Domani 26 novembre si terrà a Roma la manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne, al grido di Non una di meno, il giorno dopo la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’ ONU nel giorno del 25 novembre.

Le associazioni promotrici sono tre: Rete Io Decido, D.i.R.e – Donne in rete contro la violenza – e UDI – Unione Donne in Italia. La manifestazione nazionale nasce dal confronto fra queste realtà associative che da mesi ragionano sulla necessità di alcuni interventi in materia di sanità, educazione alle differenze, libertà di scelta e centri anti violenza.

La Rete Io Decido nasce come rete cittadina che si mobilita da almeno tre anni nelle strade, negli ospedali per conquistare rivendicazioni sul tema della salute e contro la violenza di genere.

L’UDI – Unione Donne in Italia – nasce con la denominazione “Unione Donne Italiane”, dall’esperienza femminile della Resistenza. Fu tra le prime realtà a battersi per la rivendicazione di diritti fondamentali quali il diritto al voto, all’istruzione, al lavoro e ai servizi sociali. Interviene facendo leva sul principio dell’autodeterminazione in tutte le questioni che riguardano la vita quotidiana delle donne.

D.i.Re – Donne in rete contro la violenza – è  la prima rete nazionale di Centri Antiviolenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne. Gestisce una rete di più 70 associazioni, centri antiviolenza e case delle donne.

L’appello di queste tre associazioni al grido di Non una di meno, accolto da molte altre, è chiaro:

«Non accettiamo più che la violenza condannata a parole venga più che tollerata nei fatti. Non c’è nessuno stato d’eccezione o di emergenza: il femminicidio è solo l’estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica. È una fenomenologia strutturale che come tale va affrontata».

La necessità di una manifestazione nazionale muove proprio le mosse dal neologismo creato per indicare una realtà sempre più evidente.

Si allude a un omicidio non legato a motivazioni personali, follie o ripicche, ma a un sistema culturale ben radicato, a un modello di società patriarcale. Come l’Accademia della Crusca specifica, il femminicidio è legato «a un atteggiamento culturale ributtante, di chi considera la moglie, la compagna, l’amica, la donna incontrata casualmente, non un essere umano di pari dignità e di pari diritti, ma un oggetto di cui si è proprietari».

Questo contesto culturale però non è certamente solo associabile all’Italia, basti pensare al fatto che il grido Non una di meno, che riempirà le strade di Roma domani, è la traduzione italiana di un altro grido: Ni una menos. Quest’ultimo movimento è nato in Argentina per protestare contro il femminicidio – si conta infatti che in questo Paese, ogni 30 ore, una donna venga assassinata «solo perché donna». Al grido di Ni una menos, lo scorso 19 ottobre, per un’ora migliaia di donne e uomini hanno infatti sfilato per le strade di Buenos Aires con indosso il colore della morte, il nero.

Lo sciopero argentino è stato poi seguito da altre manifestazioni in altri Paesi: Spagna, Cile, Polonia, dove migliaia di donne sono scese in piazza contro il disegno di legge del governo anti-aborto, che di fatto avrebbe precluso la possibilità di interruzione di gravidanza.

Al corteo di sabato 26 seguiranno nella giornata del 27 l’organizzazione di otto tavoli tematici su: Piano Legislativo e Giuridico, Lavoro e Welfare, Educazione, Femminismo migrante, Sessismo nei movimenti, Diritto alla salute sessuale e riproduttiva, Narrazione della violenza attraverso i media, Percorsi di fuoriuscita dalla violenza.

Ciò perché l’obiettivo finale di Non una di meno è quello di definire un percorso comune che porti alla revisione del Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza.

Sabrina Carnemolla

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