Non è assurdo pensare che la storia del farmaco inizi con la storia dell’uomo.
I nostri lontanissimi antenati sono stati i primi ad osservare come l’ingestione di erbe, radici, cortecce, semi ed altre sostanze immediatamente disponibili in natura, potesse influenzare, con effetto negativo o positivo, e talvolta migliorare funzioni fisiologiche o stati patologici dell’organismo.
L’imperatore cinese Shen Nung, nel 2735 a.C., compilò una sorta di farmacopea, che comprendeva una polvere con proprietà antimalariche, il ch’ang shang, estratto dalla radice della Dichroa, e una pianta, il ma huang (oggi nota come Efedra), da cui è stata isolata l’efedrina, un alcaloide usato per secoli nella medicina tradizionale cinese per il trattamento di asma e bronchite.
Nell’antica Grecia, nelle botteghe dei farmacisti, circolavano erbe come oppio, scilla e giusquiamo, e le radici di Ipecacuana, contenenti emetina, erano usate in Brasile per il trattamento della dissenteria e della diarrea.
La nascita della Farmacologia
Tuttavia, per la nascita della “Farmacologia”, intesa come disciplina scientifica autonoma, e per lo sviluppo delle varie branche della ricerca farmacologica, bisogna aspettare la seconda metà del XIX secolo.
Dal fitocomplesso, inteso come totalità delle sostanze, sia farmacologicamente attive che inattive, contenute all’interno della droga vegetale, si passò all’isolamento dei “principi attivi”, responsabili dell’azione farmacologica di quei medicamenti che provenivano dal mondo vegetale, e alla fine del secolo nacque l’industria farmaceutica.
Oggi la Farmacologia (dal greco “pharmakon”, veleno, e “logos”, discorso) comprende diverse discipline: la Chimica Farmaceutica, che si occupa della progettazione, dello sviluppo e della produzione dei farmaci, la Farmacologia molecolare e cellulare, la Farmacologia sistemica e la Farmacologia clinica, che si occupano rispettivamente degli studi in vitro che permettono di identificare i livelli cellulari e molecolari d’azione, degli effetti del farmaco su animali integri o organi isolati, e della sperimentazione, in ultima analisi, sull’uomo.
La storia ci insegna come queste fasi siano di fondamentale importanza per assicurare le caratteristiche di qualità, efficacia e sicurezza a cui deve rispondere il farmaco prima di entrare in commercio, e imparare questa lezione non è stato poi così facile e indolore.
Gli anni 50 e il successo della Talidomide
Un esempio recentissimo risale a circa mezzo secolo fa: la Talidomide, molecola con proprietà ipnotico-sedative, fu commercializzata per la prima volta in Germania della Grünenthal, nei primissimi anni 50. Apparve sul mercato con il nome di Grippex, e venne somministrato in forma sperimentale per il trattamento di infezioni respiratorie, ma non ebbe alcun successo e il suo impiego terapeutico fu sospeso.
Nel 1957, dopo anni di ulteriori sperimentazioni, la Grünenthal diede il via ad una convincente campagna pubblicitaria sulle proprietà sedative e antiemetiche della talidomide, di cui assicurava la sicurezza, che fu ampiamente utilizzata come farmaco di prima scelta per il trattamento del vomito gravidico nei primi tre mesi.
Le disastrose conseguenze
Negli anni 60, però, più di 6000 bambini sono nati con un’embriopatia da Talidomide, caratterizzata da focomelia (sindrome che si manifesta con arti non sviluppati in parte o in toto) e altri tipi di malformazioni congenite, senza contare i numerosissimi casi di aborto.
La talidomide è infatti teratogena, o meglio lo è un suo enantiometro.
La molecola presenta infatti un centro chirale: l’entantiomero R è responsabile delle attività sedative, mentre l’enantiomero S causa le malformazioni fetali. Non è possibile separare i due effetti, in quanto l’enantiomero R, per azione di una racemasi, è convertito nella forma S.
La FDA (Food and Drug Administration) non ritenne adeguate le prove di sicurezza, e rifiutò l’approvazione della talidomide negli USA, che fu però causa di disastri in Europa e Canada.
E’ evidente che la Grünenthal non evidenziò tutti i possibili effetti collaterali del farmaco, eludendo quindi la terza fase della farmacologia clinica.
In Italia il farmaco fu ritirato dal mercato con “colpevole ritardo” nel 1962 e solo nel 1987 furono definite le prime disposizioni in materia di farmacovigilanza.
Tuttavia, successive e più attente ricerche sulla talidomide, hanno mostrato la sua efficacia nel trattamento dell’eritema nodoso in corso di lebbra, del morbo di Crohn, del mieloma multiplo e di malattie legate al sistema immunitario.
Elisabetta Rosa