Ogni storia della prolifica scrittrice belga Amélie Nothomb regala una lettura piacevole e lascia una profonda riflessione sulla vita, ma il suo ultimo romanzo è uno dei più delicati e autentici che abbia mai scritto. Psicopompo, un titolo abbastanza impegnativo, ha scalato in poco tempo le classifiche ed è stato presentato al Salone del libro di Torino dalla stessa autrice, in compagnia di sua sorella Juliette.
Un’autrice tutt’altro che convenzionale
«Io sono una dilettante. Ma in fondo non ho ancora detto la mia ultima parola.»
Psicopompo è un’autobiografia, in cui l’autrice scrive della sua infanzia idilliaca in Giappone e del trasferimento in Bangladesh a causa del lavoro del padre, il diplomatico Patrik Nothomb. Durante una giornata al mare in questo nuovo Paese, Amélie subisce una violenza. Descrive tutta la storia con una delicatezza fuori dal comune, in cui non solo rivive il dolore, ma racconta soprattutto il suo modo di affrontarlo.
Psicopompo e la scrittura salvifica
Ma cos’è lo psicopompo? O piuttosto, chi è? Tutta la vastezza culturale di Amélie Nothomb si intuisce in questo espediente letterario: nella mitologia greca Psicopompo è Hermes (chiamato anche Mercurio); o meglio, è la funzione che il dio assume nel momento in cui trasporta le anime nell’Aldilà. Psicopompo quindi è, metaforicamente, tutto ciò che accompagna una persona da una fase all’altra della vita, tutto ciò che di salvifico porta via un’anima dal travaglio interiore o da un trauma.
«La missione dello psicopompo non ha niente di epistemologico. Se è metafisica, lo è solo per difetto. Lo psicopompo non afferma altro che un infinito non sapere. La duttilità del non sapere è l’esatto contrario del dogma. La pompa, in psicopompo, è una propulsione.»
La trama
Il romanzo si apre non a caso con la leggenda giapponese della bellissima gru che diventa fanciulla per poi sacrificarsi per amore. Questa leggenda accompagnerà la protagonista nel suo idillio giapponese, ma la gru, uccello orientale, sarà uno degli elementi che maggiormente l’affascineranno. Da qui, forse, nasce la passione per l’osservazione degli uccelli o birdwatching. L’infanzia, che lascia il posto alla pubertà, aprirà una nuova fase della vita di Amélie Nothomb segnata dall’anoressia a causa del trauma vissuto, al quale l’autrice non si abbandona con volontà di commiserazione ma di cui parla con la giusta dose di dolore e accennando a vari modi “psicopompo” per uscirne. Infatti, è qui che interviene Psicopompo: la passione per il Greco antico, per gli uccelli, la scrittura stessa diventano Psicopompo, cioè elementi salvifici che trasportano idealmente Amélie nell’Aldilà. E anche l’Aldilà non è inteso come luogo metafisico ma come una nuova fase della vita tangibile e diretta; possibile grazie a Psicopompo, quasi una ragione (o meglio le ragioni) di vita.
«La scrittura, praticata con la dovuta intensità, è il più folgorante dei mezzi di chiarificazione.»
Nell’ultima parte del romanzo, la scrittrice parla di suo padre, del bel rapporto di amore incondizionato che l’ha portata a scrivere il romanzo dal titolo “Primo sangue”. Coglie anche l’occasione per parlarci delle sue opere precedenti che sono servite ad abbandonare lo sconforto e, in parte, a superare conseguenze negative dell’avvenimento che l’ha segnata. Curiosa è la spiegazione di come intrattenere rapporti con l’Aldilà, di come la morte del padre abbia costituito per l’autrice motivo di dolore. Il rapporto che Amélie Nothomb intrattiene con l’Aldilà è una trasposizione dei dialoghi con suo padre con il quale, sostiene di riuscire a parlare anche dopo la morte.
«L’amore consente di dirsi tutto, non costringe a farlo.»
La profondità del romanzo
In questo sferzante, dolce romanzo d’amore e di riscoperta della natura, Amélie Nothomb ha messo tutta sé stessa, dunque si avverte tutto della sua personalità: una sofferenza mai realmente superata, le invenzioni e gli autoconvincimenti della sua mente per superare i suoi fantasmi che sono anche una trovata letteraria molto apprezzata, la forza che la contraddistingue per non soccombere e il coraggio per superare limiti che la paura le ha imposto. Conclude questo romanzo ritornando a parlare degli uccelli. Essi sono detentori del volo. Il volo è la vita. Gli uccelli sono psicopompo per eccellenza. Ella induce ad amare queste creature così fragili all’apparenza ma così forti da riuscire a domare il vento e volare.
«In fondo cos’è volare se non abbandonarsi all’ebbrezza del vuoto?»
(Psicopompo)
Simona Esposito