Quanto è difficile fare lo scrittore? Riuscire a rendere la propria passione e vocazione un vero e proprio lavoro, che ti permetta anche di comprare il pane con le parole, a volte sembra pura utopia. Probabilmente è anche colpa del mondo in cui viviamo, un mondo in cui le priorità sono ben altre e la cultura finisce fin troppo spesso ad essere relegata a semplice intrattenimento e non a strumento fondamentale di emancipazione come dovrebbe essere. Certo, fare lo scrittore non è di certo il mestiere più facile del mondo. Immaginate quanto si complica la questione per il mondo femminile: vittime le scrittrici donne.
La storia del resto insegna: da Louise May Alcott alle sorelle Brontë tante sono le talentuose donne del passato, grandi scrittrici di capolavori letterari che sono state costrette a nascondere il proprio genere femminile dietro uno pseudonimo maschile. Per quale motivo? Per dar autorevolezza e credibilità al proprio lavoro, oltre che per evitare di incappare in fastidiosi stereotipi di genere fin troppo radicati nella mentalità comune.
E se credete che questa sia una circostanza vera solo per i nomi del passato, sarete costretti a ricredervi; anche alla fine degli anni ’90, la scrittrice del caso editoriale più famoso al mondo è stata vittima di discriminazione: parliamo di J.K. Rowling e del suo Harry Potter.
Il principale ostacolo, ad oggi, sembrerebbe l’approccio a generi considerati poco “femminili” o comunque prediletti da un pubblico di uomini: la difficoltà è quella di riuscire a farsi prendere sul serio.
Lo sa bene l’aspirante autrice Catherine Nichols che ha deciso di mettere alla prova il pregiudizio inconscio contro le scrittrici che alberga nella mentalità comune. Come? Dopo aver inviato a 50 agenti il manoscritto di un suo romanzo (senza ottenere altro che due risposte e tiepide reazioni), ha deciso di inviare il lavoro allo stesso numero di agenti, ma con un nome maschile: George Leyer. Dura far fronte alla diversità di trattamento riservato a George, piuttosto che a Catherine: le stesse pagine, scritte da un uomo, hanno ricevuto ben 17 risposte entusiaste e consigli incoraggianti su dove e come migliorare. Ciò vuol dire che George è ben 8 volte e mezzo migliore di Catherine nello scrivere lo stesso libro.
La Nichols racconta la sua storia nel 2015 in un articolo intitolato: “Homme de Plume: What I learned sending my novel out under a Male Name” e qui si arriva all’ingiusta conclusione:
«My novel wasn’t the problem, it was me—Catherine.»
Il caso mediatico tra le scrittrici: J.K. Rowling
Anche la scrittrice che ha dato vita alla saga più famosa degli ultimi anni è stata vittima di pregiudizio. Siamo negli anni ’90 del secolo scorso e la Rowling sta attraversando un periodo di forte crisi: ha appena divorziato, è disoccupata ed è costretta a crescere una bambina con sussidi statali. Joanne, però, ha una mente creativa: crea dal nulla il mondo magico di Harry, una realtà altra che diventa il suo modo di evadere, oltre che per esorcizzare i demoni che è costretta a vivere (una potente metafora è quella dei Dissennatori, creature tra le più terribili nell’universo potteriano che incarnano la bestia oscura della depressione, contro cui la stessa Rowling combatteva).
Vede così la luce il primo libro della saga, “Harry Potter e La Pietra Filosofale”. Joanne tenta di far accettare la sua opera a diverse case editrici, ma inutilmente.
Finalmente la Bloomsburry decide di pubblicare una prima tiratura del manoscritto, che conta solo mille copie. Ma un fatto curioso accompagna la pubblicazione: gli editori sono persuasi che il nome femminile sulla copertina avrebbe dissuaso il lettore maschio dall’acquisto. Così l’autrice decide di firmarsi come J.K. Rowling (Kathleen come la nonna), richiamando vagamente anche il nome del re del fantasy J.R.R. Tolkien.
È la stessa autrice a spiegare l’accaduto: «Hanno ritenuto che avrebbero perso interesse pensando che il libro fosse scritto da una donna.»
Le sorelle Brontë e i Fratelli Bell: scrittrici talentuose
Currer, Ellis e Action Bell: dietro questi pseudonimi per anni si sono celate rispettivamente Charlotte, Emily e Anne Brontë. L’unico conforto delle sorelle? Riuscire a mantenere le iniziali del proprio nome e cognome.
Dopo aver pubblicato sotto i nomi dei fratelli Bell un’antologia poetica, che riscosse poco successo, le tre sorelle si mettono al lavoro sui propri progetti individuali.
Nel 1847 Charlotte Brontë sotto lo pseudonimo di Currer Bell pubblica “Jane Eyre“, uno dei fondamenti della letteratura di formazione inglese. Nello stesso anno Emily Brontë pubblica come Ellis Bell “Cime Tempestose”.
In seguito alla morte delle sorelle, sarà Charlotte a svelare nel 1850 le identità dietro gli pseudonimi.
Mary Shelley e il suo Frankenstein
Qualche decennio prima, dalla penna di una donna prende vita un caposaldo della letteratura gotica e romantica: Frankenstein.
L’opera è stata scritta da un’appena ventenne Mary Shelley a seguito di una fatidica notte in cui sogna di uno scienziato che riporta in vita un cadavere umano per poi abbandonarlo al suo destino. La Shelley inizia, quindi, a mettere su carta quella storia: nel 1818 l’opera è pronta e decide di pubblicarla in forma anonima.
Frankenstein è fin da subito un successo di pubblico, accolta in maniera entusiastica. Mary Shelley, incoraggiata da ciò, decide di uscire allo scoperto con l’edizione del 1831. Le reazioni a quel punto sono stupefacenti: come poteva un libro del genere essere opera di una donna? La critica del tempo arrivò all’ardua sentenza: “Per un uomo era eccellente, ma per una donna è straordinario”. Non fa una piega.
Louisa Mary Alcott e A.M. Barnard
Esistono libri maschili e libri femminili? Un’altra abitudine diffusa, soprattutto tra le scrittrici donne dell’Ottocento, era quella di cambiare identità a seconda del genere letterario.
Così è Louisa May Alcott a scrivere il romanzo di formazione femminile per antonomasia, la saga delle Piccole Donne. Ma la Alcott si eclissa dietro allo pseudonimo di A.M. Barnard quando vuole abbandonare il mondo femminile declinato al domestico e seguire la sua passione per i thriller e i romanzi gotici. L’identità della scrittrice sarà resa nota solo negli anni ‘40 del Novecento.
Harper Lee e i pregiudizi
Le scrittrici donne sono le prime ad essere ben consapevoli dei preconcetti che possono accompagnare la pubblicazione delle proprie opere.
Anche l’autrice premio Pulitzer di quello che è considerato un inno contro il pregiudizio, dovette ben vedersene di non esserne vittima. Parliamo di Harper Lee, conosciuta in tutto il mondo per il suo “Il Buio Oltre la Siepe”. Dato che nell’immaginario comune i grandi nomi della letteratura erano tutti uomini, la Lee decise di non utilizzare nella firma il suo primo nome “Nelle” per dar vita ad un’ambiguità sul suo sesso che magari avrebbe potuto aiutarla a vendere qualche copia in più.
Spesso il sogno di vivere della propria penna altro non è che una velleità, in particolare se declinata al femminile. Tante sono le scrittrici che si sono dovute eclissare dietro un nom de plume, celando la propria identità ma seguendo con determinazione una vocazione.
Poco importa se per riuscirci bisognava in qualche modo negare il proprio genere, ciò che contava era quel desiderio di autodeterminazione che trovava forza nella volontà di esprimersi e nient’altro.
Ingombranti, non all’altezza, inappropriate, con uno stile troppo femminile: le scrittrici combattono contro gli stereotipi di genere da secoli, impegnandosi il doppio per raggiungere i risultati dei colleghi uomini. La forte marginalizzazione delle autrici donne in letteratura è un fatto tristemente noto e rappresenta una piaga contro cui solo la conoscenza può combattere.
E così continuiamo a farlo; impariamo a scindere l’opera da chi la scrive, liberando la mente dal quel preconcetto arcaico che esista una scrittura femminile e una maschile, generi letterari per donne e per uomini: la scrittura si divide solo in buona e cattiva. Così che un giorno tutte le Catherine del mondo possano godere dello stesso trattamento dei George.
Vanessa Vaia