Chi ha paura di Barack Obama? Dopo anni di “quasi silenzio”, l’ex presidente torna alla carica registrando il suo messaggio di auguri ai neodiplomati e neolaureati della sfortunata classe 2020, che a gran voce gli avevano chiesto di pronunciare per loro parole di incoraggiamento. Da quello che doveva essere un semplice discorso motivazionale è venuto fuori uno degli attacchi (indiretti) più clamorosi della recente storia della politica americana nei confronti di un presidente in carica. Donald Trump ha tremato, guardando il video del suo predecessore, e ne ha avuto parecchi motivi.
Obama’s back!
Volto un po’ invecchiato ma disteso, zazzera ingrigita, Barack Obama non ha usato mezze misure, pur senza fare nomi: ricordando ai ragazzi che si apprestano ad affacciarsi al futuro che i valori più importanti sono l’onestà, la probità e lo spirito di sacrificio per la comunità, ha sottolineato che chi è al potere oggi negli Stati Uniti non ha la minima cognizione del senso di responsabilità necessario per chi governa. La pandemia ha rivelato il dato di fatto dell’inadeguatezza delle autorità di governo – leggasi Donald Trump.
L’attacco appare inconsueto perché è tradizione che il predecessore non critichi il presidente in carica, e viceversa: nella politica americana, per quanto tinto di ipocrisia, il fair play è d’obbligo. Non è mai stato così per Donald Trump, però, che nell’ultimo periodo ha rispolverato le accuse a Obama di essere implicato nel celebre Russiagate del 2016, per togliere di mezzo l’allora neoeletto tycoon con mezzi illeciti e antidemocratici. Gli sforzi di Trump per screditare l’establishment precedente si comprendono ancor di più, considerato che l’avversario alle presidenziali 2020 sarà proprio l’ex vicepresidente di Obama, Joe Biden.
Diffamare Obama per attaccare Biden: questo è stato il piano di Trump negli ultimi tempi. Le ruggini con Obama sono di vecchia data, considerando anche le falsità diffuse da The Donald nel corso della campagna elettorale del 2016, in cui aveva messo in dubbio l’eleggibilità del primo presidente afroamericano della storia, insinuando che in realtà fosse nato in Africa. Nel corso degli anni, Obama aveva limitato le uscite pubbliche contro Trump; ultimamente, però, complici anche alcuni importanti eventi (specialmente, la caduta delle accuse contro l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, Michael Flynn, implicato sempre nel Russiagate), Obama è tornato prepotentemente alla ribalta.
Perché Obama è tornato?
La pandemia è solo la punta dell’iceberg: Obama ha deciso di riproporsi sulla scena pubblica per un motivo su tutti, ovvero favorire il suo ex secondo nella corsa alla Casa Bianca. L’occasione è ghiotta: Trump sproloquia un giorno sì e l’altro pure in tema di gestione del coronavirus; appare in seria difficoltà nel tenere testa, da una parte, agli autorevoli membri dei comitati scientifici che impongono prudenza e, dall’altra, ai milioni di cittadini americani (presumibilmente suoi elettori) che gli vorrebbero imporre all’amministrazione di far finta di nulla, di comportarsi come se il coronavirus non esistesse, essendo possibile, anzi costituzionale, continuare a vivere come se nulla fosse.
Avendo costruito il suo consenso sull’ignoranza e sul populismo, Trump non può fare a meno di ascoltare la pancia di quell’America, spesso razzista e sovranista, insensibile alla sofferenza dei ceti più poveri e marginalizzati, specialmente nelle immense e degradate periferie urbane, da est a ovest. Gli abitanti di quelle realtà, quasi sempre afroamericani e membri di minoranze etniche e sociali, come gli ispanici, stanno morendo in tanti: rappresentano le fasce di popolazione più colpite dal virus, quelle che spesso non possono permettersi nemmeno l’assicurazione sanitaria e soccombono al Covid-19 nell’indifferenza dei bianchi poveri (già frustrati dalla crisi economica di questi anni, specialmente nel midwest industriale), e dell’agiata borghesia urbana.
Proprio i più deboli e i diseredati rappresentavano le fasce di elettorato più fedeli a Obama, nel 2008 e nel 2012, quelle cui l’ex presidente ha dedicato alcune delle sue importanti riforme (per quanto poi di più o meno dubbia efficacia), come l’Obamacare, che non a caso Trump ha preteso di smantellare a una a una durante i primi tre anni del suo mandato (non riuscendovi solo in campo sanitario). Si tratta, peraltro, di fasce sociali tra le quali Joe Biden non risulta ancora particolarmente popolare: all’ex vicepresidente serviva un endorsement di Obama in vista delle presidenziali che lo proponesse come alternativa credibile a Trump, a favore proprio dei più emarginati.
Ecco perché Obama è tornato: per capitalizzare il disastroso approccio alla pandemia del campione del populismo sovranista. Puntando sull’assenza di senso di responsabilità dell’amministrazione Trump, vuole insinuare nella coscienza degli indecisi (e soprattutto di chi non sa se andare o meno a votare in autunno) la certezza che il presidente sarebbe del tutto inadeguato a un nuovo mandato. L’evidenza dei numeri di questi giorni, del resto, lo certifica, con gli Stati Uniti che sono il Paese più contagiato al mondo e quello con più decessi. Il fallimento del sistema sanitario è totale ed evidente.
Trump, tra difesa d’ufficio e paura
Di fronte all’evidenza, Trump teme per la propria sorte politica. È vero che l’emergenza da coronavirus è senza precedenti e che gli Stati Uniti ebbero percentuali elevate di mortalità anche all’epoca della famigerata “influenza suina” di undici anni fa, quando erano al potere proprio Obama e Biden. Le carenze strutturali della sanità USA sono evidenti già in tempi consueti, figurarsi con la pandemia. È però anche vero che la percezione di assoluta mancanza di serietà nella risposta alla crisi e l’assenza di ricette serie che possano risollevare l’economia, in un contesto globale nuovamente in crisi, non fanno dormire sonni tranquilli al presidente.
Certo, per ora Biden non si è fatto sentire particolarmente su questi temi, forse per ostentare un costruttivo spirito di coesione istituzionale, ma anche perché finora non aveva ricevuto un chiaro e autorevole supporto, se non da parte dei suoi ex avversari alle primarie. Con l’impegno diretto di Obama, sembra che l’approccio democratico potrebbe diventare più aggressivo e le deficienze dell’amministrazione Trump potrebbero venire finalmente monetizzate in termini di consenso.
Bisognerà fare i conti, comunque, con quella porzione di elettorato che, per intendersi, ha manifestato contro le restrizioni anti-Covid in più Stati, armi alla mano, in nome del diritto costituzionale a continuare ad andare al fast food senza mascherina. Si tratta di quello zoccolo duro che potrebbe credere ai messaggi assolutori dei portavoce del presidente, che hanno sottolineato come la risposta alla pandemia sia stata eccellente e abbia salvato molte vite.
Forse però Trump non si aspettava l’entrata a gamba tesa di Obama, del quale in molti sostengono che tema ancora l’altissima popolarità. È certo, però, che The Donald paventi un effetto fionda che le parole del predecessore potrebbero sortire su tutto il partito democratico, se, dopo aver censurato pesantemente le parole di Obama, Trump si è rivolto in maniera offensiva ancora una volta nei confronti della sua principale nemica di questi anni, Nancy Pelosi.
Per consolidare il consenso, la parola d’ordine del presidente, quella che in fondo tutti vogliono tornare a sentire, è diventata “normalità“, che fa rima con “riapertura” totale, persino degli incontri al vertice. L’invito per un G7 a Camp David sta a testimoniarlo. Normalità per battere la paura: quella degli americani nei confronti del virus e quella di Trump di perdere la poltrona.
Ludovico Maremonti