“Io che non ho conosciuto gli uomini” di Jacqueline Harpman è un romanzo distopico che ha visto la luce nel 1995, pubblicato in Italia da Blackie Edizioni nel 2024.
Sinossi
“In un bunker sotterraneo, trentanove donne sono tenute in isolamento in una cella. Sorvegliate da violente guardie, non hanno alcuna memoria di come sono arrivate lì, nessuna nozione del tempo, solo un vago ricordo delle loro vite precedenti. Mentre il ronzio della luce elettrica fonde il giorno con la notte e gli anni passano, una ragazza – la quarantesima prigioniera – siede sola ed emarginata in un angolo. Questa misteriosa ragazza che non ha conosciuto gli uomini sarà la chiave per la fuga e la sopravvivenza delle altre nel mondo desolato che le attende in superficie.“
Io che non ho conosciuto gli uomini è un romanzo senza capitoli, la storia di queste donne ci viene raccontata senza possibilità di pausa. In poche pagine, appena 176, ci viene narrato un mistero: perché queste donne sono tenute prigioniere? Trentanove donne e una ragazzina, rinchiuse in una cella in un sotterraneo, che ogni giorno vivono la stessa non-vita, con le guardie a controllare che tutto si svolga nella “normalità”. Queste donne non hanno alcuna memoria su come siano finite lì, hanno pochi ricordi sulla loro vita di prima, non sanno se fuori da quel sotterraneo c’è ancora il mondo. La storia comincia quando la più piccola inizia a porsi delle domande, inizia a riflettere sulla loro condizione.
Le quaranta donne prigioniere si trovano in un mondo senza coordinate né di spazio né di tempo, il luogo è un luogo generico e il tempo viene scandito da chi decide per loro: quando dormire, quando mangiare, quando è giorno, quando è notte. L’unico mondo che conoscono adesso è la cella, e la cella le separa dagli altri esseri umani, tutti uomini. E questi uomini decidono della vita di queste donne, una vita priva anche di contatto umano: se provano a toccarsi vengono richiamate o peggio, vengono frustate. Jacqueline Harpman ci porta all’interno di questa cornice, ci racconta di giornate che trascorrono tutte uguali. Ma a un certo punto la voce narrante, la ragazzina, inizia a pensare. E pensare significa porsi delle domande. Emblematico è il fatto che la più giovane tra le prigioniere, l’unica che non ha alcuna memoria della vita, sia quella con più fame di vita. Dagli interrogativi senza risposta viene fuori altro: il tempo interiore porterà a una nuova concezione del tempo esteriore.
Poco altro ancora si può dire della trama; si può raccontare della fuga di queste donne (non è uno spoiler), e basta. Quello che succederà dopo lo dovrà scoprire chi legge.
Jacqueline Harpman, scrittrice e psicoanalista belga, non ha fornito alcuna indicazione del luogo dove si svolge il racconto: potrebbe essere la Terra o un pianeta a noi sconosciuto. Non importa. Quello che importa è ciò che trasmette la storia: l’angoscia, lo sgomento, la speranza, la solitudine feroce. L’affermazione del più forte sul più debole, un “gioco di ruolo” profondamente crudele. Ma anche – e soprattutto – la solidarietà tra donne: è un romanzo profondamente femminista, è la storia della protagonista e delle sue 39 compagne di disavventura che per sopravvivere creano una comunità. Gli uomini nel romanzo non hanno però alcuna connotazione negativa, sono personaggi marginali cui è stato affidato il ruolo del carnefice. Ma in questo strano mondo gli unici uomini sono le guardie?
Il titolo, Io che non ho conosciuto gli uomini, richiama a un sentimento della protagonista che non ha mai avuto connessione con il sesso opposto, non conosce l’uomo, non conosce l’amore, l’attrazione. Non sa chi sono i suoi genitori, non conosce il suo nome, vivrà solo di esperienza, imparerà tutto in un modo non canonico, grazie alla sua intelligenza e all’urgenza della curiosità.
Questo romanzo è una distopia, è crudele, è uno scenario terrificante in cui solo la sorellanza riesce a dare un senso di umanità. Ed è un viaggio da compiere partendo dall’inizio e arrivando al finale portando con sé tutte le domande che pagina dopo pagina verranno fuori. Troveremo le risposte, alla fine?
Valentina Cimino