La Cantata dei Pastori di Peppe Barra, storia di una sacra-profana rappresentazione dal Seicento ai giorni d’oggi. In scena dal 14 dicembre 2017 al 6 gennaio 2018 al teatro Politeama di Napoli.
Correva l’anno 1698 quando la Cantata dei pastori venne rappresentata per la prima volta a Napoli, probabilmente al teatro San Bartolomeo (odierna chiesa della Graziella). “Opera pastorale sagra del dottor Casmiro Ruggiero Ogone Il vero lume tra l’ombre, o vero La spelonca arricchita, per la nascita del verbo umanato“: così riporta il titolo del testo a stampa edito nel 1784 “a spese di Nunzio Rossi, e dal medesimo si vendono nella sua libreria sotto al palazzo del signor duca di Monteleone” e attualmente conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli.
Il palermitano Ugone (1651-1704) meglio noto ai posteri come Andrea Perrucci, fu letterato, scrittore raffinato di versi in latino, italiano, siciliano e napoletano nonché rinomato autore di drammi. Tuttavia, l’opera più fortunata che lo consacrerà alla memoria come librettista, teorizzatore della commedia dell’arte e istigatore della commedia buffa, sarà proprio La cantata dei pastori che sin da subito diverrà oggetto di numerose rappresentazioni e rimaneggiamenti e la cui tradizione si protrarrà sino ai giorni d’oggi.
La Cantata dei Pastori come è noto oramai ai numerosissimi appassionati che ogni anno popolano i teatri napoletani (e non solo), non è semplicemente il racconto in tre atti del viaggio di Giuseppe e Maria e della nascita di Gesù bambino ma, accanto al tema della congiura demoniaca ai danni del nascituro, un’esilarante narrazione popolata dai personaggi tipici della commedia dell’arte: pastori, pescatori, e soprattutto il napoletano Razullo, sempre pronto ad ordire i suoi famelici imbrogli.
Nata come sacra rappresentazione, la Cantata dei pastori si è trasformata nei secoli in un pastiche barocco ricco di oscenità, tanto da esserne vietata la messa in scena alla fine del XIX secolo. Fu negli anni ‘70 del Novecento che venne riportata in auge grazie agli studi di Roberto De Simone, da cui prese vita la versione moderna della “Compagnia di canto popolare” fino alla celebre rappresentazione di Peppe Barra.
A Natale non un semplice spettacolo, ma un rito
La cantata dei pastori oggi non può prescindere proprio da colui che a buon diritto può essere annoverato tra i più grandi interpreti della tradizione napoletana. Una delle caratteristiche più affascinanti di Peppe Barra è sicuramente il suo essere un grande contaminatore e sperimentatore. La sua Cantata si caratterizza per la mescolanza tra il testo barocco e il napoletano moderno oltre ad un innesto tra l’archetipo del Perrucci e estratti di sacre rappresentazioni di epoca secentesca come “Il peccato e la virtù”. Ogni anno il Maestro Peppe Barra rinnova la cantata dei pastori nel periodo natalizio ed essa come il presepe, non è un semplice spettacolo ma un vero e proprio rito.
La magia della scena
La processione che precede il prologo, che risale dal fondo al palcoscenico, avanza accompagnata dai musici. Rapisce il pubblico ma non c’è nulla di liturgico: il canto sembra piuttosto una preghiera esoterica che richiama la platea nell’arcano della scena.
La lotta tra luce e tenebre si contrappone all’azione dei personaggi che a un certo punto restano congestionati sullo sfondo. I temi della beffa, del cibo, della sessualità, la religione si dischiudono continuamente nella magia di frame a scatola cinese.
Razullo, lo scrivano dalla “fame canilica”
Nella struttura barocca si innescano nuove narrazioni che si enucleano nella macro-storia. Protagonista assoluto è Razullo lo scrivano che dopo aver camminato per “mezzo bisecolo” si imbatte in Sarchiapone, ex barbiere e omicida per distrazione fuggito da Napoli, personaggio non presente nel testo originale ma portato in scena nei successivi rimaneggiamenti. Il napolitano vagabondo dalla “fame canilica” si improvvisa capraro e pescatore pur di riempire la sua pancia. Incontra Maria e Giuseppe con tanto di aureola, pastorelli, cacciatori e i personaggi tipici del presepe trapiantati sulla scena. Le azioni sono accompagnate dal suono di villanelle, un particolare genere compositivo della Napoli di fine quattrocento, come la celebre canzone del pescatore:
Vurria addeventare pesce d’oro
dinta lu mare me jesse a menare.
Venesse ‘o piscatore e me piscasse
dinta ‘na chianelluccia me mettesse.
Venesse ‘a nenna mia e me cumprasse
dinta la tielluccia me friesse.
Nun me ne m’porta ca poi me mangiasse
basta ca ‘ncoppa ‘o core me tenesse.
Me voglio fà ‘na casa ‘mmiezo ‘o mare
fravecata de penne de pavone.
La Cantata dei pastori, il Maestro Peppe Barra ci svela il segreto del successo
Perché oggi i giovani dovrebbero amare la cantata dei pastori?
«Prima di tutto perché è l’unica sopravvissuta di tutte le altre sacre rappresentazioni. La Cantata dei pastori si rinnova dal 1698, quindi vuol dire che qualcosa di speciale c’è se si ripete ogni anno, io la rappresento da 40 anni. Fa parte delle loro radici e della loro cultura per cui i giovani dovrebbero amarla rispettarla e proteggerla».
Ci sono state un po’ di novità quest’anno: come mai la scelta di sostituire alcuni personaggi e in particolare la figura di Sarchiapone?
«Si, ci sono state alcune sostituzioni come nel caso del Diavolo o del pescatore che è stato sostituito con Enrico Vicinanza e Rosalia Porcaro. Io preferisco sempre la novità folle e Rosalia mi è sembrata la regina della follia, per questo l’ho voluta come Sarchiapone».
Qual è il segreto del clamoroso successo della cantata dei pastori ogni anno?
«Il successo è che ogni anno si rinnova, ogni anno diventa attuale. La Cantata dei pastori rappresentata questa sera non è uguale a quella dell’anno scorso, tra un anno non sarà uguale a questa. Dal 1698 la cantata si è sempre arricchita di novità, è questo il suo segreto».
Come ha lavorato sul testo antico?
«Ho realizzato un innesto tra una sacra rappresentazione del Cinquecento e quella del Seicento del Perrucci. La sacra rappresentazione del Cinquecento è “Il peccato e la virtù” e l’ho inserita nella cantata prolungando la scena del diavolo».
Qual è il ruolo che hanno avuto i nuovi interpreti?
«Gli attori sono sempre liberi di interpretare come sentono ma, ovviamente se piace a me glielo faccio fare altrimenti no».
Con una battuta di spirito termina il nostro incontro con il Maestro Peppe Barra, con il suo sguardo vivace, la sua inconfondibile mimica da menestrello gentile e sorridente, e quel pizzico di gelosia di chi generosamente e amorevolmente, custodisce un prezioso spaccato di tradizione.
Rosa Auriemma