Gli USA e la coalizione formatasi al fine di contrastare lo Stato Islamico, l’organizzazione terroristica che ha preso possesso di un vasto territorio a cavallo tra Siria e Iraq, ha condotto questa notte il secondo raid di bombardamenti verso obiettivi mirati.
Dopo l’incontro a New York tra il presidente degli USA, Barack Obama e i rappresentanti dei cinque paesi arabi coinvolti direttamente nelle operazioni (Bahrain, Emirati, Arabia Saudita, Giordania e Qatar), è arrivata anche una tiepida benedizione dei raid da parte della Siria.
Il discusso presidente islamico moderato Tayyp Erdogan ha infatto giudicato positivi i raid perpetrati dalla coalizione contro l’ISIS, respingendo implicitamente le accuse velate e i sospetti di complicità che erano emersi nei giorni scorsi.
L’offensiva portata avanti circa una settimana fa dall’ISIS contro la città curda di Ain-al-Arab avrebbe portato la fuga di più di 130 mila curdi siriani oltre i confini turchi, costringendo il governo della seconda potenza NATO a chiudere le frontiere.
Il terrore seminato dall’avanzata dell’ISIS in Iraq e in Siria, nei territori del cosiddetto Kurdistan, ha portato gli USA ad organizzare già due raid aerei, uno a distanza di sole 24 ore dall’altro.
Freddi tuttavia rimangono i rapporti tra USA e Siria, il paese principalmente bombardato, con il quale il presidente Americano dice di non aver coordinato alcuna operazione.
Nessuna autorizzazione da Damasco, ma diventa invece importante la collaborazione con l’Iran, stato a maggioranza Sciita e dunque naturale nemico del califfato che combatte gli sciiti come infedeli. Gli USA rimarcano infatti come fondamentale la collaborazione dell’Iran in una battaglia che, ribadisce Obama, “non è una battaglia solo dell’America” ma di tutti quei governi arabi che si oppongono alla follia del terrorismo e all’avanzata della minaccia di un califfato che ormai controlla eserciti, armi e petrolio.
Proprio in questo senso si rivela strategica per gli USA la partecipazione dei cinque nella coalizione, che ridefiniscono la guerra condotta in Medioriente.
Anche l’inviato del Segretario Generale dell’ONU, Staffan De Mistura, definisce strategico il coinvolgimento di Teheran nel processo politico che punti ad una riduzione netta del livello di violenza dell’area controllata dagli jihadisti sunniti e esprime una posizione chiara con riguardo ai bombardamenti, visti come un male necessario alla risoluzione della crisi umanitaria in questione.
Il primo risultato raggiunto dal raid avvenuto questa notte sarebbe – secondo i dati forniti da diverse organizzazioni per i diritti umani – l’uccisione di più di cento terroristi appartenenti all’ISIS o a gruppi minori ad esso legati, tra cui quella di Abu Youssef Al Turki, un leader jihadista appartenente al gruppo Al Nusra, cellula di Al Qaeda che avrebbe tra l’altro twittato una foto che conferma la sua morte. Ci sono tuttavia anche le prime vittime civili, otto tra cui anche tre bambini secondo l’Osservatorio per i diritti.
Mentre gli USA giustificano l’attacco avvenuto come una misura difensiva volta a sventare il rischio imminente di un nuovo attacco contro l’America da parte di “veterani di Al Qaeda”, non mancano le minacce di ritorsioni da parte dell’ISIS verso i paesi arabi che hanno permesso e benedetto l’offensiva.
In particolare sarebbe l’Arabia Saudita, che insieme all’Iraq era stata accusata di collaborazionismo con il califfato, lo stato più a rischio di una controffensiva: “A questi attacchi ci sarà una risposta. I figli di Saloul sono coloro che ne hanno la colpa. È accaduto a causa loro”.
Roberto Davide Saba