C’è qualcosa di insolito nel parlare di 25 aprile a Napoli. E non perché Napoli non sia una città antifascista, anzi. Ma perché qui la liberazione arrivò molto prima e con le uniche forze della popolazione civile insorta contro i nazisti. Durante quattro giorni di fuoco, dal 27 al 30 settembre 1943, i civili napoletani lottarono contro le milizie tedesche che avevano preso il comando della città poco tempo prima, a seguito dell’armistizio dell’8 settembre dello stesso anno. Furono giornate estenuanti che sgomberarono il territorio napoletano dalle forze naziste preparando il terreno per l’arrivo delle truppe alleate, il 1° ottobre 1943. Furono ribattezzate le “Quattro Giornate di Napoli”. La città di Partenope fu la prima a liberarsi e, caso unico, lo fece da sola. Tra i protagonisti è bene però ricordare il piccolo Gennaro Capuozzo.
Ciò accadde forse per via del fatto che fin dal principio il popolo napoletano aveva accolto con reticenza l’ideologia fascista e ancor più quella nazista. Mussolini stesso riteneva che occorresse marciare su Napoli «per spazzare via chitarre, mandolini, violini e cantastorie». Vi è un aneddoto anche per quanto riguarda la visita di Hitler a Napoli nel 1938. Il Führer, transitando per via Caracciolo con il braccio teso per il saluto romano, fu così canzonato da un napoletano lì presente: «Sta verenn’ si for’ chiove!» (Sta vedendo se fuori piove). Fu l’ironia e la leggerezza del popolo napoletano l’artefice di quel crescendo di insofferenza che ebbe il culmine proprio durante le Quattro Giornate.
Le fonti ufficiali parlano di 168 militari e 156 civili napoletani rimasti uccisi durante i combattimenti delle Quattro Giornate. Fra questi, un civile merita un’attenzione particolare: Gennaro Capuozzo, detto Gennarino, che morì durante gli scontri a soli 12 anni. Oggi, tra le mille attenzioni che dedichiamo all’infanzia dei nostri bambini nella consapevolezza che sia un’età fondamentale per la formazione individuale, sapere che un ragazzino di 12 anni, poco più che bambino, ha sacrificato la propria vita per liberare una città ci fa riflettere e ci lascia turbati. Eppure, Gennaro Capuozzo sembra averlo fatto con l’ingenuità e l’incoscienza che caratterizzano proprio l’età dell’infanzia.
D’altronde, di Gennaro Capuozzo sappiamo che fin da subito fu costretto a “diventare grande” e, all’età di undici anni, svolgeva già l’attività di apprendista commesso in una bottega di Napoli. Fu dunque ben presto catapultato nel mondo degli adulti e alla stregua di un adulto si batté per liberare Napoli dalle truppe tedesche.
Sulla medaglia d’oro, a lui attribuita alla fine della seconda Guerra Mondiale, si può leggere di quale atto eroico si rese protagonista il piccolo Gennaro Capuozzo:
«Appena dodicenne durante le giornate insurrezionali di Napoli partecipò agli scontri sostenuti contro i tedeschi, dapprima rifornendo di munizioni i patrioti e poi impugnando egli stesso le armi. In uno scontro con carri armati tedeschi, in piedi, sprezzante della morte, tra due insorti che facevano fuoco, con indomito coraggio lanciava bombe a mano fino a che lo scoppio di una granata lo sfracellava sul posto di combattimento insieme al mitragliere che gli era al fianco».
Il luogo in cui avvenne lo scontro è quello di via Santa Teresa degli Scalzi, a ridosso del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Lì Gennarino si rese protagonista di questo atto eroico e lì trovò la morte, senza aver conosciuto davvero cosa volesse dire vivere, eppure avendo lasciato a noi posteri una traccia indelebile della sua vita. Il 1° ottobre del 1943, quando gli Alleati entrarono a Napoli la trovarono già libera. Bisognò aspettare il 25 aprile 1945, quando a Milano un gruppo di partigiani – tra cui il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini – insorse affinché anche il resto della Penisola venisse liberata.
Ciò che è singolare in tutte le lotte di liberazione è che chi le combatte e perde la vita non saprà mai se il suo sforzo sarà valso a qualcosa. Gennarino e tanti come lui credevano in un ideale, quello della libertà, hanno combattuto per esso e non hanno fatto in tempo a godere dei risultati di quel combattimento. Allora a cosa servono, in Italia, le commemorazioni del 25 aprile? Proprio a rendere omaggio a chi ha sognato e infine lottato per tramutare in realtà quel sogno. E quel sogno è finalmente realtà dal 1945. Oggi più che mai, in un’Italia sempre più dominata da personaggi politici di scarso valore morale, dobbiamo lottare. Spetta a noi, che stiamo godendo dei frutti del sacrificio di molte persone, conservare questa realtà per non far sì che la si debba sognare di nuovo. Forse non è troppo tardi. Buon 25 aprile.
Anna Rita Orlando