In Turchia è in atto un processo di anti-democratizzazione volto alla revoca di diritti, di libertà dell’individuo, di libertà di espressione e opinione. Infatti, Erdoğan non abbandona l’impiego di pratiche oppressive nei confronti dei presunti “filo-golpisti“.
In Turchia sono stati sottoposti alla chiusura, attraverso procedure legislative, più di 100 tra quotidiani, magazine, società di distribuzione e dell’editoria e sono stati censurati almeno 30 siti news. Oltretutto, secondo alcuni fonti come Commitee To Protect Journalists, la Turchia è attualmente la nazione con il maggior numero di giornalisti in carcere, con circa 155 giornalisti detenuti.
Il più delle volte si può essere accusati per “probabile” affiliazione a movimenti come il PKK o a Hizmet, o semplicemente perché viene usato il termine “militante” al posto di “terrorista” per indicare gli attentatori del colpo di stato. Alle volte, c’è il rischio di un’incriminazione per la pubblicazione di foto in cui Erdoğan è venuto male o, ancora, c’è il rischio di un’accusa perché non viene riportato il numero di vittime del golpe.
Per questi e altri motivi, la Turchia, nella classifica mondiale per la libertà di stampa, è stata posizionata al 151esimo posto.
In tutte le lotte, repressioni e rivoluzioni è presente chi viene assoggettato al ruolo di vittima. In questo caso appaiono tali tutti coloro che si identificano nella stampa indipendente o di opposizione. Al contrario, vi è poi chi non subisce queste vicende.
Nella fattispecie, parliamo di tutti quei giornalisti che si assimilano alla politica repressiva di Erdoğan. Vengono chiamati “sicari” perché il più delle volte sono proprio loro a segnalare alle autorità minuzie e futilità che possono essere prova sufficiente affinché si intervenga per estirpare i ribelli. Tra i “sicari“, colui che è divenuto figura di maggior rilievo, in seguito alle sue esternazioni, è Cem Kucuk, celeberrimo commentatore televisivo in Turchia, il quale in merito ai giornalisti detenuti considerati traditori ha dichiarato: «se lo meritano».
La richiesta di provvedimenti, sostegno e maggior empatia nei confronti di coloro che stanno affrontando questa criticità – colpevoli esclusivamente di aver richiesto maggiore emancipazione – arriva dall’inviato speciale dell’ONU per il Diritto alla libertà di opinione e di espressione David Kaye. Il delegato ONU, al termine di un’esperienza sul campo durata una settimana, ha riassunto tutto in semplici ed essenziali parole:
«Direi che le conclusioni che tiro da questa visita sono abbastanza cupe e traducono ciò che io percepisco come delle restrizioni alla libertà di espressione e di opinione in tutto il Paese. […] Non significa che il governo ha un assegno in bianco per fare tutto ciò che vuole per restringere la libertà di espressione».
Un altro dettaglio da non sottovalutare è stato posto all’attenzione da Kaye nel suo rapporto: Erdoğan ha utilizzato i poteri conferiti dallo stato d’emergenza per estendere da 4 a 30 giorni il periodo di detenzione prima che si venga sottoposti a processo. Oltretutto, non è possibile consultare legali per 5 giorni dall’arresto. Questa condizione ha fatto ipotizzare agli avvocati un probabile aumento delle torture nei giorni di detenzione.
Vincenzo Molinari