È una pronuncia di inammissibilità a chiudere il primo grado di giudizio nella causa climatica denominata ‘Giudizio Universale’. Intentata nel 2021 da 203 attori – tra cui 24 associazioni e 179 cittadini – la causa si inserisce nel solco dei sempre più diffusi contenziosi climatici. Le climate litigations, come si definiscono in inglese, rappresentano l’insieme delle azioni legali intraprese con lo scopo di imporre ai governi o alle aziende il rispetto di determinati standard in materia di riduzione delle emissioni di gas serra, sulla base di quanto disposto dalla comunità scientifica. I contenziosi climatici, quindi, offrono alla società civile uno strumento attivo per affrontare le risposte inadeguate messe in campo da governi e settore privato in risposta alla crisi climatica e chiedere al contempo la tutela dei propri diritti, minacciati appunto dal climate change. È in quest’ottica che i ricorrenti di Giudizio Universale hanno fatto causa allo Stato italiano per inazione climatica, avanzando al giudice due richieste precise. La prima verteva sulla dichiarazione di inadempienza dell’Italia per non aver adottato misure sufficientemente adeguate a contrastare la crisi climatica e la seconda, invece, sulla condanna a ridurre le emissioni del 92% rispetto ai livelli preindustriali entro il 2030.
Quella di Giudizio Universale rappresentava dunque una causa dagli obiettivi ambiziosi, destinata a produrre i suoi effetti tanto sul piano reale quanto su quello simbolico. Eppure, un “difetto assoluto di giurisdizione” – così si legge all’interno della sentenza emessa dalla seconda sezione civile del Tribunale di Roma – ne ha ridimensionato la portata. Infatti, sebbene Marica Di Pierri (portavoce dell’associazione A Sud, capofila dell’iniziativa, e co-coordinatrice della campagna Giudizio Universale) abbia già dichiarato che la decisione sarà certamente impugnata non si può non riflettere sul fatto che anche in caso di un esito positivo del ricorso non ci sarebbero più i tempi necessari per intervenire. La richiesta di tagliare drasticamente le emissioni entro la fine del decennio, infatti, sembra non essere conciliabile con i tempi biblici della giustizia italiana. Una giustizia che, come sottolineato dal team legale che ha seguito la causa «Pur riconoscendo la gravità e urgenza letale dell’emergenza climatica, statuisce che in Italia non esisterebbe la possibilità di rivolgersi a un giudice per ottenere tutela preventiva contro questa situazione, nonostante siffatta tutela sia stata riconosciuta dalla Corte costituzionale».
E questo perché, secondo la giudice Assunta Canonaco, accogliere le richieste dei ricorrenti significherebbe violare il principio di separazione dei poteri. Secondo il Tribunale, infatti, la domanda risarcitoria avanzata da Giudizio Universale è diretta a chiedere un giudizio “sulle modalità di esercizio delle potestà statali previste dalla Costituzione”, così da poter accertare la correttezza e la legittimità “di una serie di provvedimenti emanati dal legislatore e dal governo che, nel loro complesso, sono espressione della politica nazionale in materia di lotta al cambiamento climatico”. Una materia in cui la giudice non disporrebbe delle conoscenze e competenze necessarie ad accertare la correttezza o l’adeguatezza delle complesse decisioni prese da Parlamento e Governo. In definitiva, si legge all’interno delle 14 pagine che compongono la sentenza, “le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nell’odierno giudizio”.
Nel frattempo in Europa
A questo punto, può forse tornare utile richiamare alla memoria le vicende che si svolsero in Olanda a partire dal 2013, quando la fondazione ambientalista Urgenda dette avvio a una saga giudiziaria, che avrebbe poi fatto la storia. Perpetrata in nome proprio e per conto di 886 cittadini, la causa citava in giudizio il Governo nazionale per la mancata adozione di misure atte a minimizzare gli effetti negativi prodotti dai cambiamenti climatici sulla salute dei propri cittadini. In quell’occasione, sebbene sia la Corte Distrettuale dell’Aja che la Corte d’Appello si fossero pronunciate a favore della parte attrice condannando l’esecutivo al taglio delle emissioni di gas serra, il Governo olandese aveva infondatamente sostenuto che le sentenze emesse fossero illegittime, poiché sancivano una sostituzione del potere giudiziario con quello esecutivo nella determinazione della riduzione delle emissioni. Nei precedenti gradi di giudizio era infatti stato accertato l’obbligo positivo e individuale dello Stato olandese di ridurre, entro l’anno 2020, le emissioni inquinanti prodotte dai Paesi Bassi di almeno il 25%, rispetto ai livelli riscontrabili nel 1990.
Questa pronuncia, però, aveva suscitato le rimostranze del Governo olandese che, facendo riferimento alla dottrina dell’atto politico, sosteneva l’esistenza di un potere esercitato da governo e parlamento le cui decisioni non possono essere sottoposte a nessun controllo giudiziario. Tale dottrina, tuttavia, venne letta a contrario dalla Corte suprema olandese che, invece, ritenne che il giudice fosse tenuto a esercitare la sua funzione di controllo anche al fine di fornire protezione ai cittadini contro il potere pubblico, esercitando quindi un controllo di liceità dell’azione dell’esecutivo e del legislativo. In questo modo, venne ordinato all’organo politico di adottare misure che perseguissero un preciso obiettivo, senza però determinare i mezzi per effetto dei quali quel risultato dovesse essere raggiunto. Venne quindi assodato, per dirla in altri termini, che il giudizio sulle omissioni compiute dagli organi politici non rappresentasse in alcun modo una violazione del principio della separazione dei poteri.
Non a caso Marjan Minnesma, direttrice di Urgenda, ha scelto di commentare come segue la sentenza del Tribunale: «C’è un divario crescente tra le promesse dei nostri governi e le azioni che intraprendono nell’affrontare l’emergenza climatica. La sentenza Urgenda nei Paesi Bassi ha dimostrato che i tribunali hanno un ruolo cruciale nell’esaminare se i governi stiano facendo abbastanza per ridurre le emissioni di gas serra e quindi salvaguardare i diritti fondamentali dei loro cittadini. Numerosi tribunali in tutto il mondo hanno seguito questo precedente, rafforzando così le politiche climatiche e la tutela dei diritti umani nei loro Paesi. Mentre gli impatti climatici estremi continuano a devastare tutti i Continenti, i tribunali italiani non dovrebbero sottrarsi al loro dovere costituzionale: dovrebbero seguire le orme di quei tribunali che già hanno indicato la strada, assicurando che i governi rispettino i loro obblighi giuridici e mantengano gli impegni presi per affrontare l’emergenza climatica».
Passando invece al piano simbolico della vicenda, a ridimensionare la portata di Giudizio Universale ci hanno pensato i media. Mentre negli altri Paesi europei – che pure sono stati interessati da cause simili – udienze e sentenze sono diventate un caso mediatico, tanto se n’è parlato nei tg e sui giornali, lo stesso non può dirsi per l’Italia. Nel nostro Paese, infatti, la copertura che i media hanno dato alla causa non è risultata particolarmente significativa. Una circostanza che purtroppo non sorprende, soprattutto se letta alla luce di quanto emerso dal monitoraggio periodico che l’Osservatorio di Pavia sull’informazione dei cambiamenti climatici in Italia ha realizzato per Greenpeace. Sebbene i dati raccolti siano da riferirsi allo scorso anno, precisamente ai mesi che vanno da settembre a dicembre 2023, la tendenza a non dare alla crisi climatica (e agli argomenti ad essa collegati) la giusta attenzione sembra ormai una costante. Una costante che risulta quanto mai necessario invertire e non solo perché ne va della stessa credibilità dei mezzi di informazione, ma anche e soprattutto perché da essa dipende la possibilità – ad ora andata sprecata – di incoraggiare la formazione di un dibattito pubblico che restituisca alla crisi climatica la centralità che merita.
Virgilia De Cicco