Dal 1948 (dalla nascita dello stato di Israele) la Palestina è continuamente vittima di violenze di ogni tipo: dalla sottrazione coatta di territori alla negazione dell’ esistenza di un popolo palestinese, alla conduzione di continue guerre che hanno messo in ginocchio la popolazione.
L’ultimo abuso sarebbe consistito nel cancellare il nome della Palestina dalle mappe di Google e nel sostituirlo con quello di Israele. Non si è fatta attendere la denuncia da parte del Forum dei giornalisti palestinesi, che ha rilasciato una nota polemica:“Fa parte del programma di Israele per affermare il suo nome come stato legittimo per le generazioni a venire e abolire la Palestina una volta per tutte” […]”La mossa è inoltre progettata per falsificare la storia, la geografia così come il diritto del popolo palestinese alla sua patria”.
Attraverso una petizione sono state raccolte 136.000 firme per fare in modo che il nome della Palestina torni sulle cartine di Google.
Tuttavia sembrerebbe che cercando lo stato della Palestina con Google Maps, si otterrebbe la cartina del paese con i confini tratteggiati, ma non apparirebbero i nomi delle due principali zone geografiche nella quale è divisa: la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Google attribuisce questa mancanza a un bug del programma e ha promesso di rimediare al più presto.
A prescindere da questa ultima querelle, la politica di Israele sembra diventare sempre più dura e repressiva nei confronti della Palestina. Ad esempio, il governo sta prendendo provvedimenti contro gli attivisti filo-palestinesi stranieri, attraverso la composizione di una task force che deporterà o vieterà l’ingresso a chi sostiene il BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni). Quest’ultimo è un movimento che si schiera concretamente dalla parte della Palestina, cercando di sensibilizzare e informare le persone circa gli abusi israeliani. Inoltre si propone l’obiettivo di boicottare il commercio dei marchi israeliani che sfruttano i territori palestinesi ingiustamente occupati e di tutte quelle aziende che appoggiano in qualche modo le politiche oppressive israeliane.
In un comunicato congiunto del ministro degli interni Arye Deri e del ministro per la sicurezza interna Gilad Erdan, hanno accusato gli attivisti di andare in Palestina ad “agitare i residenti locali contro le forze di sicurezza e di interrompere la loro attività”. Nel comunicato si legge anche: “La battaglia delle organizzazioni di boicottaggio contro Israele inizia con le persone che vengono a sabotare all’interno di Israele” […] “E ‘nostro dovere fare tutto il possibile per indebolire il boicottaggio.”
È quindi chiaro che il lavoro del BDS sta preoccupando i vertici governativi israeliani, che probabilmente temono soprattutto per le ripercussioni economiche con le quali potrebbero trovarsi a dover fare i conti.
Lo scrittore e drammaturgo israeliano Abraham Yehoshua crede di aver individuato una possibile soluzione alla crisi Palestinese. Infatti, egli afferma che il ruolo dell’Europa in Medioriente potrebbe essere importantissimo, soprattutto in Palestina. Secondo lo scrittore, tutte le azioni statunitensi non possono essere volte alla pace poiché il governo USA sarebbe “ostaggio della destra israeliana”. Il suo auspicio è che ci sia un intervento europeo volto a una riapertura dei negoziati tra Israele e Palestina.
Purtroppo però le istituzioni europee sembrano non prendere posizione: l’ultimo esempio viene dal mondo del calcio. In occasione della partita di andata degli spareggi della UEFA Champions League 2016/17 tra il Celtic e la compagine israeliana dell’ Hapoel Be’er Sheva, i tifosi scozzesi hanno sventolato molte bandiere palestinesi in segno di solidarietà. Un’iniziativa che non è piaciuta per niente alla UEFA, il massimo organo istituzionale calcistico in Europa, che ha deciso di prendere dei provvedimenti multando lo storico club britannico: hanno considerato questo gesto come un’azione politica non tollerabile. Tuttavia i tifosi biancoverdi non si sono piegati neanche di fronte a questa presa di posizione e hanno organizzato una raccolta fondi dalla quale hanno ricavato 85.000 sterline da devolvere ad associazioni palestinesi.
Un gesto semplice, concreto, dal quale prendere esempio non solo per l’azione in sé, ma soprattutto per le modalità grazie alle quali si è potuta concretizzare. Infatti, rappresenta l’emblema di come sia più facile lottare in collettività e soprattutto in gruppi radicati e ben strutturati.
Alessandro Fragola