Troppo spesso veniamo travolti dalla routine con così tanta naturalezza da trovarci, senza rendercene conto, in un irrefrenabile loop. E rimaniamo lì a rimuginare cercando un modo per uscire da questo ristagno, senza trovare una via d’uscita perché, come nella maggioranza dei casi, il cambiamento ci investe nei modi più assurdi e inattesi. Proprio come è successo a Vittorio, lo svuota cantine protagonista de “La scatola di Escher” di Massimo Junior D’Auria, edito Delos Digital.
Vittorio ha imparato a sue spese che “il rimuginare non fa mai bene”, nonostante ciò, non smette di farlo finché, per una coincidenza – o forse no – di eventi, una strana scatola sigillata trovata in un vecchio negozio di articoli magici ed esoterici, stravolgerà la sua esistenza. Sperando di fare grande fortuna dalla sua rivendita, Vittorio porta con sé lo strano oggetto, diventandone ben presto ossessionato. Eppure, come scoprirà a poco a poco, sarà proprio la scatola il mezzo per un complesso e straziante viaggio interiore alla ricerca di un contatto perduto.
Il racconto si fa progressivamente più misterioso: il protagonista, e il lettore con esso, si lascia alle spalle la luce del giorno per girovagare in un’atmosfera sempre più cupa e inquietante, alla ricerca – o/e alla perdita – di quanto ci sia di più prezioso. Una storia dai tratti noir e horror, volutamente straniante e dal ritmo sempre più incalzante che lascia il lettore con il fiato sospeso e lo rende parte della narrazione, lasciandogli libertà di interpretare l’ambigua conclusione.
Il noir, l’horror e i tratti volutamente cupi e ambigui, sono ormai pane quotidiano per Massimo Junior D’Auria, che dimostra di padroneggiare anche nella seconda pubblicazione del 2024, la raccolta “Uroboro. E altri racconti”, edito Vintura. Si tratta di otto racconti brevi che spaziano dal fantastico, soprattutto horror, al fantascientifico, accumunati tra loro- oltre che alla pubblicazione precedente- da temi ricorrenti, quali il viaggio tra mondi diversi e la possibilità di universi multipli, il concetto di ossessione, e soprattutto, come suggerisce il titolo, l’eterno ritorno.
Come già in “La scatola di Escher” anche nelle brevi storie della raccolta “Uroboro” l’autore invita il lettore a compiere insieme ai protagonisti un viaggio nei meandri dell’anima per portare alla luce le speranze, ma soprattutto le ossessioni che ci logorano e ci tengono ancorati a un immutabile presente. Questo è quanto accade a Vittorio, come anche al protagonista de “La prima volta che ho visto un orso Kuthku”, che si reincarna proprio nella sua ossessione, un orso. Le relazioni di causa-effetto sono quindi viste da una prospettiva diversa: la causa è anche l’effetto, ma quest’ultimo è anche la causa, proprio come lo scrittore ci illustra sia nella prima storia, sia in “Il Coyote”, e come poi sintetizzato nell’ultimo racconto “Uroboro”.
Circolarità ed eterno ritorno di matrice nietzschiana sono dunque il filo rosso della penna di Massimo Junior D’Auria, temi che si riflettono, inoltre, nella struttura stessa dell’ultima raccolta. Scelte tematiche e stilistiche, oltre che eventuali influenze e ispirazioni, sono state approfondite in un interessante scambio con l’autore.
Confronto con l’autore Massimo Junior D’Auria
Le pubblicazioni dell’ultimo anno sono molto vicine dal punto di vista stilistico e tematico, come se fossero tanti fili di una stessa trama. La scelta è casuale oppure si tratta di un progetto più ampio in cui ogni storia è un pezzo del puzzle? E, soprattutto, ci sono altri pezzi in arrivo?
«Vi ringrazio prima di tutto per lo spazio concessomi. Sin dalle prime pubblicazioni avvenute ormai circa quindici anni fa ho sempre ho cercato di avere una coerenza per i temi trattati, per quanto in qualche modo, anno dopo anno, il fantastico si sia fatto sempre più presente nelle storie che scrivo. Quindi confermo che ci sono situazioni che, con diverse sfumature, si ritrovano a tornare in diverse opere. Il tema per esempio degli universi paralleli, della ciclicità del tempo, dell’alienazione, delle profezie che si auto-avverano, del legame tra amore e morte. Insomma tutti questi temi e anche altri sono un po’ il fil rouge dei miei testi. Dunque sì, apprezzo che si noti, alcune cose sono destinate a tornare. Tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025 per esempio dovrebbe arrivare un altro racconto lungo legato al mondo de “La Scatola di Escher”. Per quanto riguarda lo stile è qualcosa su cui sto facendo tantissima ricerca per affinare ulteriormente la mia “voce”, non uno stravolgimento, ma una smussatura. Del resto, credo che ogni autore dovrebbe cercare di migliorarsi e limarsi anno dopo anno. In questo 2024 usciranno altri racconti, ma a parte quello legato all’universo de “La Scatola di Escher” si tratta di testi che ho scritto l’anno scorso, quindi spero che questa “affinazione” piano piano si inizi a notare».
In “La Scatola di Escher” Vittorio assiste al sopravvento del soprannaturale sul reale in maniera del tutto naturale. Qualcosa di simile torna in “Reset” o in “Mi sceglieresti in ogni universo possibile?”, due racconti nei quali non solo non si esclude l’esistenza e la possibilità di mondi altri e infiniti, ma è persino possibile muoversi tra questi con navicelle o strumenti speciali come se fosse tanto naturale quanto prendere un treno per andare da Napoli a Roma. Questo labile confine tra realtà e irrealtà è una strategia narrativa del fantastico con radici profonde e risalenti ai padri del genere, si pensi ai racconti di Hoffmann ad esempio. Mi chiedevo quindi se ti ispirassi a qualcuno in particolare dei padri del fantastico e quali influenze si celano dietro la tua penna.
«Non mi sono mai precluso nessun genere, quindi leggo molto e in modo molto diverso. Tuttavia, indubbiamente il fantastico è il mio genere preferito, in tutte le sue sfumature, dal weird al fantasy. Gli autori che mi sono stati più di ispirazione sono indubbiamente: Kafka, King e Lovecraft. In modo più o meno nascosto sono loro che mi hanno formato molto nella scrittura. Tuttavia, ci sono tantissimi altri autori da cui mi sento influenzato: Borges, Bradbury, Poe, Doyle, Calvino e molti altri. Credo che, per certi versi, uno scrittore sia una spugna e che una lettura non sia mai soltanto una lettura, ma qualcosa che ti arricchisce in un modo o nell’altro. Anche le letture meno positive possono farti comprendere qual è la direzione in cui non andare. Quindi ritengo che lo scrittore che sono oggi sia stato influenzato anche da tutti i libri che ho letto durante la mia vita da lettore».
Leggendo i diversi racconti sembra che ci sia sempre un cenno velato – anche in questo caso una strategia del genere – al presente storico. In particolare, quanto raccontato in “La Consegna”, tra differenze di classe e lavori svilenti, non è poi così diverso dalle vicende che i riders o chi fa mestieri affini devono vivere ogni giorno. Che ruolo svolge la contemporaneità nel tuo processo creativo?
«Assolutamente sì. Credo che anche nel fantastico più puro ci siano sempre degli accenni al presente e a quello che succede. Penso sia impossibile staccarsi in maniera così pesante da certi temi. “La Consegna” nasce proprio per quel motivo. Una visione pessimistica – spero, almeno – della società dei consumo portata al limite, in cui il rischio della morte durante una consegna per una pausa pranza è una cosa abbastanza normale. Ma, come hai notato, non è unicum, anche l’alienazione dal resto della società è un tema sociale che per me è molto importante e che si ritrova in diverse delle mie opere. Dunque, nella mia scrittura la contemporaneità riveste un ruolo fondamentale, perché è quella che vivo e credo che ogni scrittore in qualche modo si faccia influenzare dal suo vissuto».
Riflettendo sulle tematiche riportate alla luce dai racconti di Massimo Junior D’Auria, rimaniamo allora in attesa di nuovi mondi da esplorare e sui quali rimuginare.
Nunzia Tortorella