Lunedì 22 agosto il colosso energetico italiano, ENI ha annunciato di aver individuato al largo di Cipro, nel Mediterraneo Orientale, riserve di gas per 2,5 Tcf (trilioni di piedi cubi) all’interno della loro concessione. Il pozzo è stato denominato CRONOS-1 e si trova a circa duemila metri di profondità e a circa 160 km dalle coste dell’isola. Si tratta del quarto pozzo esplorativo cipriota per ENI, il secondo nel Blocco 6 dopo Calypso-1 nel 2018. Bisognerà attendere, però, almeno un anno prima che la scoperta si traduca in attività industriale. Ma le difficoltà non finiscono qui. C’è uno scoglio ancora più impervio da superare e si chiama Recep Tayyip Erdogan. Il Presidente della Turchia da tempo rivendica il Mediterraneo Orientale come propria zona di interesse economico e strategico, dimostrando più volte di non apprezzare la spregiudicata politica energetica del colosso italiano. Superare le sue resistenze sarà difficile, dato che sulla politica estera il nuovo sultano ha investito molto in termini di consenso, presentandosi all’elettorato come colui il quale avrebbe rilanciato la geopolitica turca.
La scoperta del giacimento, resa ancora più importante dal particolare periodo che i Paesi europei stanno vivendo a causa della crisi energetica, è stata presentata da ENI come una risposta a supporto dell’erogazione di ulteriore gas al continente con l’obiettivo di dare una sterzata alla politica di autonomia energetica dell’Italia, che riducendo il suo approvvigionamento dalla Russia sta cercando delle valide alternative.
Dal canto suo, Erdogan non rinuncerà a rivendicare i suoi diritti sulle attività estrattive delle compagnie petrolifere italiana e francese che operano nei blocchi in cui Cipro è stata suddivisa. La presenza turca sull’isola, dovuta alla Repubblica turca di Cipro del Nord – che la comunità internazionale non riconosce, ma questo poco importa ad Ankara – ha sempre impedito qualsiasi azione di tipo risolutivo che permettesse di trasportare il gas cipriota sulla terraferma. Anche questa volta, sembra che il turco abbia deciso di mettere il bastone tra le ruote agli europei, colpevoli altresì di voler escludere, assieme ad Egitto, Grecia e Israele la Turchia dal progetto EastMed.
Erdogan e la partita sul gas cipriota
In un periodo in cui le soluzioni per ovviare alle forniture di gas da parte della Russia di Putin scarseggiano, con Mario Draghi, ormai Presidente del Consiglio dimissionario, che fino allo scorso luglio aveva fatto il giro di mezzo continente africano per stringere accordi con nuovi fornitori, la scoperta del giacimento cipriota apre nuovi scenari e alimenta le speranze di avvicinarsi alla tanto agognata indipendenza energetica.
L’ostacolo maggiore è proprio l’occupazione del Nord di Cipro da parte della Turchia, che va avanti dal 1974, che ha permesso ad Ankara di avere voce in capitolo su come i profitti vengano ricavati dalle ricchezze dell’isola, vuole assicurarsi che i benefici fluiscano alla comunità turco-cipriota e vuole mantenere, allo stesso tempo, il controllo dei transiti di gas verso il continente europeo. Tutto ciò entra in conflitto con gli interessi di un altro Paese, la Grecia, che vorrebbe diventare un hub per il transito del gas da sud.
A seguito dell’acquisto da parte di Ankara del sistema S-400 di fabbricazione russa, l’asse turco-americano si è incrinato a favore della Grecia. Washington ha investito molto sul Paese ellenico, avendo dovuto preparare un Piano B per far fronte al tradimento di Erdogan. Con il memorandum ellenico-americano firmato da Mike Pompeo e rinnovato da Blinken, la Grecia ha messo a disposizione 4 basi terrestri, inoltre la base SOM di Souda Bay, a Creta sarà ampliata e questo potrebbe rientrare in una strategia che vede al centro nuovi investimenti militari per affiancare Creta all’isola di Cipro (base di Akrotiri). Gli americani, poi, hanno avviato i lavori per il terminale GNL di Alexandroupolis, una nuova infrastruttura per la sicurezza energetica dell’Europa sudorientale e dei Balcani. Il porto cittadino è diventato un hub importante per i trasporti, la logistica e l’energia.
Ed è in questo contesto che si inserisce la partita del gas. La zona economica esclusiva dell’isola, che abbonda di risorse naturali, è stata posta sotto la lente d’ingrandimento di numerose multinazionali, tra cui l’italiana ENI, le quali vogliono proteggerla da eventuali interferenze turche. Le mire del sultano, il quale risponde alle nuove scoperte con provocazioni, non lasciano tranquilla Nicosia, che teme di fare la fine della Siria, trasformandosi in un campo di battaglia tra superpotenze con interessi economici e geopolitici.
La partita del gas, però, non la stanno giocando soltanto gli americani. Un altro esempio di come Erdogan su questo settore sia costretto a tenere aperti più dossier è quello del gasdotto EastMed, un progetto da sei miliardi di euro annunciato nel 2020 con un accordo tra Cipro, Grecia e Israele per la costruzione di una conduttura di quasi duemila km capace di trasportare fino a 12 miliardi di metri cubi all’anno di idrocarburi. In questo momento il progetto è in pausa per un ripensamento americano e per le proteste di Ankara, la quale ritiene che il percorso pianificato attraverserebbe il territorio marittimo da lei rivendicato.
Nel caso di specie, però, proprio l’attenzione degli americani e le necessità europee potrebbero scoraggiare Erdogan ad intervenire militarmente, lanciandosi in una sorta di “operazione Ucraina” come Putin (d’altronde a Cipro ci sono soldati e mezzi turchi). Inoltre, non è solo l’occidente a puntare gli occhi sul Mediterraneo, dato che si tratta di uno specchio d’acqua che coinvolge anche Paesi come Qatar, Israele ed Egitto che hanno interesse affinché si realizzi una pax mediterranea che si basi sull’energia. Ciò non toglie che tali Paesi siano ben consci di non poter escludere a lungo la presenza turca dai giochi.
La Turchia tra geopolitica e diplomazia
Se la questione del gas è un dossier su cui Erdogan non può forzare troppo la mano, sulle altre vicende il presidente turco gode di una certa libertà di movimento che gli permettono di “vivere di geopolitica” e di rafforzare la sua posizione interna e internazionale. C’è, innanzitutto, la guerra in Ucraina, dove la Turchia, in nome dei – presunti – buoni uffici con il Cremlino sta cercando di far sedere allo stesso tavolo i due protagonisti del conflitto, Putin e Zelensky. Il trilaterale tra quest’ultimo, il segretario dell’Onu Guterres ed Erdogan, seppur non abbia prodotto per il momento dei risultati tangibili, rende Ankara l’unico intermediario credibile e capace di tenere aperto il dialogo. Si tratta di un importante riconoscimento diplomatico da parte dell’Occidente, dell’Ucraina e delle organizzazioni internazionali.
Il disegno geopolitico di Erdogan passa anche attraverso la posizione strategica che la Turchia possiede nel Mediterraneo orientale. La geografia permette ad Ankara di trattare vis-a-vis con le superpotenze, le quali sono ben consce della volubilità del Presidente ma sono costrette di volte in volta a fare delle concessioni, consapevoli di quanto il Paese sia utile in termini geo-strategici. A metà strada tra l’Europa e il Medio Oriente, per gli americani Ankara regola l’accesso al Mediterraneo della flotta russa e la sua presenza nella Nato permette altresì di avere un avamposto militare – il secondo esercito dell’Alleanza – in grado di tenere a freno le ambizioni russe nel Caucaso. Dal canto suo, Mosca, seppur riluttante a conservare dei buoni uffici con un Paese poco affidabile, è costretta a dialogare con Erdogan a causa di numerosi dossier condivisi: dalla Libia, dove i due eserciti si fronteggiano, alla Siria, passando per l’Africa.
Erdogan è quell’intermediario del quale, in taluni casi, non si può fare a meno di contattare. Prima o poi, a uno a uno, tutti i protagonisti delle scene mondiali devono passare da lui. Questo è l’esempio di Svezia e Finlandia che, per superare il suo veto per entrare nella Nato, hanno dovuto cedere su alcuni punti, non del tutto chiaro ma che coinvolgono i curdi. Anche Draghi, l’anno scorso, aveva definito il turco un “dittatore di cui si ha bisogno”, commettendo forse un errore di comunicazione ma dicendo (in buona fede?) la verità. In base alla sua posizione geografica, al rapporto con l’Europa e più in generale con l’Occidente e gli Stati Uniti, il Presidente turco è una pedina importante dello scenario internazionale.
La politica estera aggressiva e spregiudicata di Erdogan si basa proprio sulla capacità di Erdogan di saper giocare con la sua intoccabilità. Non c’è soltanto il militarismo e il controllo dei mari, ma anche una buona dose di diplomazia, di accordi e di alleanze. La ripresa del dialogo con Israele e quello con le monarchie del Golfo, oppure, come accennato, la capacità di farsi portavoce del dialogo tra i due belligeranti in Ucraina. Si tratta di mosse che denotano da un lato la capacità di leggere la situazione internazionale e dall’altro indicano come Erdogan sappia mettere sulla bilancia il peso geopolitico della Turchia.
Donatello D’Andrea