“ Questo non è un paese per giornalisti-giornalisti! È un paese per giornalisti-impiegati!”
– Fortapàsc
Un po’ di tempo fa decisi di guardare un film, si intitolava Fortapàsc. Raccontava degli ultimi 4 mesi di vita di un giovane cronista napoletano brutalmente ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985, a soli 26 anni. Nel corso del film va in scena un dialogo che suona quasi come una lezione di vita impartita al giovane cronista dal suo caporedattore, e che argomenta l’esistenza di due categorie di giornalisti:
<< […] esistono due categorie di giornalisti: gli uni sono i “giornalisti impiegati” e gli altri i “giornalisti-giornalisti” […] >>
Il nocciolo del dialogo si esprime nel diverso approccio che i giornalisti hanno con la realtà che li circonda. Alla prima categoria appartengono quei giornalisti che operano seduti dietro alla propria scrivania, forse in maniera anche un po’ rassegnata e nolente all’idea di poter cambiare le cose. I secondi, “i giornalisti-giornalisti”, dietro la scrivania proprio non ci vogliono stare. Sono quei giornalisti “scomodi” che concepiscono il loro mestiere non come un semplice lavoro retribuito ma come una vocazione. Sono coloro che hanno il difetto di informarsi, di scavare a fondo nei fatti e che hanno il coraggio di usare la parola per denunciare il marcio insito nella società. I giornalisti-giornalisti vivono nell’impegno di poter cambiare le cose e nel dovere di cercare sempre la verità.
Giancarlo Siani scelse di essere un “giornalista-giornalista” in un paese per “giornalisti-impiegati”. La sua storia merita di essere raccontata anche a distanza di 31 anni dalla sua morte. Chi era Giancarlo Siani e per cosa ha dovuto pagare?
Giancarlo era un giovane aspirante giornalista di origini napoletane. Iniziò la sua carriera scrivendo per alcuni periodici locali che gli permisero di occuparsi, con costanza, delle piaghe sociali che affliggevano la sua Napoli. Tuttavia la più grande passione rimaneva la cronaca nera, il giornalismo d’inchiesta era il suo pane quotidiano. Nonostante la giovane età ciò che maggiormente catturò le attenzioni di Giancarlo fu un fenomeno, in particolare, quello della criminalità organizzata.
Fu attraverso la collaborazione con il quotidiano Il Mattino di Napoli che Siani riuscì a dare una chiara immagine del paese. Come corrispondente da Torre Annunziata, sebbene da precario e abusivo, poté approfondire le dinamiche che vi erano dietro le attività della camorra, scoprire i suoi legami con la politica locale e comprendere quanto fosse radicata nel territorio.
Trenta i chilometri che il cronista percorreva ogni giorno, a bordo della sua Mèhari, per raggiungere Torre Annunziata. Per Giancarlo il mestiere del giornalista significava muoversi per le strade di quel paese, osservare ed indagare, solo in questo modo avrebbe potuto guardare con i proprio occhi l’orrenda realtà che stava vivendo la Napoli della camorra degli anni ’80.
Come ogni fenomeno “umano” la camorra ha avuto una propria nascita ed un’evoluzione. Gli anni ’80 rappresentano l’apice del suo sviluppo. Fu in quel momento storico che la camorra ricoprì un ruolo da protagonista all’interno dello scenario napoletano. Faide, lotte intestine, omicidi e sequestri erano all’ordine del giorno.
Giancarlo Siani non solo visse in prima persona tale epoca, ma fu anche il giornalista che meglio di tutti seppe smascherare e raccontare, attraverso i suoi articoli, le dinamiche di potere vigenti, tra i clan della camorra, in quei sanguinosi anni.
Ripercorrendo storicamente parte della sua fase evolutiva, si può comprendere quale sia stato il contesto all’interno del quale fu maturato l’omicidio del giornalista. Il 23 Novembre del 1980 l’Irpinia, zona a est di Napoli, fu colpita da un violento terremoto che causò la distruzione di gran parte degli edifici. Il sisma mise a nudo, chiaramente, i mali della Campania e sconvolse la natura della camorra che da quel momento in poi iniziò ad “industrializzare” le sue attività criminali. Un’ondata di speculazione edilizia e di corruzione travolse freneticamente Napoli e nella più assoluta cecità morale di chi non voleva vedere, Siani trovò terreno fertile per poter scrivere a riguardo riuscendo a portare alla luce i rapporti corrotti che intercorrevano tra noti clan locali e gli esponenti politici per l’assegnazione degli appalti pubblici finalizzati alla ricostruzione delle aree distrutte dal terremoto.
È a partire da quel momento che le inchieste portate avanti dal giovane 26enne iniziarono ad essere un fastidioso ostacolo per la camorra. Il passaggio da “scomodo giornalista” a “obiettivo da eliminare” sta nell’intuizione che Giancarlo ebbe, comprendendo che la camorra non era più solo campana bensì la mafia siciliana aveva trovato dei referenti all’interno del territorio, in particolare nel clan dei Gionta che, negli anni ’80, erano i padroni indiscussi di Torre Annunziata. Il clan si rifaceva alla persona di Valentino Gionta, il boss affiliato all’organizzazione camorristica “la nuova famiglia” insieme al clan dei Nuvoletta di Marano (alleati del clan dei corleonesi di Riina) e al clan dei Bardellino.
L’atto di condanna che decretò la morte di Giancarlo Siani fu proprio un articolo su Valentino Gionta, risalente al 10 Giugno del 1985, in cui il cronista svelava i retroscena dell’alleanza tra il clan dei Nuvoletta e quello dei Gionta. In quelle quattromila battute Giancarlo affermò che la cattura del boss era avvenuta per mano degli stessi Nuvoletta, decisi a disfarsi del loro scomodo affiliato che aveva invaso i territori dei Bardellino. Questa accusa di infamia per i Nuvoletta doveva essere pagata con il sangue.
Il 23 settembre del 1985, tre mesi dopo quell’articolo e quattro giorni dopo il suo 26esimo compleanno, Giancarlo Siani fu raggiunto da due killer in moto e fu freddato da 10 colpi di pistola alla testa, sotto casa sua al Vomero, mentre era ancora bordo della sua Mehàri. È morto lì, nella stessa auto che l’ha accompagnato per tutti il suo breve viaggio.
Giancarlo è stato strappato alla vita a soli 26 anni, colpevole della sua sete di verità e di aver scelto di essere un “giornalista–giornalista” in quel “fortapàsc” dove anche la pioggia diventava fango.
La storia di Giancarlo è una storia di speranza, di amore, di sogni. La storia di come una goccia in realtà possa scavare una pietra. Da 31 anni è divenuto simbolo della legalità ed un esempio per chi crede ancora in un giornalismo senza compromessi.
Federica Pia Mendicino