Non vi è dubbio che il 90% degli appassionati di calcio, dopo aver appreso che la finale della UEFA Europa League 2018-2019 si sarebbe svolta a Baku, abbia immediatamente fatto uso di un motore di ricerca con il fine di scoprire dove si trovasse detta località. Altrettanto indubbio è che alla scoperta che Baku fosse la capitale dell’Azerbaigian gli stessi appassionati, abituati a destinazioni ben più note quali Torino, Varsavia, Stoccolma e Lione, siano rimasti sorpresi dalla scelta fatta dalla UEFA di disputare la finale di una competizione europea in una città poco conosciuta ed apprezzata.
Eppure, a scanso di equivoci, va preliminarmente riconosciuto che, al netto delle svariate critiche di cui si discuterà, il modus operandi della UEFA nella scelta delle città ospitanti le finali è meritevole di apprezzamento, in quanto in linea con una lodevole idea di fondo, quella della valorizzazione dell’intero territorio Europeo e non solo delle grandi località della parte occidentale; in questo modo, la UEFA, attraverso le sue competizioni, dà una grande occasione a città e nazioni meno conosciute e meno sviluppate sul piano economico e turistico, consentendogli di allinearsi e competere con la molto più solida Europa dell’Ovest e di trarre beneficio dall’approdo di migliaia tifosi e centinaia di emittenti televisive. Tuttavia, a volte, alle pur ottime ragioni che determinano l’individuazione della sede della finale si accompagnano delle circostanze negative che rendono tali scelte inopportune, criticabili e non condivisibili. Tanto è quanto è accaduto in occasione della decisione di fare di Baku la città ospitante della finale della corrente edizione di Europa League; una scelta a dir poco discutibile, che, tra i suoi tanti aspetti negativi, ha, di fatto, determinato la volontaria esclusione del calciatore dell’Arsenal, Henrikh Mkhitaryan, dal gruppo dei convocati. Il numero 7 dei Gunners, infatti, è di nazionalità armena, e a margine di una lunga riflessione che ha coinvolto anche il club e la sua famiglia, ha deciso di non partecipare a quello che è senza dubbio l’evento stagionale più importante per la sua squadra.
Le ragioni della sua assenza vanno individuate nel conflitto armato che da ormai trent’anni coinvolge Azerbaigian ed Armenia e che verte sul controllo della regione del Nagorno-Karabakh, territorio a larga maggioranza armena, ma situato all’interno dei confini azeri, che nel 1991 si dichiarò indipendente a seguito della caduta del regime sovietico. Da allora, l’unico risultato sono stati i 30 mila morti e i periodici scontri armati che affliggono la popolazione locale. Mkhitaryan, pur avendo ricevuto rassicurazioni dall’ambasciatore dell’Azerbaigian e dalla stessa UEFA, che al riguardo aveva adottato un apposito piano di sicurezza, teme per l’incolumità propria e dei suoi cari per via della sua nazionalità, e ha preferito restare a casa.
Certo, la coincidenza verificatasi, vale a dire una squadra che arriva a giocarsi la finale di Europa League in Azerbaigian con un giocatore di nazionalità armena, è una spiacevole casualità, sicuramente non prevedibile. Tuttavia, è stata proprio detta casualità a far emergere evidenti perplessità sulla scelta della UEFA ed a fare luce sulla reale situazione esistente in Azerbaigian: un paese praticamente coinvolto in un conflitto militare, con un tasso di corruzione elevatissimo, situato al 166° posto su 179 per libertà di stampa, dove la minoranza religiosa dei musulmani viene sistematicamente perseguitata, guidato da un Presidente rinomato per la sua riluttanza verso le più comuni forme di democrazia. Ciò fa immediatamente pensare ad una totale irresponsabilità dell’organo esecutivo del calcio europeo nell’effettuare la scelta della città ospitante, in quanto così come da anni si tende ad evitare che squadre armene ed azere si incrocino nelle competizioni europee, allo stesso modo si sarebbe potuto valutare in maniera più approfondita l’opportunità di assegnare l’evento ad un paese in una situazione alquanto problematica come quella anzi descritta.
Né si può dire che la UEFA non fosse a conoscenza dell’esistenza di tale situazione, se si pensa che appena 5 mesi prima della scelta di Baku era stato reso noto uno scandalo di corruzione coinvolgente il presidente azero Aliyev ed il Consiglio d’Europa (da non confondere con il Consiglio Europeo, organo dell’UE), avente ad oggetto tangenti corrisposte ad alcuni membri dell’Organizzazione internazionale con il fine di promuovere un’immagine positiva del paese e di mantenere il silenzio sulle sistematiche violazioni dei diritti umani che avvengono tra i suoi confini.
Tutto ciò genera seri dubbi sulla scelta della UEFA e sul motivo per il quale essa sia ricaduta su Baku, sull’Azerbaigian, nonostante le gravi condizioni militari, politiche ed umanitarie esistenti sul suo territorio; dubbi che sfociano nello sconcerto se si fa riferimento alla pessima situazione logistico-organizzativa legata alla finale. Invero, malgrado lo stadio ospitante possieda una capienza di quasi 70.000 persone, i supporters di Arsenal e Chelsea, squadre finaliste, potranno contare esclusivamente su 6.000 tickets a testa, considerando che la stessa UEFA ha deciso di contenere il numero di tifosi in arrivo in Azerbaigian a causa della scarsa capacità dell’aeroporto di riferimento, in grado di gestire fino ad un limite di 15.000 passeggeri. Né, per giunta, potranno dirsi fortunati coloro che sono riusciti ad accaparrarsi il pass per assistere alla finalissima, considerando che il viaggio verso Baku implica un volo di quasi 10 ore con scalo e prevede l’esborso di cifre importanti che sfiorano complessivamente i 1000 euro.
Insomma, la situazione in cui la UEFA si è trovata coinvolta per via di una pura casualità è a dir poco imbarazzante per gli organizzatori, ma allo stesso tempo deludente per i sostenitori dello sport più popolare al mondo che ogni anno seguono appassionatamente le principali competizioni europee, credendo che esse debbano sempre svolgersi in una cornice fondata sul rispetto della democrazia e dei diritti umani. Purtroppo, la prova che i dirigenti UEFA non siano dello stesso avviso è data dal fatto che la stessa Baku, lo stesso Azerbaigian del quale si discute, ospiterà ben quattro match degli Europei di calcio itineranti del 2020. E pensare che, a tal riguardo, nella relazione ufficiale redatta a sostegno di tale ultima scelta è dato leggere che “la struttura politica ed economica del paese appare stabile e la Federazione calcistica nazionale gode di un’ottima relazione con il Governo centrale, motivo per il quale la candidatura di Baku ha il sostegno di tutte le parti”. A questo punto viene da pensare cosa accadrebbe se l’Armenia si qualificasse agli Europei.
La verità è che la scelta della UEFA di optare per Baku, sia per l’Europa League che per Euro 2020, piuttosto che fare luce sulla grave situazione esistente al suo interno, non ha fatto altro che dare un’altra chance al governo azero per autocelebrarsi ed apparire all’esterno come un’isola felice, un paradiso sicuro in grado di ospitare tutti i più grandi eventi sportivi – tra i quali anche i GP di F1. A farne le spese è, come sempre, l’immagine del calcio, mostratosi ancora una volta un mezzo di speculazione finanziaria indifferente a qualsiasi forma di compressione della democrazia.
Amedeo Polichetti
fonte immagine in evidenza: www.uefa.com