Risale a pochi giorni fa la sentenza della Corte d’Appello di Salerno che ha emanato il verdetto di secondo grado a carico dei medici e degli infermieri imputati per la morte del maestro elementare Franco Mastrogiovanni.
L’uomo è deceduto all’1:45 della notte del 4 agosto 2009, dopo 81 ore di agonia in seguito ad un ricovero forzato conseguente al trattamento sanitario obbligatorio (TSO) disposto nei suoi confronti dal sindaco Vassallo.
I giudici hanno ridotto le pene per i medici e ritenuto gli infermieri responsabili di non avere prestato la dovuta assistenza al malato (nella sentenza di primo grado erano stati assolti tutti). I medici sono stati condannati a pene che vanno dai 13 mesi ai due anni, gli infermieri dai 14 mesi ai 15 mesi.
Per tutti, però, la pena è sospesa e per tutti è stata revocata l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni inflitta in primo grado.
L’unica condanna che dovranno “scontare” coloro che hanno legato e abbandonato per quattro giorni su un letto d’ospedale Franco Mastrogiovanni sarà un risarcimento danni alla famiglia, quantificato successivamente in sede civile.
Il presidente della Commissione Diritti Umani del Senato Manconi si dichiara soddisfatto rispetto al verdetto, poiché a prescindere dall’entità della pena tutte le persone coivolte sono state dichiarate responsabili di sequestro di persona, falso ideologico e morte in conseguenza di altro reato. Per Manconi il messaggio di questa sentenza non poteva essere più chiaro: la contenzione meccanica è uno strumento barbarico e illegale e in quanto tale chi ne fa uso è punibile per legge.
Toni decisamente diversi quelli usati dalla nipote di Mastrogiovanni, che si sfoga così su Facebook:
«TUTTI continueranno a lavorare. Continuerà a lavorare il medico che ha ordinato di legarti mentre dormivi, quello che ha deciso che non dovevi essere mai slegato, quello che ha deciso che la tua famiglia era meglio tenerla lontana da te, quello che ti ha sentito russare anche se morto da ore, quello che ha pensato che a un cadavere si potesse fare un massaggio cardiaco. Caro zio Franco, si saranno resi conto di quello che hanno fatto?»
La morte del maestro Mastrogiovanni, chiamato il “gigante buono” dai suoi alunni, non è stata causata dalla distrazione del personale medico, né da una prestazione-diagnosi scorretta dei medici che lo hanno ricoverato. Franco Mastrogiovanni è stato torturato per 87 lunghe ore, tutte documentate dallo sguardo fisso e impassibile delle telecamere a circuito chiuso presenti nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Vallo della Lucania.
Il PM Rotondo sequestrò il sistema di registrazione poche ore dopo la morte del maestro. I tecnici masterizzarono i 65 file video della sua degenza in un DVD che ha rappresentato la prova regina del primo processo e che successivamente sono stati montati per realizzare il documentario di Costanza Quatriglio intitolato 87 ore.
Ma perché Mastrogiovanni fu sottoposto al ricovero forzato?
In realtà i trascorsi medici di Mastrogiovanni sono legati a una storia politica assai complessa, risalente agli anni di Piombo e che lo videro coinvolto in una rissa che portò alla morte dell’allora segretario del FUAN di Salerno Carlo Falvella. Erano gli anni delle lotte anarchiche, dei neofascismi, delle bombe sulle piazze e sui treni. Mastrogiovanni fu accusato di rissa e dopo alcuni mesi di carcere fu scagionato e dichiarato innocente. Questa vicenda tuttavia segnerà la vita del maestro, che da quel giorno soffrirà di ricorrenti crisi di depressione, verrà perseguitato dal timore di essere ucciso e svilupperà nei confronti delle autorità una forte idiosincrasia.
Trentasette anni dopo, per le forze dell’ordine Mastrogiovanni porta ancora su di sé lo stigma del “pericoloso anarchico” e le circostanze del suo TSO rimangono dopo anni dalla morte ancora un mistero.
Secondo le testimonianze di alcuni presenti, Mastrogiovanni sarebbe stato inseguito dagli agenti di polizia fino ad una spiaggia – il motivo dell’inseguimento, secondo la polizia, era che il maestro non si era fermato ad un ALT, guidando ad una velocità eccessiva con lo sguardo perso e vacuo. Mastrogiovanni sarebbe poi uscito dall’auto e corso verso il mare, facendosi un lungo bagno intonando la canzone anarchica Addio Lugano bella. La polizia lo preleva e lo porta all’ospedale di Valla intorno alle 12:30 del 31 luglio.
Il proprietario del bar sulla spiaggia in cui è avvenuto l’arresto descrive invece Mastrogiovanni come pacato e tranquillo anche al momento dell’arresto stesso. Per Mastrogiovanni l’incubo comincia quando gli infermieri arrivano per chiedergli l’esame delle urine e, al suo rifiuto, lo legano mani e piedi. Solo allora il paziente comincia a dimenarsi e urlare.
Le crude immagini riprese dalle telecamere a circuito chiuso confermano la tesi per cui fu proprio la contenzione a far nascere e crescere in Mastrogiovanni il senso di disperazione e paura che lo portarono a più riprese a tentare di liberarsi dalle cinghie con cui era bloccato.
L’uomo per tre giorni cerca di divincolarsi senza risultati, sedato e alimentato solo da una flebo.
Al di là delle numerose implicazioni del caso, ciò che fa riflettere è la brutalità di questa morte e il luogo in cui è avvenuta: un’ospedale è un’istituzione statale che dovrebbe guarire e tutelare un cittadino in difficoltà, non calpestarlo e ucciderlo.
Forse Mastrogiovanni era un personaggio scomodo, forse il suo passato anarchista o il suo carattere scontroso con le forze dell’ordine non l’hanno aiutato, ma nulla di tutto ciò può giustificare la maniera in cui è stato lasciato morire e la maniera in cui gli è stata tolta la sua stessa umanità.
Sara Bortolati