Per Matteo Salvini il ponte sullo Stretto è più di una infrastruttura
Fonte immagine: LA NOTIZIA

Nella politica italiana esistono dei temi ricorrenti che vengono riproposti durante ogni campagna elettorale, come se fossero dei cavalli di battaglia purosangue in grado di ringalluzzire un programma politico sottotono incapace di entrare nel cuore degli elettori. Tali temi di solito, fanno riferimento alle grandi opere – da sempre al centro del dibattito pubblico italiano in quanto appartengono alla categoria delle tematiche divisive – o alle tasse, altro tema che richiama l’attenzione di molti. Un argomento, però, in particolare può vantare un record di longevità nel dibattito nazionale e, in particolare, nelle campagne elettorali dei partiti. Si tratta del sempreverde ponte sullo Stretto di Messina.

L’idea di collegare Calabria e Sicilia è più vecchia dell’Italia stessa. I primi tentativi risalgono agli antichi romani, poi sarà Carlo Magno ad accarezzare l’idea di unire le due regioni. Nel 1840, poi, Ferdinando II di Borbone fece realizzare il primo studio di fattibilità, a cui seguirono poi i tentativi del ministro dei Lavori Pubblici del Regno d’Italia, Stefano Jacini, di costruire un grande ponte in metallo. Le buone intenzioni si interruppero nel 1908, quando il terremoto che devastò la città di Messina evidenziò quanto l’elevata sismicità della zona fosse un ostacolo invalicabile. Nonostante anche nel ventennio fascista alcuni posero il problema di unire Sicilia e Calabria, fu la neonata Repubblica Italiana a dare forma alla questione, bandendo nel 1969 un “Concorso internazionale di idee” con il fine di individuare una serie di progetti di attraversamento stradale e ferroviario dello Stretto. Furono presentati 143 progetti e stanziati 3,2 miliardi di lire per gli studi preliminari. Questi ultimi rappresentano i primi costi dello Stato (e degli italiani) per un’opera, fino ad ora, esistente soltanto sulle carte degli architetti e dei tecnici e nei sogni dei governi.

Ora è il turno di Salvini il quale, dopo i tentativi a vuoto di Berlusconi e dei governi primo-repubblicani – che negli anni ’80 portarono alla nascita della “Società Stretto di Messina” – rispolvera l’idea del ponte sullo Stretto più per un’impellente necessità politica che per altro. Il ministro dei Trasporti crede ciecamente nei benefici dell’opera, tanto da scontrarsi con Don Ciotti e con chiunque sollevi i numerosi dubbi che aleggiano attorno a un gigante i cui costi non sono ancora chiari. La realtà parla però di una missione difficile e dai mille ostacoli, anche e soprattutto ambientali, e di numerosi rischi non adeguatamente trattati dallo stesso governo promotore del ponte. Tutto ciò non intacca però il peso politico dell’opera, il quale serve al ministro molto più del progetto finito.

Un ponte, mille problemi

In generale, la grande opera è il simbolo dell’ambizione di un esecutivo, uno strumento propagandistico efficace e in grado di toccare le corde giuste dell’elettorato. Il caso del ponte sullo Stretto, però, è diverso. Costato diverse centinaia di milioni ancor prima di vedere la luce, l’infrastruttura in sé, il cui progetto preso in considerazione da Salvini risale all’ultimo governo Berlusconi, è associata molto spesso all’irrealizzabilità, allo spreco e alla malavita organizzata, la quale sfrutterebbe gli appalti per racimolare milioni e influenza politica.

Per molto tempo, il ponte sullo Stretto ha rappresentato anche un’occasione, necessaria per lo sviluppo del Meridione, economicamente più arretrato del Nord e bisognoso di quei 3 km di infrastruttura per “ridurre le distanze”. Ma non è così semplice. E Salvini lo sa. Le vicissitudini politiche, che guidano un ministro la cui buona stella si sta esaurendo, si scontrano con decenni di tentativi andati a vuoto e con progetti che non hanno mai raggiunto uno stadio credibile.

L’ultima novità, in ordine di tempo, è il ritorno della celeberrima società Stretto di Messina, nata nel 1981 e messa in liquidazione da Mario Monti. Per convincere gli scettici circa la bontà dell’opera, il ministero ha anche aperto una pagina dedicata alle FAQ sul ponte, le quali contengono i numeri legati alla mastodontica infrastruttura: tremilatrecento metri di lunghezza, 60,4 di larghezza, sei corsie stradali, due binari per una capacità di seimila veicoli l’ora e duecento treni al giorno. Manca però un dato importante: quanto sarà alto questo ponte? Sessantacinque metri, dice il ministero. I tecnici, però, rispondono dicendo che se così fosse, sarebbe troppo basso. Sul fronte dell’impatto ambientale, poi, tutto tace. Inoltre, quella tra Messina e la Calabria è un’area dal forte rischio sismico, saprà il progetto tenere conto di questo dato non da poco?

Poi ci sono i costi. Salvini parla di 8,5 miliardi di euro. Si tratta del costo stimato dall’ultimo governo Berlusconi, cioè di dodici anni fa. Oggi, invece, si parla di 13,5 miliardi, senza contare le opere connesse, utili ad implementare il suo funzionamento. Il Def, pubblicato il 13 aprile sul sito del ministero dell’Economia, parla abbastanza chiaro: il costo stimato del ponte sullo Stretto è stimato intorno ai 13,5 miliardi, mentre quello delle opere ferroviarie che si collegheranno all’infrastruttura si aggira intorno agli 1,1 miliardi di euro. Sommando le due voci di spesa si ottengono 14,6 miliardi di euro. Inoltre, il Def non si sbilancia sul costo delle opere di ottimizzazione e complementari alle connessioni stradali che saranno realizzate assieme al ponte. Poi c’è un altro problema: le coperture. Il Def aggiunge anche che “a oggi non esistono coperture finanziarie disponibili a legislazione vigente; pertanto, queste dovranno essere individuate in sede di definizione del disegno di legge di Bilancio“. Detta altrimenti,al momento non ci sono soldi per finanziare l’infrastruttura di punta del programma salviniano.

E non finisce qui. Anche l’ANAC ci mette del suo: l’Autorità Nazionale Anti Corruzione, nella sua relazione annuale ha bocciato l’opera pubblica perché comporterebbe “troppi rischi per la parte pubblica”, riferendosi agli squilibri nel rapporto tra concedente pubblico e privati. Infine, appare chiaro – non a tutti, a quanto pare – che ignorare il ruolo di primo piano svolto dalle organizzazioni mafiose nel settore dei lavori pubblici sarebbe un grave errore. Da sempre la realizzazione delle grandi infrastrutture è connessa al controllo del territorio da parte delle mafie. L’interesse dei gruppi criminali per i grandi appalti non è riconducibile soltanto alla dimensione economica. Per le mafie, mettere le mani su questi meccanismi che consentano di gestire i lavori relativi alle infrastrutture è una attività conveniente e soprattutto più remunerativa e meno rischiosa del traffico di droga. Dal movimento terra alla fornitura di calcestruzzo e di bitume, dal gasolio ai servizi mensa per gli operai e alla vigilanza e i servizi accessori.

Quest’ultimo aspetto, il quale viene continuamente declassata al rango di “insensata preoccupazione” o “malafede”, è da tempo motivo di scontro tra Matteo Salvini e gli esponenti della società civile che da anni si battono contro le organizzazioni mafiose. L’ultimo, in ordine temporale, è Don Luigi Ciotti, presidente e fondatore di Libera – l’associazione che unisce i parenti delle vittime innocenti di mafia – il quale ha posto l’accento proprio sul rischio che il ponte sullo Stretto possa essere un collegamento tra due “cosche”. La replica, stizzita, del ministro non si è fatta attendere. Nonostante le rassicurazioni della politica, però, il problema posto da Don Ciotti e da altri prima di lui è reale: negare l’influenza delle mafie negli appalti pubblici è sbagliato e controproducente, in quanto le cosche da anni lavorano per costruire nuove società tra le due sponde e per infiltrarsi silenziosamente nel circuito delle imprese pulite.

Il ponte sullo Stretto è un’irrinunciabile opportunità politica

Per Matteo Salvini il ponte sullo stretto non è una semplice infrastruttura bensì una grande opportunità politica. Il ministro, il quale da tempo ha visto ridursi il suo spazio politico all’interno dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, ha bisogno di respirare e quale miglior occasione se non quella di avere l’opportunità di legare il suo nome al più grande – soprattutto in termini mediatici – progetto infrastrutturale dal dopoguerra ad oggi? D’altronde, se tutta la comunicazione politica di questo esecutivo è stata centralizzata dal Presidente del Consiglio, grandi spazi di manovra per i ministri non ce ne sono. Anche gli argomenti su cui insistere latitano. O meglio, non tutti hanno la stessa presa sull’elettorato. Da ministro dell’Interno, Salvini aveva un margine di movimento maggiore, derivante soprattutto dalle difficoltà di Luigi Di Maio e da Giuseppe Conte. Le cose da allora sono cambiate e il leader della Lega deve confrontarsi con una situazione difficile: da un lato c’è un capo del governo che, avendo appreso proprio da lui costi e benefici della comunicazione totale, monopolizza il dibattito pubblico con la sua agenda, dall’altro, invece, il suo partito non gode più delle stesse attenzioni mediatiche (ed elettorali) di un tempo.

Per questo motivo, il ponte sullo Stretto rappresenta l’unica occasione per “non morire” (politicamente, si intende) e per fermare un declino che prosegue da tempo, ormai. Almeno dalla fine del Conte I, in cui il ministro decise di interrompere l’esperienza di governo con i grillini per commettere uno degli errori politici più grandi degli ultimi anni. La gigantesca infrastruttura è l’unico punto degno di considerazione presente nell’agenda del ministro, l’unico in grado di catturare la prima pagina dei giornali e l’unico che gli è concesso dal capo del governo. Si tratta, dunque, di un’opportunità che Salvini non può farsi sfuggire.

Donatello D’Andrea

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