Il 9 febbraio 2024 ha debuttato al Teatro Bellini di Napoli lo spettacolo Salveremo il mondo prima dell’alba della Carrozzeria Orfeo, la compagnia teatrale mantovana che dal 2007 gira i teatri italiani diffondendo cultura irriverente.
E irriverente è anche il loro nuovo spettacolo, una denuncia spregiudicata del mondo moderno, in rotta di collisione col suo stesso destino. In una clinica di riabilitazione, quattro personaggi ricchissimi cercano di recuperare le proprie vite andate alla deriva. Dipendenze, malattie gravi, problemi di coppia, attaccamento al lavoro e strane perversioni sessuali sono i problemi che Jasmine, Omar, Patrizio, e William scelgono di affrontare prendendo le distanze dalla loro vita normale: solo trasferendosi nella clinica, situata nello spazio, a chilometri di distanza dalla Terra, i protagonisti saranno in grado di guardarsi dentro e affrontarsi; in alcuni casi riusciranno addirittura a redimere la loro anima macchiata dalla compromissione con il capitalismo più becero e sfrenato. Ad accompagnare la compagnia c’è il coach, una figura ambigua a metà tra un allenatore e uno psicologo, che riveste il ruolo di motivatore nel percorso di guarigione, e Nat, l’assistente indiano di William, inguaribile idealista e succube del suo capo.
A intrecciarsi con la vicenda, la Terra e la sua umanità sull’orlo del baratro, tra la incombente crisi climatica e i disastri generati dall’arido e feroce capitalismo, che sopravvive grazie all’avidità dei suoi più fedeli esponenti.
All’aprirsi del sipario, gli attori in scena si ritrovano nell’ambiente accogliente di una cupola in legno. Sulle pareti, dei quadri con delle scritte in giapponese (o in cinese?) che richiamano una sorta di orientalismo occidentalizzato, come quello dei manuali di autoguarigione, intriso di una certa retorica del benessere che strizza l’occhio alla new age e all’epoca degli hippie (lo stesso coach invita in una delle prime scene i protagonisti ad afferrare gli attimi di felicità che si susseguono con il gesto della mano di chi vuole acchiappare una zanzara in una insonne notte estiva). Ma quale benessere è possibile in un mondo che, proprio come le vite dei protagonisti, è a un passo dall’autodistruzione? Lo scontro tra società e individuo genera questi quattro mostri che portano in scena la propria psiche massacrata, dilaniata da un malessere ontologico, esistenziale. I due imprenditori che lottano per la supremazia economica, la cantante fallita e distrutta dai propri traumi e dai social network, la coppia gay che non riesce a gestire i problemi interni, causati in gran parte dal lavoro estenuante di uno dei due amanti: sono storie verosimili, cronache dal mondo postmoderno, i cui tratti malsani sono amplificati dal carattere distopico della messinscena. L’unico modo che i protagonisti di Salveremo il mondo prima dell’alba hanno per salvarsi è fuggire da sè, allontanarsi sia fisicamente che metaforicamente dai propri drammi quotidiani; quando il coach vuole spegnere, per punizione, la finestra-video che mostra la Terra, chiede all’Intelligenza che governa la casa di <<spegnere Meraviglia>>, come se la bellezza, anche quella interiore, fosse visibile solo da lontano, solo a condizione che vengano poste le giuste distanze.
Ma Salveremo il mondo prima dell’alba è anche una storia sul potere derivante dal possesso del denaro. Ancora una volta, una chiave di lettura è possibile solo grazie a una presa di distanza: di fronte alla minaccia dell’apocalisse di origine antropologica si salva solo chi ha la possibilità economica per farlo. Nulla si può, invece, contro la minaccia del destino. O contro la minaccia di Nat, un esponente degli ultimi che sul finale decide di ribellarsi ingegnosamente e insegnare una lezione di umanità ai suoi superiori. Nulla si può anche di fronte alla possibilità della morte, quella inevitabile e naturale: davanti alla possibilità di morire, tutti gli esseri umani acquisiscono una immensa fragilità, forse quella stessa fragilità che permetterà all’umanità di non estinguersi, di espiare le proprie colpe con la vita e aspirare, per questo, a una rinascita.
La storia è drammatica ma non triste: l’intero spettacolo è intriso di un’ironia irriverente che a volte sfocia in vera e propria comicità, l’unico filtro possibile per leggere le sfide politiche del nostro mondo. Ecco dunque il senso dei riferimenti alle politiche di genere, ai femminismi e al rainbow washing, persistenti e continui nel corso dello spettacolo.
Giulia Imbimbo