Che cos’è la violenza coloniale? Ai tempi dell’Italia fascista fu soprattutto una violenza immateriale basata , prima ancora che sulla definizione del suddito e del proprio ruolo, sulla definizione del bianco dominatore, del suo corpo e della sua “missione”. Torniamo indietro di qualche secolo, 12 ottobre 1492 , la cosiddetta scoperta dell’America. In America esistevano già delle civiltà, alcune delle quali relativamente avanzate (Maya , Aztechi e Inca) che non avevano bisogno di essere “scoperte” . Ci fu un vero e proprio genocidio dei nativi americani che iniziò alla fine del xv secolo e si protrasse fino alla fine del XIX. Complessivamente si ritiene che, tra i 55 e i 100 milioni di nativi, morirono in seguito all’arrivo dei colonizzatori europei. Nonostante il genocidio, in molti manuali di storia si parla ancora di “scoperta”.
Tutta la storia occidentale è una storia all’insegna della violenza coloniale, a partire dal mondo romano. Agostino d’Ippona scrive nel “de civitate dei” , che l’impero romano è un impero costruitosi sulla guerra e sul sangue. La sua popolazione viveva nell’infelicita perchè “sempre occupati nelle imprese guerresche e nel sangue dei cittadini o dei nemici , sangue umano“. Il termine colono deriva dal latino, “colonus” cioè abitante di una colonia. E se la storia avesse visto la partecipazione delle donne? Se ad avere il potere fosse stato il genere femminile, ci sarebbe stata la stessa violenza coloniale? A molti piace pensare che forse, il mito del ” buon selvaggio” non sarebbe mai esistito. Kratos che in greco significa “forza , potere” dal personaggio che nella mitologia greca si alleò con Zeus contro i titani, è sempre stato nelle mani degli uomini bianchi colonizzatori. Tutta la nostra formazione occidentale si basa su un poema, l’Iliade, che è la storia di una guerra decennale, iniziata a causa del rapimento di Elena ritenuta la donna più bella del mondo e dunque per il possesso di quest’ultima.
La violenza coloniale oggigiorno
La violenza coloniale è quella a cui assistiamo ogni giorno a causa del genocidio in Palestina, per quanto la storia progredisca cosi come il pensiero, siamo educati alla violenza, non all’amore. Il pensiero resta maschile, cosi come il mondo, patriarcale. Scrive Bell books: “Sebbene gli psicanalisti ci dicano che le immagini di violenza e predominio maschile che appaiono sui mass media insegnano ai ragazzi che la violenza è affascinante e gratificante, quando un singolo ragazzo è violento, e in particolare quando uccide a caso, gli esperti tendono a chiedersi perché i ragazzi sono così violenti, come se fosse un mistero.(p. 60)” (da la volontà di cambiare).
I giochi di società prevedono un’interazione sociale tra più persone, si pensi al gioco “risiko” (gioco di strategia che prevede l’occupazione di stati attraverso dei carroarmati, o a “monopoli” (sebbene concepito come critica al capitalismo, finisce per rafforzare i valori capitalistici), queste interazioni sono il riflesso ,seppur inconscio, di una società fondata sul potere e sulla guerra. La violenza ci inorridisce e ci stupiamo delle potenze genocidiarie, eppure sin da piccoli, inconsciamente, la respiriamo, dalle pistole giocattolo, al gusto dell’orrido in giochi come “Gta”, nati per parodizzare la società americana e finiti per inculcarla al singolo individuo. Sembra necessario rifondare l’educazione di bambini e bambine, partendo dal presupposto che il benessere emotivo è una cosa e il potere sugli altri tutt’altro, ed è questo il potere, il successo o il controllo che il patriarcato assegna agli uomini. La stessa concezione di potere nasce assieme all’individuo maschio.
L’ uomo “dominus”, padrone e signore delle terre. Il patriarcato premia gli uomini forti che negano i propri sentimenti. Cosi è piu facile uccidere il nemico in guerra senza compassione. Il tema della violenza coloniale non può non essere collegato ai millenni di mondo patriarcale, alla dominazione del maschio bianco colonizzatore e alla scarsa presenza di donne nella storia. Facile predicare la pace, ma più difficile è, invece, riconoscerne le matrici e i problemi strutturali e sistematici. Uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così. Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca. Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo. La nostra civiltà ha inizio con la cura dell’altro, non con la sua sopraffazione.
Lorenza Franzese