Allerta tra i banchi: davvero, l’animale politico e sociale di Aristotele è tornato al buio della mitica caverna platonica? Spesso e con una certa ricorrenza, nelle ultime settimane, si è parlato del problema che incombe sulle giovani generazioni odierne ree di aver dimenticato, o di non aver mai saputo, come utilizzare correttamente la grammatica e la lingua.
Galeotta fu la lettera dei 600 sottoscritta da docenti universitari, accademici della Crusca, filosofi, storici e linguisti che hanno ritenuto opportuno appellarsi al Governo italiano e al Parlamento per cercare di tamponare e rimarginare una ferita scoperta. A quanto pare “servono interventi urgenti” e lo stesso Ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, afferma di averne già acquisito “consapevolezza prima di diventare ministra”. Riconosciuti i meriti al predecessore Tullio De Mauro, recentemente scomparso, per essere stato tra i primi a sottolineare le carenze dell’istruzione italiana rispetto al livello europeo, la Fedeli assicura una nuova lettura dei suoi dogmi didattici e interessanti collaborazioni: con la Federazione della Stampa per introdurre i giornali nelle classi e, con il Ministro dei Beni culturali, per promuovere la lettura di testi extrascolastici. Allettanti proposte e nuove aspettative ma, a suo dire, rimane il “problema conosciuto” delle medie e una maggiore mobilitazione da apportare nelle università.
Dunque la pubblica istruzione chiama e il Governo sembra comprendere.
Ma cosa si chiede? In primis, migliorie alle Indicazioni nazionali per il primo ciclo: i cosiddetti programmi scolastici non ricoprirebbero adeguatamente il raggio di conoscenze e competenze che un alunno dovrebbe acquisire tra i banchi e non specificherebbero al meglio le consone esercitazioni da affrontare in classe. La seconda proposta è di aumentare i momenti di verifica con scadenza periodica durante i primi otto anni d’istruzione. La terza richiesta propone che docenti di medie e superiori si impegnino a testare il grado di preparazione degli studenti in entrata, così anche da favorire anche un confronto professionale tra colleghi.
Ed è qui che risponde il GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica).
Il testo di replica, gentilmente offerto dal Professore Nicola Grandi (coordinatore del Corso di Laurea in Lettere dell’Alma Mater Studiorum), parla chiaro. Il problema è reale e non lo si può, né si deve nascondere. Ciò che non è accettabile, per i membri dell’ente, è pensare che una gerarchia ufficializzata possa pretendere di erigere un livello d’istruzione a giudice di quello immediatamente precedente. L’operato dei docenti di scuola elementare, dunque, subirebbe il controllo di quelli delle medie, che a loro volta sarebbero corretti dai colleghi delle superiori e la sentenza finale spetterebbe ai professori universitari. Se fosse davvero necessario, se partisse tutto dalla scuola primaria, come spiegarsi la posizione medio-alta nelle graduatorie internazionali per abilità di lettura dei bambini di quarta elementare rispetto ai quindicenni?
Alberto Sobrero, segretario nazionale del GISCEL e autore della suddetta replica, evidentemente conviene sulla diagnosi iniziale, ricordando addirittura la sua prima denuncia del problema risalente ad un testo del 1991: “La lingua degli studenti universitari”. Discute invece le proposte avanzate; sarebbe disposto, d’altro canto, ad ammettere come possibile causa un certo deficit nella selezione e formazione dei docenti. Il discorso però dovrebbe coinvolgere insegnanti di ogni grado e livello e, soprattutto, la loro capacità di rielaborare le Indicazioni ministeriali per i propri studenti. Senza un potenziamento del livello culturale degli adulti non si può pretendere una risposta positiva dai giovani, afferma.
D’altronde, se le colpe dei padri ricadono sui propri figli, questi giovani d’oggi, incompetenti e tendenti a strafalcioni grammaticali, sono figli di quale società?
Una società gestita dall’uomo elettrico di McLuhan, in cui la tecnologia ha ormai invaso ogni ambito della comunicazione, facendo sì che si perdesse nel tempo la percezione di una variazione diafasica nella conversazione e nella scrittura, come sottolinea Grandi. Una società multitasking, in cui l’attenzione è davvero periferica parziale, come riconosce Camillo Neri (Professore Ordinario dell’Università di Bologna e firmatario), facendo sua la definizione della scrittrice Linda Stone. Una società soggetta a terremoti linguistici e bisognosa di nuovi armoniosi fraseggi, avrebbe ribadito Fabrizio Frasnedi.
Leggere, ricercare miti e modelli con cui confrontarsi e crescere intellettualmente, tentare di valorizzare questi nuovi meccanismi di interferenza e collaborare con essi è anche il consiglio di Gino Ruozzi, docente ordinario di Letteratura Italiana dell’Alma Mater.
Urge, dunque, consapevolezza per un problema da sempre esistente, che salvi la lingua dai parlanti in direzione ostinata e contraria, senza mai dimenticare il flusso impercettibile ma costante della lingua dal proprio punto di partenza: questioni di deriva.
Pamela Valerio