sudanese ed i gruppi di ribelli situati nel Paese, compresi quelli nel Darfur, la situazione continua ad essere allarmante: la popolazione non ha ancora trovato pace e nell’ottobre 2021 il Sudan ha conosciuto nuovi disordini in seguito ad un colpo di Stato. Inoltre le Forze di Supporto Rapido (Rfs) – volute da Al-Bashir nel 2013 e guidate da Hemeti – sembrano acquisire sempre più potere. Al loro interno, sono confluiti molti membri della Janjaweed.

Oggi gli scontri stanno proseguendo con nuovi livelli di violenza: solo nel mese di aprile oltre 200 persone hanno perso la vita. I conflitti hanno avuto inizio in seguito agli omicidi di due pastori arabi, vicino a Keinik. Le popolazioni nella città, come spiegato dal governatore della regione Khamis Abdullah Abkar, sono state poi presa di mira dalla milizia Janjaweed.

Cindy Delfini

Cindy Delfini
Classe '97, Milano. Studio scienze Politiche, Economiche e Sociali, con un forte interesse verso i diritti civili. Sono appassionata di arte nelle sue diverse forme di espressione: musica, danza, cinema, serie TV, letteratura.

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