«Il mandato zero è un mandato, il primo, che non si conta nella regola dei due mandati, cioè un mandato che non vale». È quanto asserisce Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle, durante un surreale video tutorial postato sul Blog delle Stelle. Ci piacerebbe pensare tra il serio e il faceto, ma purtroppo non è così.
Un vero e proprio parossismo, quello del “mandato zero”, che ha suscitato naturalmente un nugolo di sentimenti e reazioni composite, comprese all’interno del vasto spettro che corre dallo sconcerto all’ilarità.
Ma oramai l’opinione pubblica, e forse gli stessi militanti, sono diventati avvezzi alla stridente e dolorosa contraddizione tra M5S e realtà: si tratta, infatti, solo dell’ultima di una lunga serie di incoerenze ideologiche-politiche, di strafalcioni maldestri, di inadeguatezze tragicomiche, dell’ennesima ferita sul corpo claudicante del Movimento delle origini. Stavolta, tuttavia, ci sono gli elementi per affermare che la slavina definitiva è cominciata.
Il paradosso di mandato zero
La nuova proposta descrive sostanzialmente un paradosso aritmetico, alla base del quale il primo mandato dei due mandati a disposizione non verrà considerato nel caso in cui l’eletto pentastellato assuma la carica di consigliere comunale. Una sorta di “giro di prova” in deroga alla norma generale, in previsione di altri incarichi politici, che siano in Parlamento o nelle altre posizioni delle amministrazioni locali (come i sindaci), per i quali il totem è ancora valido.
La regola dei due mandati si era affermata fin dagli albori come uno dei primi assiomi del Movimento, per contrastare le rendite dei “poltronifici” della politica, per garantire il ricambio continuo dei rappresentanti, per contrastare il leaderismo. Un postulato del celeberrimo “uno vale uno” e del concetto di democrazia diretta. Contro il professionismo della politica e contro l’esercizio del potere personale.
Per questo motivo, l’introduzione repentina di mandato zero è risultata a dir poco inaspettata. Tra la rabbia vistosa di qualche militante, in molti hanno saputo cogliere il lato umoristico dell’astrusa cavillosità della proposta: le bacheche dei social network si sono saturate di una gustosa e tagliente ironia. Si sono scomodati Totò, Zenone, Fibonacci… Lino Banfi. Si è preso la briga di intervenire addirittura un divertito Beppe Grillo, stavolta solo per recitare la parte del comico. In realtà, ci sarebbe poco da ridere: siamo di fronte al requiem definitivo del Movimento.
Un’esagerazione? Certo, per adesso la novità riguarda soltanto i consiglieri comunali, tra l’altro la pletora numericamente più vasta degli eletti. Ma le implicazioni non si fermano alla materia in questione.
La contraddizione del Movimento 5 Stelle
Di Maio si giustifica e risponde alle critiche con il consueto spessore argomentativo: l’obiettivo è quello di non disperdere l’esperienza maturata.
Presa di per sé l’osservazione assolutamente condivisibile, quasi ovvia: l’introduzione di mandato zero, tenendo conto del principio che lo sottende, si qualifica come un elemento positivo di logica razionalità, un passo avanti rispetto a un principio scellerato e miope, che meriterebbe apprezzamenti e non dileggi, se fosse avulso dal suo contesto. Eppure: perché mai il privilegio di un mandato “extra” spetterebbe soltanto ai consiglieri comunali? Parlamentari e consiglieri regionali non maturano anch’essi esperienza preziosa per il governo? Non è dato sapere.
Inoltre, il Movimento aveva da sempre affermato energicamente che per amministrare e fare politica fosse indispensabile anzitutto l’onestà, nella consapevolezza che la buona amministrazione sarebbe arrivata conseguentemente con l’arrivo dei “cittadini” nelle istituzioni. Bisogna constatare che solo adesso, tardivamente, dopo anni di esperienza parlamentare e non, il Movimento 5 Stelle ha avuto modo di rendersi conto che per amministrare sono indispensabili anche competenze specifiche e formazione di una classe politica (del resto le esperienze di Roma e Torino devono averlo evidenziato con chiarezza).
Solo nel Dicembre del 2018 Di Maio aveva twittato: «La regola dei due mandati non si tocca. […] Questo è certo come l’alternanza delle stagioni (!)».
Ecco perché con mandato zero viene meno l’intera impalcatura ideologica del movimento: il nucleo valoriale del Movimento collassa su stesso a causa di queste contraddizioni, travolgendo la coerenza, la credibilità e l’agibilità. Il caso di mandato zero evidenzia, da ultimo, un dilettantismo, un’inadeguatezza e un’incoerenza verso cui gli elettori mostrano crescente intolleranza, sempre più visibile nelle urne. Non una semplice deroga ai principi per ragioni di utilità dunque, ma una vera e propria contraddizione di fondo, che è quella tra politica e anti-politica.
L’assenza di politica genera mostri
Quello dei 5 Stelle è un tragico, ma prevedibile, cortocircuito. Il movimento che si definiva liquido si è infine liquefatto, e si avvia verso la liquidazione. Un processo accelerato dal governo giallo-verde, evidenziato dalle sue contraddizioni (a cominciare dal balletto sulle grandi opere), e culminata oggi nella disattenzione di un principio costituente come quello dei due mandati. L’organizzazione, le ambizioni, e l’ideologia stessa del movimento sono insostenibili alla prova dei fatti.
Eppure, l’influenza del pauperismo (anti)politico pentastellato, che oggi appare tanto fragile, ha purtroppo avuto modo di infestare egemonicamente il discorso pubblico, prima di venire clamorosamente sconfessato e disatteso dagli stessi suoi proponenti.
Il Movimento 5 Stelle ha sconquassato la politica, sminuendone il ruolo fondamentale per il funzionamento esecutivo della Democrazia, senza avere una chiara idea di come formare classe dirigente. E così, inesorabilmente, da anti-politico è diventato assenza di politica, quando l’Italia ne avrebbe invece un disperato bisogno. Ormai incapace di dare corpo e concretezza, ma anche visione e finalità, al proprio agire politico, si limita a vivacchiare, all’ombra dell’ingombrante e minaccioso collega di governo.
Mandato zero? Altroché, siamo all’atto finale.
Luigi Iannone